La via prosegue senza fine?

Tra le notizie che sembrano aver sconvolto il mondo dei nerd in queste ore ce n’è una che, sin dai primi momenti, ho sentito particolarmente vicina. Da quando hanno iniziato a circolare i primi rumor, per l’esattezza, fino a pochi giorni fa, quando è arrivata la conferma ufficiale. Amazon e la Tolkien Estate si sono accordate per la creazione di una nuova serie televisiva su Il Signore degli Anelli.

La notizia è giunta tutto sommato inaspettata ed è maturata in fretta: siamo passati dalle voci alla conferma ufficiale in poco più di una settimana, segno forse di un’accelerazione imposta dal diffondersi delle notizie sul web.

Inaspettata sotto tanti punti di vista, primo tra tutti quello legale. Christopher Tolkien, secondogenito del Professore e colui che ha curato le sue pubblicazioni dopo la morte del padre, non ha mai fatto mistero di non apprezzare molto l’idea stessa di una trasposizione dell’epopea di Arda e aveva chiuso i rapporti con la Warner Bros da pochi mesi.

Il mezzo fiasco della trilogia de Lo Hobbit e l’utilizzo inappropriato fatto dalla Warner Bros. dell’immagine dei personaggi sembravano aver messo la parola fine alla collaborazione iniziata nel 1997, quando la New Line Cinema, filiale della major americana, rilevò l’accordo stipulato con la Miramax. Una storia che si è chiusa malamente e con lo sdegno degli eredi di Tolkien dopo che la Warner ha concesso l’utilizzo dei personaggi per una serie di slot online. Nel 2012 si era aperto un contenzioso legale che aveva portato le parti a dividersi sempre di più; una strana coincidenza se pensiamo a come la trilogia de Lo Hobbit, in quel momento al cinema, si sia discostata poco alla volta sempre più dal proprio controparte cartacea, quasi un rapporto di “causa-effetto” tra l’allontanamento della Tolkien Estate e della Warner Bros, conclusosi appena quattro mesi fa, quando a Luglio era stato raggiunto un accordo di separazione consensuale tra le parti.

Ecco perché la notizia di un tentativo di Amazon per entrare in contatto con l’Estate e produrre un kolossal televisivo era apparso, almeno in un primo momento, come qualcosa di difficile da concepire. Sembrava un tentativo a vuoto, quasi disperato che, invece, ha raggiunto il proprio scopo nella giornata di lunedì, apparentemente con la reciproca soddisfazione delle parti.

Amazon potrà produrre la serie, con lo scopo dichiarato di avviare un progetto su più stagioni; la Tolkien Estate ha ottenuto di poter collaborare alla produzione e, soprattutto, ha ottenuto l’esclusione della Warner Bros., che potrà intervenire solo nella misura in cui sarà concesso alla New Line Cinema.

Non si sa ancora nulla di questo nuovo serial, salvo la cifra che dovrebbe essere stanziata per la sua produzione: 200 milioni di Dollari americani. Se pensiamo che il primo film della trilogia ne aveva ottenuti meno della metà (93 milioni di $), è facile capire quanto Amazon creda nel progetto. La serie dovrebbe coinvolgere gli eventi raccontanti nelle appendici di Tolkien. Si tratterebbe, in sostanza, degli eventi della Seconda Era e di quelli avvenuti nel corso della Terza Era tra lo Hobbit e il Signore degli Anelli.

Parafrasando quanto cantava lo stesso Tolkien, sembra che la “via” dello spettacolo prosegua senza fine. Senza guardare in faccia a nessuno, se non allo spettacolo stesso, in un ciclo eterno che non ha motivi di interrompersi.

La notizia è stata accolta, oltre che con il dovuto stupore, anche con una fortissima spaccatura tra i fan della saga (e non solo). Sono tanti i motivi di perplessità, ma per amore di semplicità cercheremo di semplificare tutti i dubbi nati sul web e ridurli in tre categorie.

Il primo riguarda quella che potremmo definire la sfera affettiva. E, con buona pace della neutralità, non posso negare di rientrare in questa categoria.

Il ricordo della prima visione de Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello è ancora fresco e vivido nella mia memoria. Avvenne non al cinema, come fu per la maggior parte dei lettori di Tolkien che frequentano queste pagine, ma in casa, il giorno di Natale. Mi era stata regalata la videocassetta della Compagnia dell’anello (già, proprio il VHS! Eoni fa…) e ricordo l’emozione provata davanti alla visione di quel film. Un ricordo a cui se ne sovrappongono molti altri, momenti di gioia spensierata, nel vedere un gruppo di quattro giovani hobbit ruzzolare giù per una collina, e di profondo terrore, come l’assalto degli Uruk-ai al Fosso di Helm. Per non parlare dell’esaltazione, penso molto diffusa, di fronte alla carica dei Rohirrim nella battaglia del Pelennor.

