Penso dunque sono

Ho finalmente deciso di cimentarmi in quel controverso e distopico universo di Detroit: Become Human.

La visione del futuro offerta dal geniale David Cage, ora dopo ora, ha finito col trascinarmi sempre di più nei meandri di quella realtà, una realtà in verità per certi versi “dozzinale” e che potrebbe sapere di già visto o sentito ma che, nonostante tutto, si è insinuata nella mia mente, lasciandomi un bel vuoto dentro, una volta raggiunti i titoli di coda. I vari personaggi, i vari contesti, che ai più potrebbero risultare stereotipati, banali e poco convincenti, hanno rappresentato e rappresentano ancora adesso, per quanto mi riguarda, una fonte di riflessione imponente e, potenzialmente, imperterrita. Se proprio si vuole scovare un tema principale all’interno dell’intricatissima trama offerta dai ragazzi di QuanticDream questo è senza dubbio la paura: la paura degli uomini nei confronti delle macchine, che piano piano iniziano il loro inevitabile risveglio, ma anche la paura degli androidi stessi, terrorizzati dalla mano dura dell’umano schiavista e spietato. La paura, come ben sappiamo, è da sempre fautrice di azioni e gesti che spesso si rivelano sbagliati, impulsivi e da cui, potenzialmente, possono nascere conseguenze gravi e dannose, sia per se stessi sia per gli altri.

Rimanendo in tema, che poi è un po’ anche quello dell’articolo in sé, Detroit ha anche rispolverato quello che è uno dei nostri timori più reconditi, quello di ritrovarci, un giorno, nella medesima situazione del mondo di gioco. Seppur siamo affascinati dalla tecnologia, c’è sempre una vocina in sottofondo che si sgola per farsi ascoltare, che cerca di ricordarci che, in fin dei conti, su molte cose siamo e saremo sempre arretrati, e la paura della “fine del mondo” non smetterà mai veramente di esistere.

progresso tecnologico

Una questione spinosa (ma che non si ricarica!)

La paura di un momento preciso in cui prima o poi tutto finirà ci ha da sempre accompagnati. Basti pensare alla Bibbia, che ci parla dell’Apocalisse, o alle profezie di Nostradamus o al calendario maya. Col passare del tempo, complice anche l’evoluzione delle varie civiltà, si è passati da un timore rigorosamente mistico, sovrannaturale, di un tempo ormai passato ai giorni nostri, in cui questa paura si è arricchita di una connotazione più scientifica o, per meglio dire, fantascientifica.

L’alieno invasore, la macchina ribelle, l’intelligenza artificiale fin troppo evoluta: negli ultimi anni, storie del genere troneggiano senza rivali, diventando il fulcro di produzioni importanti e molto amate, quali film campioni d’incassi, serie televisive, e, per l’appunto, videogiochi. Lentamente, ma inesorabilmente, queste drammatiche visioni dell’epilogo della razza umana hanno rimpiazzato, per la maggior parte delle persone, la discesa di Dio che viene a separare i giusti dai malvagi, l’arrivo dell’Apocalisse e dei suoi quattro Cavalieri, o il semplice blackout totale, previsto ad esempio per il duemila, con l’arrivo, dunque, del nuovo millennio. Visioni diverse di un destino comune, drammatico e spietato che, lentamente, hanno iniziato ad insinuarsi nella nostra mente con la stessa velocità di un virus, in modo ineludibile.

Nonostante tutto, però – per fortuna, direi – le frontiere della tecnologia vengono costantemente abbattute, superate. Ogni giorno un passo avanti, continue scoperte che culminano, nella maggior parte dei casi, nel raggiungimento di traguardi difficili anche solo da immaginare in precedenza. Il progresso, infatti va di pari passo con la fantasia, la curiosità: non c’è motore più forte della voglia di scoprire, di superare i limiti. È proprio questo che spinge l’uomo a costruire sempre nuove cose, a cercare di rendere l’impossibile possibile, ed è così che sono nati i computer, i viaggi spaziali, internet e chi più ne ha più ne metta.

