Pokémon: Venticinque anni di una grande saga.

Pokémon Spada e Scudo è solo l’ultimo  capitolo di una saga che, da ormai venticinque anni, ha costituito un punto di riferimento per tutte le console portatili. Imitata ma mai eguagliata, dalla sua nascita nell’ormai lontano 1996 Pokémon ha avuto un successo capace di farne un fenomeno globale.

Quella dei Pokémon, è una saga che da quasi venticinque anni coinvolge nerd di tutto il mondo. Molti di noi, nei primi anni duemila, hanno varcato la soglia di un negozio di giocattoli per poter comprare una copia di Pokémon Blu o Rosso (o entrambe, in alcuni casi). Ma cosa abbia reso grande Pokémon è difficile da spiegare. Ognuno di noi ha avuto un motivo diverso per amare questa saga, affezionandosi a essa per i motivi più disparati, iniziando a giocare in maniera diversa.

Magari per caso, al parco o a ricreazione, molti di noi un giorno si sono trovati davanti una cartuccia per Game Boy strana, di un inusuale blu scintillante o di un rosso accesso. E, a da quel momento, è iniziata la passaione. L’inizio un insperato rapporto di amore nei confronti di un saga videoludica. Pokémon è anche questo. Un gioco capace di catturare sin dall’estetica, da modo di presentarsi rispetto ad altri giochi dello stesso genere.

Crescere tra GdR e Tamagotchi

Uno dei primo tratti ad appassionare per molti di noi era quella componente che ricordava da vicino i giochi di ruolo, capace di richiamare da concept familiari come i titoli ispirati a D&D. Dopotutto, se in Baldur’s Gate si trattava di creare un personaggio e assemblare una squadra per sbaragliare i nostri nemici, non era forse la stessa cosa in Pokémon Blu e Rosso?

La scelta del nostro primo Pokémon, tra Bulbasaur, Charmander e Squirtle, gettava i semi di quella che sarebbe stato il team che ci avrebbe accompagnato, pur con varie modifiche, a sconfiggere le Palestre di Kanto e la Lega Pokémon sull’Altopiano Blu. Nei giochi di ruolo era fondamentale mettere insieme un party bilanciato, composto da personaggi con caratteristiche che ci permettessero di salvarci in varie occasioni (attaccare, tenere una posizione, guarire i nostri compagni ecc.); allo stesso modo in Pokémon una delle sfide che si ponevano di fronte alla nostra controparte videoludica, Red, era quella di realizzare una squadra forte, in cui un nostro Pokémon avrebbe dovuto sopperire alle debolezze dell’altro. Così, per bilanciare le debolezze di Charmander prendevamo in squadra quel maledetto roditore noto come Pikachu, e per difenderlo a suo volta catturavamo un Pokémon di tipo acqua o erba.

Giorno dopo giorno, la smania di creare team sempre più forti, ci portava a ricercare Pokémon nuovi, consapevoli però dell’impossibilità di fare tutto da soli. La grande idea di Tajiri e del suo staff fu proprio quella di “costringere” i giocatori a collaborare e sfidarsi per poter migliorare. Tutta nasce da una pratica molto comune tra le fasce più giovani in Giappone, quella di collezionare insetti e di scambiarseli. Tajiri, appassionato di questo hobby, pensò di estendere la cosa.

La tagline della saga, da sempre stata quel famoso “Acchiappali tutti”, rendeva indispensabile ai giovani giocatori di Pokémon di incontrarsi per organizzare sessioni di scambio e di lotta. Se lo scontro con altri giocatori all’epoca non era una novità per il Game Boy, dato che il Game Link, (improponibile cavo utilizzato per collegare due dispositivi prima del bluetooth e degli infrarossi) era una realtà da un po’ di tempo, non si era mai reso così necessario utilizzarlo per poter completare il gioco.

Picchiaduro e giochi sportivi vedevano lo scontro tra due giocatori solo come un’altra opzione, rendendo di fatto il Game Link un orpello inutile che solo qualche giocatore più accanito decideva di comprare. Con Pokémon, improvvisamente, divenne indispensabile. Lo stesso Tajiri racconta di aver immaginato più di una volta i propri mostriciattoli camminare lungo il cavo per raggiungere altri giocatori. Di fatto, per la prima volta, Pokémon costringeva a collaborare con  altri giocatori per il completamento del gioco. 

Pokémon, in un certo senso, imponeva di incontrarsi e iniziare a lottare e scambiarsi i mostriciattoli. Da questo punto di vista, la grande accusa lanciata a questo brand in tempi recenti con l’avvento su mobile di Pokémon Go, quella di isolare dal mondo le persone, cade miseramente. Le giornate passate al parco con gli amici a scambiarsi Pokémon e lottare erano diventate un must, durante il quale si consumavano anche le prime crisi emozionali, magari quando un glitch di clonazione finiva male e ci faceva perdere tutti i dati salvati. Può sembrare cosa da poco (e forse lo è) ma perdere i proprio Pokémon poteva essere un’esperienza terribile per alcuni allenatori.

Pokémon era, ed è, anche questo. Crescere la propria squadra, facendola diventare poco alla volta sempre più forte. All’epoca c’era quel dannato Tamagotchi che spuntava ad ogni angolo fuori dalle tasche di qualche ragazzino, Pokémon, da quel punto di vista, ne costituiva una variante nerd decisamente più appagante. Il percorso di crescita era lungo e non coinvolgeva solo la propria squadra, ma finiva per dare al giocatore la possibilità di rialzarsi dopo ogni sconfitta.

