A 25 anni ci si sente un po’ spaesati. Si è a metà tra la fanciullezza e l’età adulta, e cominciano i primi dilemmi sul futuro. PlayStation sembra però certa del suo cammino, cominciato per l’appunto 25 anni fa nel 1994, e che continua a maturare e stravolgere il panorama videoludico, come dimostra il prossimo avvento di PlayStation 5 nel 2020. In occasione di una giornata così importante, vogliamo immortalare l’inizio di tutto con dei ricordi personali, intimi, di noi della redazione, tra hardcore gamer che grazie a quella scatola grigia si ritrovano a lavorare con la loro passione più grande, e coloro che il videogioco lo hanno abbandonato crescendo, ma mai dimenticheranno le sensazioni di 25 anni fa, vissute proprio grazie a PlayStation. Un viaggio nel passato, per omaggiare una delle principali icone videoludiche.

25 anni playstation

Galeotto fu Final Fantasy VII

La mia esperienza con PlayStation è stata all’inizio particolare. Non ricordo in che anno presi la presi, ma era sicuramente un bel po’ dopo l’uscita – avevo anche una cosa come 10 anni, abbiate pazienza – perché prima di quella il mio cuore era tutto per Nintendo, e mi dividevo tra Nintendo 64 e Game Boy. La svolta avvenne per la varietà di giochi, dal momento che su PlayStation usciva molta più roba di quanta non ne se ne distribuisse per Nintendo 64: potevo vederla dalle riviste multipiattaforma che acquistavo, e ovviamente mi faceva gola. Il primo gioco che presi fu Final Fantasy VII, quando probabilmente già era uscito l’ottavo. Lo trovai usato, ma era in spagnolo.

Questo non fermò il piccolo me stesso dall’acquistarlo (tanto lo spagnolo lo capivo quanto l’inglese, zero, quindi…). Da quel momento in poi iniziai a divorare JRPG, di qualsiasi tipo, da Final Fantasy Tactics a Legend of Dragoon, e probabilmente la mia passione per il genere e i prodotti giapponesi nasce proprio da questo preciso momento della mia vita (durante il quale mi approcciai anche ai primi anime e manga). Da una console così importante per la mia formazione non è però scaturita un’insana passione per PlayStation, e forse anche grazie al mio primo approccio con il medium via Nintendo, tutt’ora non riesco ad avere una preferenza per un brand piuttosto che per un altro.

Luca Marinelli Brambilla – Direttore

Il connubio perfetto

Prima di comprare la Playstation, l’ho sognata molto a lungo. Non la presi al lancio e nemmeno subito dopo, ma questa è un’altra storia. Venivo da anni di gloriose esperienze videoludiche con lo SNES, per poi passare al PC. Proprio su quest’ultimo nacque il mio amore incredibile per la serie Resident Evil, con la conversione del primo capitolo per macchine Microsoft. Nel mentre faceva capolino sulla prodigiosa console Sony Final Fantasy VII.

Vedevo PSX da esterno come il connubio di due grandi elementi legati a quell’epoca, che presto sarebbe diventato per me una necessità imprescindibile: l’avanguardia tecnologica dell’era poligonale, e le produzioni giapponesi. Legatissimo alla filosofia nipponica, potuta assaporare fino a quel momento solo sotto forma di sprite, e super affascinato e intrigato dalle potenzialità della grafica 3D che, salvo sporadici casi di porting ultra posticipati, sul PC si poteva osservare solo in produzioni occidentali, PSX fu per me una macchina quasi messianica. Inutile dire che l’arrivo di Resident Evil 2 fece crollare tutte le esitazioni.

Da lì, la mia storia di videogiocatore, è sostanzialmente parallela a quella di PlayStation: una infinita sequela di titoli ed esperienze di pura eccellenza, la scoperta e di molti generi e forme narrative fino ad allora per me sconosciute. PlayStation era la macchina da gioco universale, capace di accontentare il giocatore occasionale come quello più sperimentatore o particolarmente legato ad una scuola di pensiero creativo (nel mio caso, appunto, quella giapponese). Ricordi fantastici, che mi fanno sentire vecchio, ma con il sorriso.