Inutile girarci intorno: per me e per molti altri la Terra di Mezzo sarà non solo quella descritta dal Professore, ma anche quella che ha preso vita grazie a Peter Jackson, il quale si è avvalso della collaborazione di due grandissimi artisti tolkieniani per la realizzazione delle scenografie, John Howe e Alan Lee, le cui immagini ispirate a Il Silmarillion, Lo Hobbit e ovviamente a Il Signore degli Anelli sono nel cuore dei fan.

Al momento non si sa ancora chi sarà coinvolto nella nuova produzione. Non è da escludere che la nuova serie possa ricalcare quanto fatto nei sei film di Jackson in quanto ad ambientazioni e scenografie. Anzi, per ora non è nemmeno da escludere un coinvolgimento in qualche maniera dello stesso Peter Jackson, magari spronato dal volersi scrollare di dosso le critiche ricevute dopo la seconda trilogia cinematografica. Il problema è che non è nemmeno da escludere la possibilità di assistere a qualcosa di completamente diverso. Cambiare gli artisti dietro le scenografie, magari abbandonando anche la Nuova Zelanda a favore di un’altra Terra di Mezzo. Nel qual casa assisteremmo a un vero e proprio “reboot”.

Se questo dovesse succedere il rischio è di creare un terribile convitato di pietra per la nuova serie. Quanti di noi, vedendo le nuove immagini, saranno portati a fare paragoni con la saga cinematografica? Dire tutti, credo, corrisponde al vero. E questo non si applicherà solo alle scenografie, ma anche alle musiche, alla fotografia e, soprattutto, al cast. Sarà possibile immaginare una Terra di Mezzo senza Sir Ian McKellen nel ruolo di Gandalf? Il discorso è senza dubbio prematuro, ma non si può negare che molti abbiano già iniziato a farlo.

Tuttavia, se dovessero essere confermati i primi rumor, l’idea è che potremmo trovarci di fronte a qualcosa di completamente nuovo. Qualcosa di molto simile a quanto visto in ambito videoludico con L’Ombra di Mordor e il suo seguito, L’Ombra della Guerra. Si tratterebbe di storie che, pur essendo collocate nell’universo narrativo creato da Tolkien ed essendo state previste dal Professore nel canone, non sarebbero propriamente una trasposizione, quando qualcosa di ispirato a eventi avvenuti nella Terra di Mezzo e citati ne Il Signore degli Anelli. Per poter fugare questi dubbi, purtroppo, non possiamo fare altro che aspettare l’annuncio ufficiale del soggetto e vedere cosa succederà.

Da qui, tuttavia, potremmo collegarci a una seconda grande serie di dubbi nata attorno a questa notizia: perché di rischiare di trasporre un’opera così complicata, dopo che i primi tentativi erano andati, tutto sommato, bene?

Trasporre un’epopea fantasy non è mai facile. Il rischio di cadere nel trash e nel piattume è dietro l’angolo, come ben sanno i fan di Game of Thrones e de La Torre Nera.

A questo si aggiunge il fatto che non tutti hanno amato le trasposizione cinematografica del Signore degli Anelli. Soprattutto tra i fan di Tolkien ci sono stati anche quelli più oltranzisti che non hanno mai negato di non aver apprezzato i numerosi cambiamenti fatti da Jackson nelle sue trilogie. Se con quella de Lo Hobbit le cose sono chiaramente degenerate, quella de Il Signore degli Anelli mostrava cambiamenti minori, che tuttavia all’occhio critico di alcuni fan non sono apparsi affatto tali.

L’assenza di Tom Bombadil, il maggior ruolo dato ad Arwen ed Elrond nella saga, i cambiamenti nel corso della battaglia al Fosso di Helm, l’aver inserito buona parte de Le due Torri all’inizio della terza pellicola hanno contribuito a creare una piccola fronda tra i lettori di Tolkien, ostinatamente contraria a quanto fatto da Peter Jackson e Fran Walsh. E questo ben prima della trasposizione “deragliata” nella Desolazione di Smaug.

Per questo gruppo (minoritario ma consistente e che quindi va tenuto in considerazione) di persone l’idea di vedere ancora una volta “infangata” un’opera tanto amata è probabilmente troppo da accettare. Il problema nasce nel momento in cui si riflette sul fatto che anche molti dei più aperti e favorevoli verso le trasposizioni di Jackson sposano i dubbi dei primi su una nuova produzione tratta dall’epopea di Arda. E qui si torna alla domanda: perché rischiare? Con la prima trilogia è andata bene; con la seconda molto meno. È davvero necessario tentare ancora una volta la sorte?

Molti hanno agitato lo spauracchio di un nuovo Shannara. Una serie TV nata male e continuata peggio, con niente a che vedere con il libro che molti, ancora oggi, considerano l’opera migliore del suo autore, Terry Brooks. Il target fortemente teen imposto da MTV e lo sviluppo generale di questa intera serie sono un grave monito per quanti desiderano tentare una trasposizione fantasy.

