Ice-Pick Lodge torna sui suoi passi dopo tredici anni con il remake/sequel di Pathologic, drammatico gioco d’avventura dai toni psicologici molto forti.

L’est-europa pre-industriale era senza dubbio inospitale, grezzo, scomodo, malato, dominato da una nobiltà corrotta e violenta e fitto di tradizioni, credenze e superstizioni. Pathologic 2 rispecchia e mantiene questi tratti tanto nella forma narrativa quanto in quelle ludiche ed estetiche.

L’incipit che accompagna il giocatore una volta avviato Pathologic 2 è forse la parte più eloquente e riassuntiva del tono, dei modi e delle finalità dell’esperienza proposta dallo studio russo. Senza entrare troppo nei dettagli della complicatissima storia imbastita nel gioco la trama ripercorre il ritorno nella propria città natale di un medico, richiamato al nido da una misteriosa lettera del padre, che dovrà risalire la complessa (e per lui estremamente compromessa) scala sociale sia per risolvere il caso di omicidio collegato al genitore sia per curare il villaggio da un’epidemia.

Ha soltanto dodici giorni per poter ristabilire l’ordine ed è proprio dalla fine del suo percorso che inizia il gioco. Da qui Pathologic 2 apre le porte verso le tante “maschere” che popolano lo stratificato palcoscenico su cui si svolge l’azione. Un palcoscenico tanto figurativo quanto reale, come il giocatore imparerà ad apprezzare proseguendo con le ore di gioco.

Palcoscenico e maschere – Per un approccio pirandelliano al videogioco

C’è un gusto che a noi italiani echeggia in modo abbastanza diretto gli interventi nella letteratura di Luigi Pirandello, in Pathologic 2. Lo scrittore siciliano ha dato un contributo formidabile alla cultura del contemporaneo grazie a concetti come quello della “maschera” e del “palcoscenico”, che possono essere ritrovati nel videogioco russo.

Ora, sono abbastanza certo che Ice-Pick Lodge non si sia ispirata allo scrittore italiano per comporre la struttura narrativa del gioco. Eppure l’attenzione riposta verso maschere, sia figurate che psicologiche, e teatro come ponte per raccontare delle mente degli uomini hanno sicuramente dei punti di incontro con ciò che ha scritto Pirandello.

Anche qui le maschere vengono intese come ipotetici ruoli che ciascun individuo è costretto dalla società a cambiare a seconda delle altre persone verso le quali si approccia o si approccerà, come se non ci fosse possibile essere noi stessi quando dobbiamo perseguire delle relazioni ma che tutto si risolva in compromessi costretti ed imposti. I personaggi di Pathologic 2, protagonista in primis, sono costretti all’intercambialità tanto dagli eventi quanto dal giocatore.

L’estremo peso dato alla scelta, con la possibilità di stravolgere totalmente il senso di un intervento e di un dialogo data a chi gioca, è il fulcro di questa tematizzazione che è comune a Pirandello. Come nelle opere dello scrittore anche qui le relazioni e i momenti sociali sono messe in scena plateali e teatralicamente costruite, facendo diventare la socialità nient’altro che una serie continua e infinita di palcoscenici da cui i personaggi saltano per andare al successivo un po’ dimenticandosi chi sono e un po’ portandosi dietro l’esperienza maturata durante le altre rappresentazioni.

Ed è anche sul palcoscenico della vita, il teatro della realtà che funge da messa in scena dell’essere, che Pathologic 2 incontra Luigi Pirandello. I personaggi qui si alternano e presentano al giocatore proprio come i “sei in cerca di autore” dimostrando la loro fondamentale necessità di drammatizzare la propria esistenza per renderla più appetibile e empatica.

Tutti gli attori su schermo – anche quelli meno influenti – si mostrano come archetipi, scheletri che vagano per il mondo di gioco aspettando che il giocatore li definisca, li scolpisca e li orienti seguendo le sue scelte alle quali loro reagiscono diventando ciò che lui/lei vuole che essi siano. Qui maschera e palcoscenico convergono, diventando un tutt’uno che definisce un (vecchio) nuovo tipo di essere umano: uno che esiste grazie agli altri suoi simili e che da essi viene reso diverso, trasformato, reso vivo. Anche in questo caso sono nuovamente i dialoghi a scelta multipla a dare la bussola in mano al giocatore. pathologic

A lui/lei le redini del discorso dentro i quali i personaggi non sono altro che pedine che si fanno guidare e rendere vere da ciò che sceglie. La convergenza maschera-palcoscenico si realizza e si getta nelle sue mani, arrivando senza fare grandi complimenti e cercando spesso di disorientare e fare sentire non a proprio agio restituendo il peso della decisione della vita altrui in modo ludicamente rilevante. È la morale di chi gioca ad essere la bilancia sotto la quale passano tutti i pesi del gioco, è questo il giudizio finale sotto il quale vagliare le recite dei personaggi.

La scala sociale non è un calvario soltanto per il protagonista, non è un ostacolo che solo lui dovrà scalare con fatica e totale inesperienza, ma è anche e soprattutto il giocatore con il suo fondamentale ruolo di giudice e carnefice a doverne scendere a patti. Compromessi che contengono altri compromessi, tra personaggi e personaggi in superficie e tra gioco e giocatore in profondità: un duello a più livelli attraverso il quale viene chiaro che avere il controllo non vuol dire avere l’ultima parola.

Conclusioni: l’insospettabile scomodità dell’essere

A inizio articolo ho definito la realtà in cui si posiziona Pathologic 2 come inospitale e incline al far sentire scomode le persone. Sono esattamente le sensazioni che il gioco fa trasparire tanto a livello narrativo, come abbiamo potuto scoprire, quanto a livello ludico.

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La struttura del gameplay proposta è controintuitiva, ostica, assente di smussature o di agevolazioni per il giocatore che anzi dovrà sbatterci il naso a suo discapito per poter capire sia come sopravvivere gestendo fame, sete e riposo sia per ristabilire la sua condizione sociale tentando di persuadere il villaggio e farsi considerare la salvezza necessaria ad uscire dall’epidemia. Questo atteggiamento e questa atmosfera sono percepibili e totalizzanti dell’esperienza su tutti i suoi livelli: sia sulla questione più strettamente ruolistica e survival, sia sulla sopravvivenza sociale e sul saper gestire i palcoscenici della vita.

È poco accomodante la gestione delle missioni, affidata a uno schema di pensieri del protagonista, così come comprendere meccanicamente come gestire le variabili di sopravvivenza. È fastidiosamente strutturato e incomprensibile lo schema di dialoghi infarcito di allegorie, metafore e riferimenti surreali che i personaggi sputano addosso al giocatore facendolo vacillare riguardo alla sua posizione di decisore.

Ed è per questi motivi che Pathologic 2 è un gioco grezzo e non gentile: perché è questa la lezione di vita che vuole impartire, e per farlo è disposto a non scendere a mezzi termini e compromessi in totale contrapposizione con la vitale necessità di farlo dei suoi personaggi e del giocatore. Tradisce chi gioca a più riprese, ingannandolo circa quanto possa intervenire in ultima istanza, per dargli un segnale sicuramente chiarissimo ma certamente difficile da digerire.

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.