Le sirene nella cultura popolare: come un mito si afferma nella vita di tutti i giorni

Arriva l’estate ed è difficile pensare a un momento migliore per parlare del mito delle sirene e del suo affermarsi nella cultura popolare. Forse è perché Luca sta arrivando su Disney Plus. Forse per il clima estivo, che evoca visioni di mare. O forse perché il mese di giugno è divenuto il Pride Month, che proprio nella sirena ha iniziato ad avere uno dei suoi simboli.

Di certo la sirena, tra le molte creature mitologiche concepite dalla fantasia umana, è una delle più famose e rappresentate nell’immaginario collettivo. Se pensiamo ai mostri marini pensiamo anche a complesse civiltà sul fondo dell’oceano, abitate da creature anfibie dotate di parti del corpo simili a quelle dei pesci. Creature che ci fanno sognare, evocando scenari da fiaba.

Ma non è sempre stato così, anzi. Le acque hanno spesso esercitato un fascino oscuro sugli esseri umani, scenario sinistro di miti con protagonisti mostri dalla natura indefinita. Ne sono un esempio le sirene di Omero, mostri che poco hanno a che fare con l’immagine pacifica e tranquillizzante di Ariel, la Sirenetta della Disney.

Ma cosa sono le sirene, come nasce il loro mito e come si attesta la loro figura nella cultura popolare? Domande a cui proveremo a dare una risposta in questo viaggio, inoltrandoci negli abissi del folklore e della mitologia, prima di riemergere sotto il sole per comprendere la fortuna avuta da questi esseri mitologici nell’immaginario condiviso degli esseri umani.

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Sirene e sirene: diverse nel mito, unite nella cultura popolare

Oggi si tende a credere che la figura della “Mermaid“, la donna dotata di torso umano e coda di pesce, sia nata grazie alla visione di foche e lamantini da parte dei marinai. Eppure, a ben vedere, miti legati a creature nascoste negli abissi sono presenti ovunque nella storia umana.

Le acque hanno sempre affascinato gli esseri umani. Chi può dire cosa si nasconda nei recessi più remoti degli abissi? Questo fascino sembra parte del mondo sin dalle sue tradizioni più antiche. Già in Mesopotamia possiamo trovare divinità e miti legati alle acque primordiali, con figure che mostrano un corpo in parte umano, in parte di pesce, come la divinità Atargatis.

Questo genere di mito si attesta in diverse culture e parti del mondo. Dal Vicino Oriente Antico, culla di tante civiltà della Terra, sembra diffondersi sia in Europa che in Asia, dove è possibile trovare figure anfibie nel Ramayana, nel folklore cambogiano e in quello giapponese. Curiosamente proprio nel Sol Levante si attesta una figura molto simile a quella che diverrà l’immagine tradizionale della sirena, quella di un essere marino con il volto umano e dotato di una voce melodiosa, la ningyo. La sua carne, secondo il mito, poteva donare una lunga vita, permettendo agli umani di vivere fino a ottocento anni.

In occidente la figura della sirena appare diversa. Il suo aspetto è quello di un orribile uccello col volto di donna, capace di incantare i marinai con la propria voce, attirando le navi verso gli scogli e causandone naufragio. Le più note erano le sorelle Partenope, Leucosia e Ligea, descritte da Omero nell’Odissea. La loro fine giunse quando Ulisse, grazie ai consigli dell’ombra di Tiresia, riuscì a sentire il loro canto senza naufragare, tappando le orecchie dei suoi marinai con la cera e legandosi all’albero della nave. Lo smacco per le sorelle fu tale che si suicidarono, gettandosi in acqua.

Tuttavia è curioso pensare che anche nel bacino del Mediterraneo ci fossero diverse testimonianze di creature marine in parte umane e in parte pesci, anche se ancora non furono definite sirene. Ne riporta alcuni esempi Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, fonte inesauribili di aneddoti al limite del fantasy. Quando arrivò dunque la crasi tra il mostro omerico e quello che conosciamo tutti?

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La seduzione della sirena: dal Medioevo all’età Moderna

La figura della sirena presso i greci è sì quella di una seduttrice, ma assume anche un simbolismo nella filosofia, come portatrice di conoscenza, la stessa che le tre sorelle avrebbero offerto a Odisseo. Un tipo di seduzione molto insolito, diverso da quell’immagine di concupiscenza legato a questa creatura mitologica. La sirena come simbolo della sessualità che porta alla perdizione i bravi marinai è in effetti una costruzione successiva, nata con l’avvento del cristianesimo.

Forse perché, come suggerisce qualche teoria, le piume offrivano un richiamo troppo angelico, i bestiari del Medioevo fusero le ammaliatrici omeriche con i mostri marini, creando una nuova creatura, di cui si legge per la prima volta in un bestiario di un autore anonimo del Secolo VIII, il Liber monstrorum de diversis generibus. La voce della sirena e il suo canto divengono quindi simbolo di attrazione verso il peccato. Ne riporta un esempio quella che è una delle più grandi opere del sapere umano, la Divina Commedia. Nel Canto XIX del Purgatorio, in prossimità della cornice degli Accidiosi, Dante sogna di una “femmina balba” che si trasforma quindi in una donna attraente, la quale si presenta come la sirena, simbolo di piacere fisico capace di distrarre l’essere umano da fini più elevati. Come lei stessa dice “[…] e qual meco s’ausa, rado sen parte; sì tutto l’appago!