Davide Salvadori – Editor in Chief

Tutta colpa di Lucio Battisti

Il mio primissimo ricordo relativo alla PlayStation fu quando me la fece conoscere un mio amico d’infanzia, e fra me e la console fu amore a prima vista. Ricordo che mi fece vedere quella scatoletta grigia quasi un po’ anonima e io, venendo dall’Amiga 500, chiesi candidamente: “E dov’è la tastiera? Dove li metti i floppy?”. Che ingenuo che ero. Non ricordo l’anno di quell’episodio, ma ricordo quando mio padre me la regalò. Era il Natale del 1998 e gli avevo rotto le scatole per tutti i mesi precedenti perché me la regalasse, ma aveva sempre detto di no, e io mi ero ormai rassegnato. Quando scartai il pacco impazzii di gioia come il bambino del Nintendo 64 e volli giocarci subito.

Purtroppo però la console era modificata (non mi guardate così, avevo 12 anni, vi ho detto che ero ingenuo, probabilmente manco sapevo che non fosse legale), e i due giochi che mi furono regalati con la PlayStation erano il primo Gran Turismo, che non funzionava, e FIFA 99 che invece si rivelò essere una compilation di Lucio Battisti, presumibilmente per via di un equivoco col negoziante. Per cui l’unica soluzione fu consumare il disco con le demo dello stesso Gran Turismo, MediEvil, Tekken 3 e Kula World.

Fu lo stesso una delle notti più belle della mia vita. Quella console mi cambiò la vita, mi fece capire che i videogiochi sarebbero stati il mio passatempo preferito per i successivi vent’anni, e che potessero essere ben più di un hobby. Insomma, senza la PlayStation e quelle quattro demo giocate con un triste sottofondo di Lucio Battisti, probabilmente oggi non solo non sarei qui a scrivere di videogiochi, ma non sarei nemmeno la stessa persona che sono oggi.
Nel caso, prendetevela con Sony.

Gabriele Atero di Biase – Caporedattore News

Trovare il proprio posto nel mondo

Quand’ero piccola giocavo a qualsiasi cosa mi dessero per le mani. Ho iniziato in maniera casual e con le varie console farlocche che contenevano Tetris e Super Mario Bros. Poi, durante uno di quei classici pomeriggi d’estate passati con gli amichetti a mangiare il Cucciolone, un mio amico mi parlò di PlayStation. In particolare mi parlò di Resident Evil 2, e rimasi estasiata.

Ovviamente non era il 1994, era quasi l’alba del 1999 o poco meno, non ricordo adesso. Sta di fatto che, sia per esasperazione (da parte mia), sia per curiosità, mio padre comprò per Natale la PlayStation con il primo Crash Bandicoot. Abituata al 2D e alle musiche in bit, vedere quei colori, quei modelli, e sentire il ritmo incalzante di tamburi e xilofoni, mi fece letteralmente impazzire.

Tolto che in quella mattinata natalizia cominciò il mio ignaro percorso che oggi mi porta a scrivere di videogiochi per lavoro, ma l’aspetto che più mi affascina di PlayStation è stata la sua capacità di rendere accettabile agli occhi degli esterni la mia passione – ai tempi acerba – per i videogiochi. Giocavo a Pandemonium 2 con mia sorella, ai successivi capitoli di Crash e Spyro con mia cugina, a Metal Gear Solid con mio papà, a Tekken 3 con gli amici della casa a mare, a Final Fantasy VIII con i miei compagni delle medie, invitati apposta a casa mia, per fargli vedere l’epica intro con Liberi Fatali, e così via. Con PlayStation per la prima volta non mi sentii isolata, anzi, sentii finalmente di aver trovato il mio posto nel mondo.

