Dilatato, appassionato e sofferente, Non sono più qui è una perla del catalogo Netflix

Presentato al Tribeca Film Festival e con la distribuzione internazionale di Netflix, Non sono più qui è stato diretto e scritto dal messicano Fernando Frias De La Parra. L’accoglienza che gli è stata riservata ai diversi festival a cui ha partecipato è stata più che positiva e – in effetti – la visione ne spiega il successo. Non sono più qui è un film che si potrebbe definire neorealista, dove la verità si presenta con le sue sfumature, negative e positive che siano. È stato definito teen drama, ma questa è un’etichetta un po’ limitante: è un film sul senso di appartenenza a una comunità, sui legami che si creano tra le persone che condividono una passione, ma anche su come un solo istante possa cambiare una vita intera. 

Il film Netflix Non sono più qui racconta una controcultura poco conosciuta

Uno degli elementi distintivi del film Netflix Non sono più qui, è la presenza quasi costante del commento musicale. Il protagonista, Ulises (Juan Daniel Garcia Treviño), è un appassionato di Cumbia, la danza nata in Colombia nel XVI secolo e poi diffusa in gran parte dell’America Latina. Al ritmo della Cumbia (che in Messico si connota come Kolombia), Ulises e la sua gang, i Terkos si esprimono e si riuniscono ogni sera. Nella danza, il taciturno Ulises dà il meglio di sé, e il suo look così particolare diventa una sorta di pittura di guerra dove il campo di battaglia sono le strade della città messicana di Monterrey

non sono più qui

Tutto sommato, quella di Ulises è una gang innocua, che si limita a piccole estorsioni, al cazzeggio e – ovviamente – ad ascoltare, cantare e danzare la Kolumbia. Tuttavia, i Terkos sono parte di un sistema più grande e pericoloso, quello della Star, un’organizzazione di cinque gang che controllano il territorio. Sarà proprio questo legame tra controcultura suburbana e i tremendi cartelli messicani della droga a mettere nei guai Ulises, costretto a lasciare all’improvviso il suo Paese e i suoi amici. 

Da Monterrey a New York: l’avventura di un outcast

Per sfuggire alla vendetta dei narcos messicani, Ulises si rifugia in uno dei quartieri più multiculturali di New York, il Queens. Senza parlare una parola di inglese, preso in giro dai suoi connazionali per via del suo aspetto e della musica che ascolta, Ulises si sente sempre di più un emarginato. Il senso di isolamento del protagonista, troppo appariscente e particolare per essere un invisibile persino in una città come New York, pesa sempre di più, mese dopo mese. 

La visione cruda del regista Fernando Frias De La Parra mostra un ragazzo lontano da qualsiasi affetto, perso in una delle realtà più caotiche al mondo. Il suo profondo radicamento nella sua città d’origine e – soprattutto – nella sua gang lo rendono pressoché indifeso in qualsiasi altro luogo. Neanche l’interesse della coetanea Lin (Xueming Angelina Chen) che tenta un rapporto con lui per aiutarlo a integrarsi, sarà sufficiente a ricreare un’idea di “casa”. 

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Come spesso accade in questi contesti sociali, quello della gang è il vero nucleo familiare di Ulises, motivo per cui – quando avvertirà il pericolo che minaccia i suoi componenti – farà di tutto per tornare indietro. Importante, in questo senso, il ruolo della radio locale, che fa da sottofondo costante nelle giornate del protagonista e dei suoi amici. Sarà l’unico modo in cui Ulises potrà sperare di comunicare con loro, per non spezzare del tutto il loro legame. 

Ritmo lento su musica sincopata, il bel contrasto del film Netflix Non sono più qui

Musica e silenzio, e qualche tentativo di conversazione. Non sono più qui è un film che va visto con una certa concentrazione, perché è facile perdersi gli snodi narrativi e le relazioni fra i personaggi. La natura silenziosa di Ulises, accentuata ovviamente quando si trova in America, è resa dalla scrittura dilatata di Fernando Frias. Pochi dialoghi, non sempre significativi, là dove la forza comunicativa del film è affidata a ben altri linguaggi. 

C’è quello dell’estetica dei personaggi, estremamente caratteristica, che racconta una cultura definita, forte, anche se poco conosciuta dal pubblico europeo e nord americano. C’è la musica, che diventa quasi l’unica voce con cui il protagonista riesce realmente a comunicare i suoi stati d’animo (importante in questo senso il dramma del non riuscire a ballare da solo in metropolitana). Ci sono i paesaggi urbani, spietati, decadenti, che hanno – tuttavia – un loro innegabile fascino. C’è il tentativo, per gesti e poche parole elementari, di una relazione da parte di Lin, che parla di una solidarietà che va ben oltre l’essere connazionali. 

La regia di Frias De La parra segue questi potenti veicoli comunicativi, che riescono a fare a meno della parola. Il suo è un ritratto imparziale, un taglio da cinema del reale, che attende che i suoi protagonisti si esprimano così come sono. La sua sensibilità permette che Ulises e i Terkos fioriscano davanti alla camera così come si comporterebbero realmente nelle periferie di Monterrey, con una spontaneità tale da permettere loro di essere incredibilmente poetici, senza mai essere retorici. 

Non sono più qui è disponibile su Netflix a partire dal 27 maggio 2020, in lingua originale sottotitolata. 

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.