Nel Secolo XIV la figura della sirena come donna bellissima e ammaliatrice è già attestata. Più difficile è chiedersi come l’immagine dell’essere per metà pesce si sia diffusa così tanto, al punto da trovare riscontri anche nell’arte e nella letteratura. Ciò che non bisogna scordare è come il Medioevo sia anche un’epoca di grandi esplorazioni nautiche. E proprio questo, forse, contribuisce a rafforzare la figura delle sirene nella cultura popolare, senza che tuttavia essa si stacchi dal mito.

Va anche detto che in molte culture europee non latine erano presenti miti di creature marine capaci di assumere l’aspetto di donne. Tra queste una figura del folklore celtico, diffusa anche in Scandinavia e nelle isole limitrofe, è quella della Selkie, foche che avevano la capacità di mutare pelle e diventare esseri umani, vivendo in superficie. La rinuncia alla vita acquatica per sposare un partner umano è una storia che ritorna molto spesso nelle storie con protagoniste queste creature. Storie diffuse in tutto il nord Europa che, forse, furono raccontate anche a un bambino di Odense, di nome Hans Christian Andersen.

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Dagli abissi alla luce del sole: la Sirenetta di Andersen

La storia della Sirenetta la conosciamo tutti grazie al classico Disney del 1989. La fiaba originale possiede in realtà tinte molto più oscure. Una splendida sirena adolescente, figlia del Re del Mare, il giorno del suo quindicesimo compleanno sale in superficie e si innamora di un Principe. Per inseguire questo amore impossibile, ostacolato dalla sua famiglia e dalla sua natura stessa, la giovane cede a un accordo con la strega del mare. A prezzo di indicibili sofferenze e della sua voce avrà la possibilità di trasformarsi in umana e tentare di ammaliare il Principe ma, in caso di fallimento, si dissolverà in spuma marina.

La fiaba non finisce bene. La giovane non riesce a mutare l’attrazione del principe in amore, finendo così per morire. Le viene tuttavia concesso di reincarnarsi in un nuovo livello di esistenza, uno spirito dell’aria che potrà aspirare a ottenere un’anima (e quindi la vita eterna) attraverso le buone azioni, facendo sorridere i bambini.

Inutile girarci troppo intorno: la fiaba della Sirenetta, così come concepita dal suo autore, è secondo molti un’allegoria dell’omosessualità. L’anno prima della pubblicazione della storia il migliore amico e mecenate di Andersen, al quale l’autore aveva scritto alcune accorate lettere d’amore, si era sposato. Potete immaginare la delusione di Hans all’idea di perdere il suo amato. Una storia impossibile, ostacolata dalla società e dal pregiudizio verso l’omosessualità, all’epoca ancor più feroce di oggi. Andersen convogliò quindi i suoi sentimenti nell’opera, pubblicata nel 1837. Sono molte le tematiche tipiche di Andersen che si mostrano in questa fiaba, ma il tema della diversità presente anche nel Brutto Anatroccolo (spesso vista come un’allegoria del conformismo) e nel Soldatino di Stagno assume qui un valore ben più autobiografico. Una dichiarazione per un amore impossibile e non corrisposto.

La Sirenetta è lo stesso Hans, che per tutta la vita ha dovuto vivere nascosto: la sirena sul fondale, l’autore celando al pubblico la sua sessualità. La scelta di salire in superficie, di uscire allo scoperto, comporta tuttavia enormi sacrifici e dolore. Da un lato la fanciulla della fiaba, che perde la sua voce e sopporta un intenso dolore a ogni passo, come parte dell’accordo con la Strega del Mare. Dall’altro Hans, costretto a ricevere gli strali della sua comunità.

Il fatto stesso che la Sirenetta sia descritta come priva di anima richiama la religiosità dell’autore. Il padre era un fervido cristiano e trasmise al giovane il suo credo, cosa che ebbe conseguenze sulla sua psiche. La convivenza della fede cristiana con la sua omosessualità, vista dalla religione come un peccato imperdonabile, ci appare come qualcosa di lacerante per l’autore. Una sorta di contraddizione a cui Andersen diede sfogo sulla carta.

Un’ultima nota biografica è presente nel finale dove la Sirenetta viene elevata a un nuovo stadio di esistenza. Dopo la morte otterrà un’anima compiendo buone azioni per trecento anni. Il suo scopo sarà quello di aiutare i bambini, donando loro pace e sorrisi. Non troppo diverso da ciò che deve fare un bravo romanziere con le sue fiabe.

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Fuggire dagli abissi

La storia della Sirenetta è quindi una storia di coraggio e redenzione. Un tentativo di essere se stessi, nonostante il parere contrario della società e nonostante il dolore che può causare questa scelta. Appare quindi evidente che per la comunità LGBTQ+ la sirena, specie nella valenza data da Hans Christian Andersen, sia diventata una sorta di totem, uno spirito guida.

Fuggire dagli abissi è un’azione che comporta grandi sacrifici. Emergere, salire in superficie e rivelarsi richiede coraggio. Un coraggio che Andersen poté trovare solo nel proprio racconto e che oggi, tante (troppe) persone, sono costrette a trovare in se stesse, affrontando il giudizio della società. Una società che, nel 2021 come nel 1837, non sembra ancora in grado di accettare le diversità. Molto meglio, per la maggior parte delle persone, che i brutti anatroccoli diventino cigni, adeguandosi alla massa.

Questo tipo di concetto sembra tornare anche nell’ultima produzione Disney con protagonisti degli esseri marini, Luca. Il nuovo film Pixar in fondo parla proprio di questo, dell’uscire dagli abissi per vivere alla luce del sole. Un concetto che potrebbe essere fatto proprio da qualsiasi persona, indipendente dalla sessualità, dal colore della pelle e dal pensiero politico.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.