Nella stagione 4 Westworld ritorna alle origini e riprende gli elementi che hanno reso memorabile la serie, aumentando però la posta in gioco

westworld stagione 4

estworld ha appena concluso la sua stagione 4 in onda in Italia su Sky Atlantic, forse un po’ in sordina rispetto alle precedenti per una campagna marketing decisamente sotto tono. Nonostante si tratti probabilmente della serie fantascientifica più ambiziosa (per i temi e l’ampiezza della storia) e impegnativa (dal punto di vista produttivo e di coinvolgimento del pubblico), il consenso generale è che la qualità sia scesa costantemente dopo l’impeccabile prima stagione, e la stagione 3 aveva scontentato molti fan. Con la stagione 4 però Westworld recupera le sue origini senza cadere nel citazionismo ma portando avanti la storia nella direzione che, è evidente, era programmata fin da sempre. Proviamo a esaminare in prospettiva questa nuova stagione, evitando spoiler dettagliati.

Persi nel labirinto di Westworld

Per chi non avesse seguito le puntate precedenti o non ricordasse bene il punto della situazione, anche per il fatto che le stagioni di Westworld escono a distanza di due anni, facciamo un recap di dove è arrivata la serie finora. Questo significa che seguiranno spoiler fino a tutta la stagione 3 (del 2020), che naturalmente deve essere vista per poter iniziare con la quarta.

La storia di Westworld, scritta in collaborazione da Johnatan Nolan e Lisa Joy, inizia in un futuro non troppo lontano (a posteriori si ricava che siamo a cavallo tra il 2050 e il 2060) in un parco divertimenti a tema western in cui i visitatori possono interagire con cyborg (gli host) progettati appositamente per l’intrattenimento degli ospiti. Gli host appaiono in tutto umani e sono costruiti come automi biologici di carne e sangue, ma hanno un cervello digitale e una programmazione precisa che li mantiene in “loop” che permettono ai visitatori di partecipare alle varie avventure disponibili nel parco, un po’ come quest e subquest in un videogioco. Il sottinteso è comunque che gli host sono a disposizione completa dei visitatori, che infatti non si fanno scrupoli a praticare su di loro ogni tipo di violenza e abuso dando spazio agli istinti più biechi dell’animo umano.

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Gli host sono intelligenti ma non sanno di essere creature artificiali, la loro programmazione li convince di essere uguali agli ospiti. Alla fine di ogni loop vengono resettati e perdono qualunque ricordo delle “vite precedenti”. Qualcosa però si inceppa in questo meccanismo e alcuni di loro, tra cui le più importanti sono Dolores (Evan Rachel Wood) e Maeve (Thandiwe Newton) iniziano a recuperare le memorie cancellate, arrivando a capire che la loro vita è una menzogna e gli umani sono i loro carcerieri. La prima e la seconda stagione affrontano principalmente questa presa di coscienza degli host (con profonde ramificazioni filosofiche e neuroscientifiche sulla natura della coscienza) e il loro piano di fuga per lasciare la prigione del parco e trovare la libertà nel mondo degli uomini.

Nella terza stagione l’aspetto della serie è cambiato molto, perché una volta che una manciata di host sono fuggiti la scena si è spostata completamente sul “mondo esterno”, cioè il nostro mondo del futuro, che era sempre rimasto in secondo piano. Dolores, protagonista principale della serie e leader del movimento di liberazione degli host, si impegna per acquisire la conoscenza e i mezzi per ribellarsi ai padroni umani e aprire la strada alla diffusione degli androidi liberi nel mondo. L’avversario principale della terza stagione era Rehoboam, un’IA capace di prevedere e dirigere le vite degli umani (idea molto simile a quella vista in Person of Interest, sempre scritta da Johnatan Nolan), e alla fine della stagione viene rivelato che l’obiettivo di Dolores era in realtà quello di distruggere Rehoboam in modo che anche gli umani avessero la libertà di scelta, come lei l’aveva conquistata per sé. Nel fare questo, Dolores ha sacrificato sé stessa, lasciando però a portare avanti la sua battaglia Maeve e Caleb (Aaron Paul).

Alta fedeltà

Non era chiaro da dove sarebbe partita la stagione 4 di Westworld, visto che alla fine della terza si aveva l’impressione che il piano per liberare umani e host insieme fosse tutto sommato andato a buon fine. Ma in realtà l’eliminazione di Rehoboam ha innescato una serie di rivolte da cui la società ipertecnologica del 2060 difficilmente avrebbe potuto riprendersi, e c’era bisogno che qualcuno fosse pronto a guidare tutti verso un possibile futuro di equilibrio. A rappresentare l’ostacolo maggiore è una delle copie di Dolores (interpretata da Tessa Thompson) che dopo aver interpretato per anni il ruolo della spietata executive Charlotte Hale è arrivata alla conclusione che gli umani siano una minaccia e vadano eliminati del tutto, per lasciare spazio a un mondo di host. La stagione riprende quindi sette anni dopo la fine della tre e rimette in moto Westworld verso un nuovo conflitto uomini-robot ancora più pericoloso dei precedenti, perché si svolge su scala globale e ha come posta in gioco l’estinzione di una delle due razze.