Lorena Rao – Editor Game Studies

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Oltre Nintendo

Era l’ormai lontano 2000 quando mi avvicinai per la prima volta all’intramontabile PlayStation. Ero cresciuto a pane e Super Nintendo, ammiravo mio fratello giocare col Nintendo 64 e per me quello di Sony era un mondo completamente nuovo. Io che venivo da Super Mario World, Zelda A Link to the Past, Donkey Kong Country, dovevo affacciarmi ad un nuovo universo fatto di IP completamente inedite e saghe storiche che passarono dalla grande N a Sony. Eppure, nonostante tutto, pur considerando la mia natura e fede nintendara, il mondo PlayStation mi travolse totalmente.

Erano gli anni 2000, come dicevo. Avevo solamente 8 anni e i miei per l’Epifania mi fecero trovare PS come regalo. Al mio risveglio non trovai la console immacolata, pronta per essere avviata per la prima volta da me. Questo succede forse nelle famiglie normali. Io invece ci trovai mia sorella che se la spassava con Crash Team Racing. Tempo di apprendere quello che stava succedendo, presi il secondo controller e ci divertimmo come matti. Mia sorella ha soli cinque anni più di me; a quei tempi era in fondo pure lei una bambina.

PlayStation è una piattaforma incredibile con una lineup di titoli strabilianti. Ricordo ancora quando venni stregato dal primo Metal Gear Solid, l’amore per i J-RPG nato con Final Fantasy VIII, i due fantastici Dino Crisis, alternativa ad un’altra saga storica che è Resident Evil, l’epopea di Raziel in Legacy of Kain: Soul Reaver, The Legend of Dragoon che ricordo con particolare affetto anche perché è stato il primo gioco che ho recensito più di nove anni fa. C’erano poi il simpatico Croc, il folle Gex, il peculiare Pandemonium, il forse dimenticato Silent Bomber, A Sangue Freddo, Spyro the Dragon.

Sarebbe quasi inutile scrivere una sfilza infinita di titoli (ne dimenticherei comunque troppi per strada). So solo che in quegli anni mentre tutti si infervoravano per l’inutile diatriba ‘Nintendo 64 vs PlayStation’, io mi godevo entrambe le console. E ora sono passati ben 25 anni dalla sua release. Nessuno ancora poteva saperlo (né tantomeno prevederlo): i videogiochi da quel momento sarebbero per sempre cambiati. Morirò nintendaro, ma PlayStation  sarà sempre un capitolo fondamentale per il mio vissuto da videogiocatore.

Ismaele Mosca – Redattore Videogames

25 anni playstation

Una passione inconscia

Che io ricordi ho sempre giocato con la PlayStation. Tecnicamente parlando, ancor prima di esser nato. I miei genitori ironizzano spesso sulla mia passione per i videogiochi per il fatto che mia madre, mentre era incinta di me, passava le notti a giocare a Crash Bandicoot. Il passaggio di testimone è stato quindi naturale, e anche un po’ prevedibile. Sin dalla mia infanzia, ricordo di aver avuto tantissimi giochi già pronti che mi aspettavano.

Crash, Spyro, Rayman, Tomb Raider e Tekken erano già lì e non avrei mai pensato che sarebbero stati parte integrante della mia vita. Ricordo che era terrificante ogni volta accendere la PlayStation per via dei loghi iniziali che apparivano con suoni inquietanti (per non parlare della PlayStation 2, ma questo è un altro discorso).

Ricordo che riuscii giocare a Resident Evil per la prima volta solo qualche anno fa perché per anni rimasi traumatizzato dalla prima apparizione dello zombie nella famosa cutscene, immagine che tormenta i miei incubi ancora oggi di tanto in tanto. Ricordo che se ero bloccato in un gioco, portavo la memory card a casa di mio cugino e mi aiutava ad andare avanti e che invitavo spesso gli amici dell’asilo a casa a far vedere quanto era bello il draghetto viola che sputa fuoco.