Sotto questo punto di vista le perplessità, pur comprensibili, non tengono conto di un fattore importante: contrariamente a quanto visto in passato la Tolkien Estate & Trust sarà parte attiva della nuova produzione. Quella di vedere un prodotto molto più simile all’opera originale non è una mera speranza, ma una possibilità concreta, qualcosa che in effetti potrebbe persino apparire come una della condizioni imposte per far giungere a compimento questo accordo. Sotto questo aspetto, forse, ci troviamo di fronte a dubbi di minor portata.

L’ultima domanda che è logico farsi è anche la più importante. Sentivamo davvero il bisogno di una nuova trasposizione del Signore degli Anelli?

Certo, non sarebbe qualcosa di identico al passato. Ma è il pescare ancora in un’opera che appare già sufficientemente sviscerata la maggiore perplessità di questa faccenda.

Dopotutto il fantasy è un genere variegato, che vanta un numero colossale di saghe maestose che, portate sullo schermo con lo stesso budget a disposizione potrebbero garantire una splendida resa grafica e costituire una pietra miliare nella storia delle produzioni Tv.

E qui, purtroppo, la risposta è no. Si poteva e, forse, si doveva cercare qualcosa di nuovo. Certo, sono tante le storie già in mano a questo e ad altri network. Warner detiene saldamente di diritti di Harry Potter; Sony ha messo le mani su La Torre Nera e su La Ruota del Tempo; Netflix sta producendo una serie su Geralt di Rivia; la BBC ha stabilmente i diritti di sfruttamento di Discworld e delle opere di Sir Pratchett; e Starz sta già riscuotendo successo grazie ad American Gods.

Tuttavia le possibilità rimaste non erano poche. Tante sono le serie cadute nella palude dello sfruttamento dei diritti (Elric di Melniboné, Gormenghast) o che meriterebbero nuove chance di mostrare il proprio valore, con una produzione adeguata alle spalle (Terramare). Ma altre potrebbero fornire materiale in abbondanza per il futuro: le opere di Robin Hobb, di Lovecraft, di Tad Williams, di Gemmell e molti altri potrebbero essere uno spunto di riflessione. Senza contare tantissimi autori contemporanei, come Abercrombie, Heitz e Sanderson, i cui libri potrebbero, senza dubbio, costituire la base per delle eccellenti trasposizioni. E questo se non consideriamo che ci sono ancora opere di Tolkien non trasposte, prima tra tutte il Silmarillion.

Perché, allora, non puntare su di loro?

L’amara verità è che non conviene. La produzione di kolossal di stampo fantasy è qualcosa che negli ultimi anni ha assunto un valore che va ben al di là del mero intrattenimento e coinvolge il marketing di più settori. La prima interessata, dopo l’industria cinematografica e televisiva, è quella dell’editoria.

Di quanto sono cresciute le vendite del Signore degli Anelli dopo l’uscita dei film? E di quanto è aumentata la tiratura dei libri di Martin grazie a Game of Thrones? Difficile dirlo. Ma la cosa ha avuto benefici enormi sull’editoria, non solo per le pubblicazioni interessate, ma anche per quelle “limitrofe”. E, ovviamente, chi ne ha beneficiato sono stati anche altri autori, che magari sono riusciti a proporsi come epigoni dei grandi scrittori che godevano di un momento di maggior popolarità dovuto proprio alle trasposizioni cinematografiche.

Il discorso è lungo e complesso, ma qui basta ricordare quanto l’editoria sia una parte in causa in queste scelte. E, tanto per l’editoria quanto per l’industria dell’intrattenimento televisivo, lettori e spettatori non sono esseri umani. Sono funzioni, numeri, dati che vanno analizzati e confrontati. I dati mostrano che al Signore degli Anelli corrispondono incassi: perché rischiare di esplorare territori ignoti, quando ci sono certezze e solidità di fronte a noi?

Da questo punto di vista scegliere di trasporre del materiale dal Signore degli Anelli ancora una volta, indipendentemente dal fatto che siano passati così pochi anni dall’uscita dell’ultimo film, dimostra la volontà di non scommettere sull’incerto ma di puntare esclusivamente su qualcosa di solido. Battere il ferro finché è caldo. Sfruttare un’opera che, indipendentemente da tutto, è conosciuta e apprezzata, è “mainstream” e in quanto tale potrà essere vista e portare soldi nelle casse di chi l’ha prodotta.

Per sfuggire a questa logica i fan avrebbero una sola chance: smettere di essere tali. Ma credereste davvero a un vostro amico se, al momento dell’uscita di questa nuova serie Tv, affermasse di non volerla assolutamente vedere? Di non provare alcuna curiosità di fronte alla possibilità di vedere ancora la Contea, Moria, Lothlórien e Minas Tirith?

La realtà è che Pandora aprirà sempre il proprio vaso. La curiosità, alla fine, avrà sempre ragione dei dubbi. E la macchina continuerà a muoversi. La via continuerà a proseguire senza fine.

La speranza è che, pur assistendo a qualcosa di nuovo, esso venga fatto nel rispetto dell’opera originale. Anzi, delle opere originali, in quanto non sarà mai possibile cancellare, dalle menti dei fan, quanto di buono fatto da Peter Jackson.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.