La quarta stagione di Stranger Things ci restituisce le atmosfere del passato, ma prova anche a compiere importanti passi in avanti

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unning Up That Hill di Kate Bush, pubblicata nel 1985, è tornata improvvisamente in cima alle classifiche mondiali. A cosa è dovuta questa ritrovata passione per una hit ormai così datata? Chiaramente al fascino nostalgico di Stranger Things, che la piazza d’emblée in uno dei momenti più belli della quarta stagione.

Perché sì, ormai lo sappiamo bene, tra i tanti motivi del successo incredibile che ha avuto e continua ad avere Stranger Things c’è la sua capacità di far leva sulla nostalgia degli 80s, e lo fa talmente bene da incantare anche chi quegli anni non li ha vissuti. Io, ad esempio, sono nato nell’86, proprio l’anno in cui è ambientata questa quarta stagione, per cui la mia infanzia è rappresentata dagli anni ’90, eppure da sempre subisco una particolare fascinazione per gli anni ’80, ultimo baluardo di un mondo pre-globalizzazione, pre-internet, in cui nonostante i primi barlumi di un progresso tecnologico, ancora ci si poteva divertire in strada con un pallone (“perché, adesso non si fa?” No, infatti sono due volte di fila che non ci qualifichiamo al mondiale, ma questa è un’altra storia n.d.R.). Non c’erano i telefonini, tantomeno gli smartphone, e come Dustin & co. ci insegnano, si poteva provare a comunicare a distanza con dei walkie talkie.

Gli anni ’80 portano con sé un fascino intramontabile sia per i fortunati che li hanno vissuti di persona, sia per gli eredi che li hanno assaporati solo tramite racconti altrui, e questo – appunto – è il successo della popolarità incredibile che ancora adesso vantano le canzoni, i film, la moda e molto altro attinente a quel periodo.

La quarta stagione di Stranger Things insomma ha in serbo tutto questo, ma anche molto altro. Così come i suoi protagonisti, veri e propri bambini ai tempi degli esordi dello show su Netflix, anche gli spettatori sono cresciuti e se una buona fetta degli adulti ammaliati dalla serie non è certo propensa a cambiare gusti, per i giovanissimi che si erano approcciati a Stranger Things indotti dalla presenza di protagonisti coetanei invece adesso i tempi per un consistente passo in avanti sono maturi.
Le prime stagioni in effetti erano un giusto mix di thriller e divertente avventura di spielberghiana ispirazione, adatti a qualsiasi tipologia di spettatore, mentre già dalla terza si intravedeva un’impronta ben più dark, sviluppatasi poi definitivamente in questa season 4 a tinte – per lunghi tratti – horror.
E allora i Duffer Brothers non si pongono grossi limiti (neanche di budget), e giù via di braccia e gambe si spezzano, occhi cavati, sangue ovunque. I mostri pacchiani delle precedenti stagioni vengono soppiantati da un horror a tratti più psicologico ma più vivido e intenso, e soprattutto da Vecna, un demone che sembra un po’ Voldemort in versione sottosopra.

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Ma quando parliamo di maturazione, il riferimento va anche inevitabilmente alle singole storie vissute dai nostri protagonisti, e finanche alle relazioni spesso complicate con cui si trovano ora a fare i conti, giunti di fatto all’età adulta. Tra rapporti di amicizia messi a dura e prova e, soprattutto, storie d’amore problematiche, tra distanza, imbarazzo e paura delle convezioni sociali (stiamo pur sempre parlando degli anni ’80), la quarta stagione ci regala anche nuovi personaggi, ben riusciti, come lo “svitato” Eddie (Joseph Quinn), un appassionato di Dungeons & Dragons, che finirà suo malgrado al centro della sinossi, e poi Argyle (Eduardo Franco), il folle e simpaticissimo amico di Jonathan, mentre inaspettatamente poco spazio viene riservato a uno dei migliori personaggi della precedente stagione, ovvero Erica Sinclair (Priah Ferguson).

Il tutto si snoda attraverso una narrazione fitta ma molto ramificata, in cui forse assistiamo a un po’ troppi passaggi da una storia all’altra, sebbene il tutto sia fondamentale come sempre per unire i punti e per differenziare un po’ con il prosieguo degli sviluppi di trama.

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Forse questa stagione (anzi, la sua prima parte) è stata un po’ diversa da come molti se l’aspettavano, ma come sempre è stata in grado di farsi apprezzare da un pubblico eterogeneo, sia per gusti che per età, mantenendo comunque intatta la magia che l’ha resa una delle serie più amate degli ultimi anni. In attesa, chiaramente, dell’atto conclusivo.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.