Zerocalcare torna in libreria con Scheletri, nuovo capitolo di una produzione letteraria che si legge come un romanzo a puntate

Nell’eterna lotta tra chi considera i graphic novel moltopiùchefumetti, chi rivendica la forma fumetto come letteratura a prescindere dal formato di pubblicazione, chi i fumetti sono roba da bambini mentre i cinecomics sono capolavori e chi, come la sottoscritta, non ha ancora capito se graphic novel chiede l’articolo maschile o femminile e si domanda se possa essere usata la schwa anche in casi simili, c’è un autore in grado di mettere d’accordo tutti. Zerocalcare, alias Michele Rech, classe 1983 non ha bisogno di grandi presentazioni, tuttavia riassumo per chi abbia passato gli ultimi dieci anni a leggere solo la bibliografia di Emmanuel Carrère: fumettista di Rebibbia, collabora da anni con quotidiani e riviste come Repubblica e Internazionale, ma anche con colonne portanti della nostra generazione come Max Pezzali; instancabile macchina da guerra sparadisegnetti durante i firmacopie, divoratore di plumcake, è appena tornato in libreria con il suo ultimo volume, Scheletri, edito come tutti i suoi precedenti da Bao Publishing.

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Ciò che rende Zerocalcare un autore in grado di mettere d’accordo un vasto pubblico (eccezion fatta per quei suoi lettori che un giorno si svegliano dal sonno della ragione e si accorgono che Calcare disegna le locandine per i centri sociali) è la sua capacità di parlare a un’intera generazione che si sente a casa in un immaginario pop in cui il cinema, i videogiochi e le serie tv non sono usati per il semplice gusto di scatenare il tanto efficace effetto nostalgia, ma che servono, invece, per preparare il terreno a una narrazione più profonda. Questo succede in particolare nelle narrazioni più lunghe di Zerocalcare e il suo appropriarsi delle guerriere Sailor, della volpe del Piccolo Principe o di Lene Marlin come simbolo del risveglio sessuale di un’intera generazione di piccoli cinghiali non è che la punta dell’iceberg di una narrazione autobiografica che riesce a scardinare gli stilemi italiani del maschio bianco che parla di sé semplicemente con la forza del mettersi sempre in discussione.

Dove eravamo rimasti

Tutta la produzione di Zerocalcare – e questo Scheletri non fa eccezione – è un enorme romanzo a puntate in cui l’autore mette a nudo – senza sconti e senza cercare giustificazioni alle sue idiosincrasie – la sua vita e la vita dei suoi amici. Dalle scuole elementari con Un polpo alla gola a oggi, tavola dopo tavola Zerocalcare mescola immaginazione e slice of life, cimentandosi kubrickianamente con i più svariati registri narrativi – saga familiare, reportage di guerra, postapocalittico zombesco, romanzo di formazione. Con Scheletri Zerocalcare approda al crime drama con una storia a metà strada tra Suburra e Trainspotting, che vede in scena viaggi infiniti sulle carrozze della metro B, galoppini della criminalità organizzata, droga e tartallegre.

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Siamo nel 2002, un crestato Zerocalcare appena iscritto all’università passa le giornate in metro, da capolinea a capolinea e back again, soffocato dal senso di inadeguatezza di chi pensava di andare a scuola guida e si trova invece buttato in una gara di Formula 1. Incapace di confessare a sua madre il fallimento, o di aprirsi con i suoi amici sull’argomento, il nostro eroe conoscerà nel suo peregrinare da Rebibbia a Laurentina il tagger Arloc, più giovane di lui, ma con alle spalle molti più scheletri nell’armadio di quanti qualsiasi ragazzo di sedici anni dovrebbe accumulare. Con una formula ben rodata, Zerocalcare ci racconta un episodio del suo passato che si ricongiunge con il presente della sua vita e che dà al fumettista un’occasione per riflettere sugli errori del passato e sui mostri che ci divorano.

Scheletri che ballano in un cimitero indiano

Scheletri è un giallo di quartiere che sfrutta il microcosmo per rendere l’idea di uno schema di spaccio, corruzione, violenza che si riflette a livello nazionale, ma è anche un testo che inserisce l’elemento dell’attualità – e che cos’è l’attualità oggi se non la pandemia di cui abbiamo visto l’inizio alcuni mesi fa, senza ancora intravederne la fine – senza sensazionalismi, senza diari della quarantena, mostrando in poche righe – quelle che aggiornano chi legge sulle vite di Cinghiale, Secco, Sarah – le conseguenze di ciò che stiamo vivendo. Muovendosi tra il 2002 e il 2020 – anni anagramma in cui ci siamo evoluti abbastanza da comprendere la tossicità del concetto di maschio alpha (o almeno l’ha fatto Zerocalcare) – Scheletri è un romanzo (grafico, sì, certo, grafico) crudo e intriso di disagio e tristezza, una sorta di ammenda di carta e inchiostro per gli errori commessi e per l’errore ancora più grande di non scusarsi per quegli sbagli quando la vita ce ne dà l’occasione.

zerocalcare

Sebbene Scheletri rischi di restare nell’immaginario comune come il libro in cui Calcare dice che Il signore degli anelli gli fa schifo, si tratta invece di un altro tassello dell’epopea generazionale che rende Zerocalcare così prezioso per la sua generazione (e anche per la mia, quella che non ha quasi fatto in tempo a conoscere il cabinato di Street Fighter II); una generazione infestata come una casa costruita su un cimitero indiano, che cerca di esorcizzare i suoi demoni senza incrociare i flussi con i problemi degli altri, in costante equilibrio tra il bisogno di avere una bolla in cui rinchiudersi e l’imperativo hobbesiano applicato ai social di trattare il prossimo tuo da lupo in mezzo ai lupi.

E nonostante Zerocalcare sia più un esponente del pessimismo metafisico espresso sotto forma di lamentele a tema opinionisti italiani contemporanei che un inguaribile ottimista, nonostante i suoi personaggi – lui per primo – siano sempre alla ricerca del pezzo mancante, del lavoro stabile, della relazione equilibrata, della calma interiore, della consapevolezza di essere diventati adulti, da quasi dieci anni le sue storie ci traghettano verso la fine dei trent’anni (ma anche dei venti) permettendoci di ridere delle nostre miserie e di continuare a sperarci davvero, che il futuro non sarà solo una copia sbiadita del passato, che sia possibile cambiare senza marcire, che a volte, tirare fuori gli scheletri dall’armadio è l’unico modo per liberarci dei nostri fantasmi.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.