Dopo anni di chiacchiericcio social e di copertura mediatica, Pride Run porta le dinamiche delle manifestazioni LGBTQ+ nel mondo dei videogiochi.

Se c’è una persona che stimo profondamente, nel panorama del videogioco, è Ivan Venturi. Non è una questione di campanilismo o di patriottismo becero, anzi è proprio il contrario. La sua estrema e realistica volontà di rivestire i giochi che produce di componenti sociali è ammirevole e contribuisce in modo sensato e sensibile a nobilitare il medium. C’è un grande spirito internazionalista nei suoi lavori, che viene fatto combaciare con una ricerca dell’attinenza meccanica che non è mai simulativa o distante dalla necessaria astrazione. In tempi recenti, i giochi firmati IVP hanno trattato questioni spinose del contemporaneo e lo hanno fatto avendo sempre in mente l’equilibrio necessario a creare un prodotto definito ludicamente dalla rilevanza politica precisa. Pride Run, ovviamente, non fa eccezione.

Pride Run si posiziona in modo inequivocabile sulla scia di prodotti come Riot: Civil Unrest (prodotto anch’esso da Venturi) e del recente Hard Times andando ad infoltire quella che potremmo quasi definire una scuola italiana del gioco informativo. Prodotti che hanno una identità politica molto accentuata, che rispecchia quella delle persone che lo hanno realizzato, e che vogliono dare un segnale prima di tutto all’interno dell’industria e agli appassionati. Se si vuole davvero che il videogioco acquisisca lustro e senso dobbiamo accogliere con interesse questi giochi ed essere pronti a farci avviare ragionamenti che, normalmente e sbagliando, non vengono associati all’attività ludica. 

pride run

Dance with pride, live with pride, play with pride

Rappresentare un fenomeno complesso e spesso molto travisato e male interpretato come quello dei pride – per decine di anni considerato come un ossimoro o, ancora peggio, una carnevalata svilente della lotta LGBTQ+ – è già di per sé un lavoro complicatissimo, figuriamoci farlo in un videogioco. Raccogliere le sfumature di senso che un vestito, una bandiera arcobaleno e un determinato retroterra musicale custodiscono e trasformano in rivendicazione è un atto estremamente difficile. Non è sufficiente colorare il proprio prodotto per renderlo efficace; non bastano le piume e i lustrini per allontanare l’eventualità di una raffigurazione parziale e evidentemente omo e trans fobica. In questo senso Pride Run, seppur con dei limiti che dipendono moltissimo dalla lettura di ciascuna persona, compie un lavoro di ricerca e di completezza dell’informazione abbastanza encomiabile.

I gruppi rappresentati nel gioco non sono lasciati al caso – anzi le loro caratteristiche ludico-meccaniche sono attinenti alle caratteristiche reali – e nessuno di essi è tagliato fuori. C’è un processo di integrazione di contesti profondissimo, in Pride Run: autrici e autori del gioco hanno cercato in modo millimetrico di creare delle situazioni che fossero il più possibile inclusive e che non lasciassero niente al caso. Ogni centimetro di latex è lì per una motivazione ben precisa che si riflette nella realtà, ogni maledetto omofobo o stereotipo di esso è accuratamente riportato in uno dei boss di fine livello. Gli arcobaleni e le stelline sono accompagnati dalle cose che accadono davvero nel mondo quando avvengono questi eventi, sia da chi li sostiene e vi partecipa sia da chi li osteggia.

Pride Run, in questo senso, si arricchisce con un’estetica fortissima e a tratti irrealistica non per caricaturizzare o ridicolizzare dei concetti portandoli all’estremo. Al contrario, usa le possibilità pressoché infinite del videogioco a livello di creazione di immaginari per dare ancor più efficacia e importanza al tutto. Si rende alla giocatrice e/o al giocatore disponibile la possibilità di capire che si può e si deve giocare anche su questi temi, esagerando con l’estetica perché il videoludico lo permette ma rimanendo coesi alla realtà nelle trattazioni. L’orgoglio di essere se stesse e se stessi è la priorità, il divertimento che ne consegue anche ma sempre con la consapevolezza del caso.

pride run

Integrazione e meccaniche ludiche: un passo (di danza) in avanti

A conferma del fatto che l’inclusività è il tema portante e la direzione che IVP, Green Man Gaming e Steam Factory si sono dati come principale e inderogabile arriva anche tutto quello che concerne e riguarda il gameplay di Pride Run. Il gioco si prende tutto il tempo necessario per far capire a chi sta giocando che è necessario essere inclusivi e accoglienti anche quando si tratta di progettare meccaniche e regole, e lo comunica tanto attraverso le due modalità di gioco quanto tramite il modo in cui gestisce e posiziona ludicamente i gruppi rappresentati.

In primo luogo abbiamo le due modalità di gioco di Pride Run, Vanilla e Play Hard, che sono in buona sostanza due approcci totalmente differenti ad una mappa condivisa e comune. A discrezione di chi gioca, infatti, è possibile vivere la questione pride come un gioco musicale più propriamente detto o stravolgere totalmente le carte in tavola rendendo il tutto un ibrido rhythm game/strategico in tempo reale all’interno del quale siamo chiamati a gestire, ovviamente a ritmo di musica e balli sfrenati, la composizione del nostro corteo. Si fornisce quindi la possibilità di giocare il titolo come meglio si crede, senza discriminare o precludere l’esperienza a chicchessia.

Secondariamente è possibile trovare l’inclusione come bussola di orientamento del gameplay anche nella funzione che ciascuno dei gruppi rappresentati ha nel gioco, che riflette ciò che fanno nella realtà durante queste manifestazioni. Dancers e queers, ad esempio, hanno il compito di attirare passanti e di convincere loro di prendere parte al pride mentre bears e transessuali possono tornare utili per difendere il pride qualora passasse davanti a capannelli di omofobi dall’insulto facile. Pride Run, quindi non si premura solo di rappresentare visivamente le tante sfaccettature di questi cortei ma le integra e le rende parte fondamentale della struttura ludica.

pride run

In un contesto storico nel quale la rappresentazione di genere e di orientamento sessuale è sempre più rilevante, è giunto il momento che anche il videogioco si prenda la responsabilità di parlarne apertamente stimolando un dialogo. Con buona pace degli alt-righters e della destra negazionista arte e politica hanno un legame indissolubile e anche il videoludico – in quanto disciplina artistica – deve esporsi e riportare in modo intellegibile quello che le sue autrici e i suoi autori pensano.

Decidere in modo aprioristico che quello che viene considerato intrattenimento non può occuparsi di temi sociali è un atto che sminuisce il valore espressivo di un mezzo, e Pride Run in questo senso è una lezione precisa di come sia possibile creare un contesto divertente e informativo contemporaneamente. Un gioco militante che rappresenta in modo chiarissimo e rilevante per il videoludico una delle lotte più dure e aperte dei nostri tempi.

 

 

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.