In definitiva ricordo che PlayStation per me è stata una casa e lo è stata negli anni con tutti i successivi modelli. Dove combattere zombi, saltare ostacoli e volare nel cielo mi hanno sempre aiutato, e mi aiutano ancora oggi, a superare i momenti difficili della vita.

Sharif Meghdoud – Redattore Cinema/Videogames

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PlayStation come il fuoco di un camino

Era la mattina di Natale, vent’anni fa, e sotto l’albero rachitico 100% puro abete pre risveglio della coscienza ecologica collettiva, una bambina scartava la sua prima Playstation, con un sorriso battuto in ampiezza solo da quello del padre, ancora più impaziente della figlia di provare il giocattolo nuovo.

Era l’ultimo mese dell’ultimo anno del millennio, una bambina premeva dei tasti su un pad e una formica correva sullo schermo della televisione, collezionava semi, combatteva cavallette, come nel cartone animato che aveva visto al cinema qualche mese prima.

Era la sera di Natale, e un padre accendeva la Playstation dopo aver dato la buonanotte alla sua bambina. Lara Croft si trovava in una grotta misteriosa e la bambina era scivolata fuori dal letto per nascondersi nell’ombra del divano.

Era la notte di Natale e un padre e una bambina esploravano il mondo di Tomb Raider. Lui passava mille volte nella stessa grotta e lei, esasperata, lo prendeva in giro per la sua mancanza di senso dell’orientamento.
Era il secolo scorso, lontano dai giornalisti che incolpano i videogiochi di ogni stortura del mondo. Era la notte di Natale, e quello schermo illuminato scaldava come il fuoco di un camino.

Angela Bernardoni – Editor Libri

25 anni playstation

La potenza delle storie

Oggi come oggi, gioco quasi solo su console portatili. Ciò è dovuto principalmente al fatto di esser diventata molto pigra col passare degli anni. Tuttavia, ricordo con molto affetto la mia Play Station, donata poi a non ricordo chi quando passai alla generazione successiva (ancora non capivo il vero valore di queste cose, sigh). È anche grazie a quel primo approccio al mondo videoludico che ho capito quanto mi piacciano le storie, non importa sotto quale forma siano raccontate. Anzi, in alcuni casi, il videogioco mi permetteva di integrare quelle che avevo solo letto o guardato, dandomi un’esperienza in più!

Il mio primo gioco in assoluto è stato Crash Bandicoot, un’icona videoludica della NaughtyDog che so bene essere amata ancora oggi. Avrò ripetuto i vari livelli decine di volte, rimanendo a bocca aperta mentre cercavo di superare un qualche ostacolo senza che quel povero marsupiale precipitasse negli abissi o venisse stirato da un masso rotolante. Ricordo che uno dei livelli più ansiogeni per me era quello in cui non si doveva più correre in avanti ma direttamente verso noi giocatori, proprio con questo masso che ti inseguiva (capitemi, facevo le elementari, mi bastava poco).

Dopo Crash si susseguirono altri giochi, che giocai totalmente in solitaria. Ancora oggi, per me, il videogioco deve essere un’attività da svolgere in solitudine, non importa di che genere sia. Dopotutto, c’erano molti personaggi a tenermi compagnia in quei pomeriggi: Crash, Spyro, i lottatori di Tekken 2, per citarvi quelli a cui ero più affezionata, passando poi per i giochi ispirati ad altre opere pop del momento che amavo e che, come dicevo, potevo vivere in maniera più coinvolgente: penso subito ai primi due Harry Potter o, mi viene in mente ora, la trasposizione di Beyblade (signori, all’epoca andavamo pazzi per quel cartone). Finalmente dalla mia trottola usciva una bestia sacra! Finalmente potevo fare le magie! E tutto grazie al pad che avevo in mano. Che io abbia ancora adesso questi ricordi credo sia una delle tante cose che ha contribuito a portarmi dove sono oggi.

Alessia Trombini – Editor Anime e Manga