Dopo però che la stagione 3 ha messo a dura prova il pubblico, perché troppo diversa sia nell’ambientazione che nella struttura rispetto alle precedenti, il timore di molti era che la la stagione 4 di Westworld continuasse su quel percorso e portasse avanti una storia di “apocalisse robot” sostanzialmente simile a molte altre già viste, e che per quanto ben realizzata non avesse niente degli elementi che hanno reso questa serie unica. In questo la nuova stagione è riuscita invece a bilanciare molto bene la necessità di portare avanti un plot su scala sempre più vasta, e riprendere i temi e i meccanismi tipici delle prime due stagioni. E così andiamo a visitare nuovi parchi ambientati in epoche ancora diverse, rivediamo scene di caccia tra umani e host, e soprattutto ci troviamo con una narrazione che sovrappone piani temporali diversi in un continuo gioco di misteri da svelare e twist che cambiano la prospettiva sugli eventi. Il commento di sollievo di molti degli appassionati infatti è stato proprio “Westworld è tornato” o anche “Siamo tornati a Westworld”.

Così mentre si svolge da una parte il conflitto principale tra Hale e Maeve/Caleb, con Bernard (Jeffrey Wright) come oracolo e William (Ed Harris) come wildcard imprevedibile, questa quarta stagione si ricollega in modo più diretto alla seconda che alla terza, riprendendo alcuni dei temi e concetti che erano stati aperti e lasciati irrisolti nel 2018: il Sublime (l’universo digitale in cui si sono rifugiati gli host), la ricerca dell’immortalità degli umani attraverso il corpo degli host, l’identità personale e collettiva, e come sempre il libero arbitrio, concetto cardine di tutta la serie. Se nella terza stagione l’onnipresenza di Rehoboam dava l’impressione di una classica distopia tecnologica, adesso i richiami sono più diretti a Futureworld, il sequel del 1976 del film originale di Westworld (1973) scritto e diretto da Michael Crichton su cui la serie tv è basata. In questo modo gli autori dimostrano la loro fedeltà tanto all’idea originale quanto al progetto dichiarato fin dall’inizio per una storia che avrebbe abbracciato cinque-sei stagioni, arrivando a descrivere il futuro dell’umanità.

Un altro giro nel parco

Ma se le intenzioni sono buone e il progetto coerente, alla fine com’è la stagione 4 di Westworld? Il gradimento del pubblico è stato elevato e in crescita, anche se non è arrivato all’acclamazione universale della prima stagione, cosa che del resto nessuno si aspettava (già solo per l’assenza di Anthony Hopkins). In realtà anche questa stagione non è esente da imperfezioni e sbilanciamenti, in particolare la suddivisione in otto episodi come la stagione 3, a differenza dei dieci delle due stagioni precedenti, dà ancora la sensazione di un finale accelerato: le prime quattro puntate costruiscono con calma il mondo e presentano i personaggi nella loro nuova situazione, ma dal quinto in poi gli eventi procedono così in fretta che alcune plotline sembrano chiuse all’improvviso, quasi che si avesse l’ansia di non lasciare niente in sospeso.

Potrebbe essere davvero questa l’intenzione, perché a oggi ancora non è stato annunciato se la serie è stata rinnovata per la quinta stagione, a maggior ragione dopo la grossa acquisizione di HBO delle settimane scorse che ha messo in discussione molti progetti già in corso. C’è quindi la possibilità che l’episodio Que Serà Serà che conlude la stagione 4 sia in realtà il series finale definitivo di Westworld. E se così fosse, ci possiamo ritenere soddisfatti? Come hanno dichiarato gli autori in alcune interviste, la storia prevedrebbe almeno un altro capitolo conclusivo, ma se invece non ci fosse la possibilità di averlo, si può dire che la serie ha raccontato quello che doveva?

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La risposta ha sicuramente una parte di soggettività, per cui non tutti potrebbero pensarla nello stesso modo. Bisogna però riconoscere che la stagione 4 di Westworld ha rimesso in carreggiata la serie, valorizzando tutti i suoi più caratteristici elementi narrativi e produttivi (come la mostruosa colonna sonora di Ramin Djawadi con le cover strumentali di pezzi pop) e pertanto dovrebbe sicuramente soddisfare anche i delusi della terza stagione. Dal punto di vista delle tematiche inoltre si può notare come il percorso preso dalla storia nel suo complesso sia coerente e a differenza di quasi tutte le altre serie in corso dimostra un progetto definito, piuttosto che reinventato di stagione in stagione. E per un media volubile come sono le serie tv degli ultimi anni, questo è davvero qualcosa di introvabile altrove.

Alla fine della stagione 4 Westworld si trova in una situazione insolita, perché ha recuperato tutti i suoi elementi chiave ma ha rimosso diversi pesonaggi centrali (secondi i maligni, questo è stato fatto per ridurre il budget degli attori in previsione di una riduzione dei fondi per l’ultima stagione), portando l’intero mondo narrativo in una posizione tanto estrema che non si può più recuperare. Le previsioni per una possibile stagione 5 fanno pensare a qualcosa che sta a metà tra Battlestar Galactica e The Good Place… il che è assolutamente un punto a favore. Ci sono ancora storie da raccontare, e per farlo ci sarebbe bisogno di un altro, ultimo, giro nel parco. Per cui, anche se alcune sbavature sono presenti, non si può davvero negare che Westworld è tornato. O che noi siamo tornati a Westworld… in diversi sensi.

Andrea Viscusi
Nato sotto le esalazioni della nube di Chernobyl, laureato in statistica, consumatore di fantascienza e musica elettronica, autore sci-fi/weird/slipstream. Ha pubblicato una sessantina di racconti, tre raccolte personali, due romanzi e un libro illustrato sui mammiferi preistorici. Editor e writing coach, sul canale youtube STORY DOCTOR analizza la struttura narrativa dei film. Scrive sul blog UNKNOWN TO MILLIONS dal 2010 e ha fondato la rivista di speculative fiction SPECULARIA. Si definisce il maggior fan italiano di Futurama e nessuno l'ha mai smentito.