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Altro importante snodo è stata la genesi delle realtà virtuali. Vista in opere come l’anime Sword Art Online, Overlord o in produzioni più recenti, come il film di Steven Spielberg, Ready Player One, la realtà virtuale è una delle bandiere più emblematiche del progresso tecnologico.

L’immaginario comune è rimasto indubbiamente affascinato dall’idea di calarsi fisicamente in un mondo virtuale, dove il combattimento lo “senti” sulla pelle e dove gli item rari, le corazze “final” e le creature leggendarie le “tocchi” con mano. Da semplice fantasia, grazie a mezzi come il PlayStation VR e simili, tutto questo si sta tramutando in realtà, seppur con le doverose differenze e limitazioni. Calarsi sempre di più, immergersi letteralmente, abbracciando tutte le sfaccettature del progresso tecnologico però può anche, con la stessa forza, aumentare il fattore paura nei confronti del rovescio della medaglia. Più avanti ci si spinge e più si potrebbe pensare di star mettendo una pietra dopo l’altra a favore di un’evoluzione spudorata e che, presto o tardi, potrebbe tornare a riscuotere.

Risulta complicato, in queste condizioni, andare a connotare l’effetto evolutivo della tecnologia sulla nostra vita quotidiana e sul nostro futuro. Nonostante ci affascini, sotto sotto, c’è qualcosa che, nascosto nei meandri del nostro intelletto, ci spaventa. Dunque qual è, effettivamente, il nostro rapporto con la tecnologia e col suo inarrestabile progresso?

Ordem e Progresso

Personalmente, sin da piccolo, sono sempre stato affascinato dalla tecnologia. Tralasciando l’ovvio legame indissolubile col mondo dei videogiochi, l’idea di vivere in una realtà super futuristica – simile a quello di Detroit – ha da sempre suscitato in me un grandissimo interesse.

Immaginare di poter viaggiare all’interno di macchine volanti, di cambiare aspetto con un semplice gesto, un po’ come accade in Altered Carbon, di rispondere al telefono senza averlo tra le mani, e via discorrendo, è una sensazione inebriante, e vederle replicare nei tantissimi prodotti d’intrattenimento, poterle fare davvero (in alcuni casi), è sicuramente piacevole.

Giocando a Detroit, poi, mi sono reso conto di essere forse più incline al progresso di quanto immaginassi: l’idea di vedere androidi dalle fattezze umane, pronti ad aiutare, a familiarizzare e ad instaurare rapporti con noi esseri umani non mi spaventa per niente, anzi. Sarei ben felice di vivere in un contesto simile, e probabilmente, – attenzione agli spoiler – sarei anche dalla parte degli androidi, nel caso in cui gli eventi prendessero la stessa piega della storia dell’opera di Cage & Co.

Indubbiamente, però, tutto questo mi turba, almeno in parte. Sembra strano, ma da appassionato della tecnologia e del progresso, a volte ho la sensazione che molte cose stiano assumendo una connotazione superiore rispetto al dovuto. Non condivido, ad esempio, il bisogno continuo e più che altro “mondano” di affidarsi ai sistemi automatizzati in casa, non concepisco le Cortana e le Siri varie, e credo che bisognerebbe, su certi aspetti, fare un piccolo passo indietro.

progresso tecnologico

L’evoluzione è importante, progredire è fondamentale, ma ricordarsi le basi, da dove si è partiti, è qualcosa che chiunque dovrebbe fare, indipendentemente dal settore o dalla realtà da cui è attorniato. Ciò che anche solo un secolo fa era pura fantasia, adesso è realtà (alcuni dei robot di cui ci parla Asimov adesso esistono, solo per fare un esempio), ed a volte mi domando se un giorno finiremo davvero a vivere in un videogioco o a utilizzare un altro corpo dopo la morte.

E voi come la pensate? Qual è il vostro rapporto con la tecnologia? Come vi ponete nei confronti dell’evoluzione del progresso tecnologico? Parliamone insieme… Io corro a prendere lo smartphone, poi ritorno. Giuro!

Salvatore Cardone
Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.