Una drammaticità svuotata di commozione per Elle Fanning e Justice Smith in Raccontami di un giorno perfetto

È il marchio di fabbrica dei film originali Netflix: prendere l’amore nelle sue differenti forme e riplasmarlo di volta in volta per la sua nuova operazione cinematografica. C’è la scelta comedy, dove la spensieratezza prende il sopravvento sulle romanticherie, pur lasciando alla base quella dose di sentimenti per cui sentirsi riempiti e rigenerati. C’è la variante abbondantemente sentimentale, dove lo zucchero trapassa il confine dello schermo per venire sparso direttamente nelle vene e nei cuori degli spettatori.

C’è, poi, il risvolto drammatico, quella discesa nelle profondità problematiche delle persone e dell’amore, che solo attraverso il barlume dell’incontro può offuscare per un attimo l’oscurità, pronta a ripresentarsi partendo dall’interno di se stessi.

A quest’ultima emotiva, dolorosa, delicata categoria va aggiungendosi lo spaccato del rapporto tra i protagonisti Violet Markey e Theodore Finch, a cui i giovani interpreti Elle Fanning e Justice Smith vanno dando corpo, partendo dalla carta stampata dell’autrice Jennifer Niven.

Scrittrice e co-sceneggiatrice della pellicola assieme a Liz Hannah, per un adattamento che parte dal romanzo All the Bright Places, Raccontami di un giorno perfetto è il coincidere dei turbamenti di due studenti liceali, di due fragilità in rotta di collisione, di abbattimenti della vita da cui, forse, si può venire fuori insieme, ma dove è l’incognita dell’inadeguatezza che finisce spesso per predominare. 

Raccontami di un giorno perfetto tra la ricerca dei luoghi e di se stessi

Perdita e vuoto. Questi gli elementi che Violet (Elle Fanning) e Finch (Justice Smith) portano rispettivamente dentro. È su di un ponte che i ragazzi si parleranno per la prima volta, posto iniziale di tanti altri che segneranno la loro storia, in un passato che ha inizio dalla memoria, da quella sera in cui la macchina della sorella di Violet è scivolata sull’asfalto, strappandola via alla sua famiglia e portando con sé un pezzo imponente dell’esistenza della giovane.

Ed è alla ricerca di quel sorriso che non è più disposto a uscire fuori dalle labbra di Violet che andrà Finch, combattendo in solitaria con i suoi momenti bui, dove a volte sembra essere il caos a prendere il sopravvento.

Un progetto di scuola, l’intrecciarsi dei due ragazzi, l’andare a ricercare nei territori dell’Indiana i posti memorabili eppure nascosti della loro regione. Raccontami di un giorno perfetto passa per le tappe di un rapporto che il film va solidificando a ogni luogo inusuale, a ogni giostra visitata nel mezzo della natura più totale o a qualsiasi albero ricoperto di scarpe nascosto nel verde di un prato.

Partendo con un obiettivo apparentemente ben chiaro, usando la strategia degli scorci da scovare e riflettendoci il bisogno di scavare dentro di sé per giungere nuovamente alla propria parte più vera e felice, l’opera diretta da Brett Haley si perde assai presto nella descrizione dei caratteri dei suoi personaggi, come intrapresa inizialmente una via che si ricorda, improvvisamente, di dover cambiare. 

La staticità di un dolore, la staticità di un film

raccontami di un giorno perfetto

Focalizzandosi, al principio, sulla sola elaborazione del lutto da parte della protagonista Violet e pur comprendendo senza eccessive sottolineature i problemi compulsivi di cui è soggetto Finch, il film sembra non saper gestire contemporaneamente i due mali, avendo il bisogno di dedicare a entrambi un proprio spazio, ma delimitando troppo nettamente la narrazione, che dovrebbe rendere più omogenea l’integrità dell’opera.

Non solo, però, il non riuscire a inserire con senso di soddisfazione entrambi i malanni della coppia, è anche il distendersi eccessivo dei toni che atrofizza, nel suo procedere, l’opera, pur presentando minimi atti di lucentezza che troppe volte sembrano lontani da questo tipo di racconto, ma che emergono sparsi e volatili, tanto da venir presto fagocitati nuovamente dalla staticità della narrazione.

Il lungo tunnel da cui uscire dei due protagonisti

raccontami di un giorno perfetto

È dilungandosi senza mantenere alcun appiglio che Raccontami di un giorno perfetto tira avanti nell’abisso sempre più complesso e incrinato dei due ragazzi, non sapendo tramutare in commozione i dilemmi e, ancor più, i personali tunnel che i protagonisti stanno passando, ma rassegnando il film al loro dolore e, così, quasi adagiandosi su questo.

Una monotonia d’umore che presto va ad inserirsi e, definitivamente, a stabilizzandosi lungo tutta la pellicola, non permettendo ad alcuna corda di cambiarne il proprio tenore e rimanendo imprigionata nella sua sola tristezza.

Cercando di comprendere veramente i suoi personaggi, intraprendendo un percorso di scoperta che non saprà, poi, fondersi con la drammatica svolta dei suoi accadimenti, Raccontami di un giorno perfetto slitta su di un’intensità svuotata, però, di qualsiasi batticuore, non toccando nell’intimità quanto vorrebbe, ma crogiolandosi, soltanto, nella propria stessa, immobile sofferenza.