Quante volte siamo stati battuti da un Capopalestra o da un Superquattro? Eppure il videogiocatore non si scoraggia mai, e anche nella sconfitta la propria squadra poteva crescere per diventare più forte e, la volta dopo, sbaragliare l’avversario (nota personale: venni battuto tre volte da Lance prima di capire che i draghi erano deboli alle mosse di tipo Ghiaccio…).

Può sembrare una semplificazione: ma il percorso di crescita dei propri Pokémon, in un certo senso era anche il percorso di crescita di noi stessi come giocatori e come esseri umani. Vedere il nostro primo compagno di viaggio crescere ed evolversi, per esempio, era ed è un’emozione unica, che ci lascia sempre un gusto agrodolce. La commozione provata nel vedere il nostro piccolo amico diventare sempre più forte e potente, e il ricordo di come fosse piccolo e, apparentemente, indifeso, all’inizio delle nostra avventura.

Questione di evoluzione.

Ma non sono stati solo i nostri Pokémon ad evolversi. Il brand stesso, generazione dopo generazione, è riuscito a migliorarsi sempre di più, introducendo ad ogni nuovo gioco nuove meccaniche e novità. Certo c’è l’innegabile frustrazione nel tentare di completare quello che dovrebbe essere lo scopo principale del gioco, il Pokédex. Giunti a quasi novecento Pokémon, molti dei quali ottenibili solo in circostanze particolari, “acchiapparli tutti” costituisce un’impresa non da poco.

Tuttavia negli anni è cresciuta sempre più la curiosità di conoscere i nuovi mostriciattoli tascabili che sarebbero andati a popolare il nostro mondo videoludico. E, con essa, abbiamo visto aumentare anche gli elementi di novità che hanno negli anni rivoluzionato le basi stesse del gioco.

Da quelle più banali, come la distinzione tra maschio e femmina che nella prima generazione era limitata alla coppia di Nidoran. Alle meccaniche più difficili, come l’allevamento che ci costringeva, talvolta, a rivedere il nostro sistema di gioco e a rifarci la squadra da zero.

Pokemon Oro e Argento fecero saltare i ritmi di sonno e veglia di alcuni allenatori, introducendo il concetto di notte e giorno nel mondo Pokémon. Altri iniziarono ebbero una crisi per i primi Pokémon itineranti, il trio dei Cani Leggendari, capaci di sfuggire ai nostri tentativi di cattura e sposarsi nel mondo di gioco.

Fu solo col terzo gioco di questa generazione che però venne introdotta una possibilità non da poco, quella di scegliere il sesso del nostro personaggio. I programmatori, rendendosi conto che le allenatrici erano ormai divenute una realtà, inserirono in Pokémon Cristallo anche una protagonista femminile.

Era la stessa generazione in cui si scopriva che i Pokémon potevano procreare e l’allevamento diventava parte fondamentale per ottenere Pokémon altrimenti impossibili da catturare. La generazione che ci aveva fatto capire quanto Pokémon potesse cambiare, restando sempre fedele a sé stesso.

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Questo aspetto venne ampliato nella terza generazione, con Rubino e Zaffiro, andando a influenzare il VGC con l’inserimento della “natura”, ovvero la personalità del Pokémon. Poco alla volta i Pokémon iniziarono ad assumere caratteristiche sempre più realistiche. In Prima Generazione avere Mewtwo in squadra voleva dire essere quasi invincibili. Ora la Natura dei Pokémon andava a influenzare le loro caratteristiche di attacco, difesa e velocità, rendendoli più o meno adatti ai combattimenti. Concetto che, con Pokémon Diamante e Perla, ha portato l’allevamento dei Pokémon ad essere un vero un gioco nel gioco.

Nel mentre il brand si è fatto sempre più globale. A partire daPokémon Bianco e Nero il franchise si è lasciato alle spalle il Giappone per aprirsi al mondo. Le ambientazioni di Pokémon si sono spostate negli States prima, poi in Francia con X e Y e nelle isole Hawaii con Sole e Luna.  Ambientazioni sempre nuove, capaci di dare un gusto unico alle nostre avventure e renderle memorabili.

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L’evoluzione continua

L’Ottava Generazione Pokémon ha portato con sé una marea di novità e polemiche. Già in occasione dei remake di Kanto della coppia Let’s Go Pikachu e Let’s go Eevee Pokémon aveva mostrato il suo nuovo volto. Quello di un gioco che avrebbe cercato di inserire novità di cattura, nuovi metodi per incontrare i nuovi mostriciattoli, nuovi modi di interagire con loro. Ma questo senza cambiare la propria natura.

In fondo è proprio questa l’essenza stessa di Pokémon. Un brand che è capace di rinnovarsi, di evolvere, ma senza mai perdere la sua anima. La cosa ci ricorda da vicino l’evoluzione dei giochi, magari di uno dei nostri starter. Quel cucciolo che ci è stato affidato all’inizio della nostra avventura è ancora con noi. Ma è cambiato. È cresciuto ed è diventando sempre più forte e capace di affrontare nuove battaglie. Eppure il nostro starter non è stato sostituito. Non ci ha lasciati. È e sarà sempre lì con noi, pronto per una nuova era.

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L’Ottava Generazione verrà forse ricordata come il primo passo verso la nuova forma di Pokémon. Scudo e Spada ci hanno mostrato per la prima volta l’abbandono della meccanica dei Percorsi in alcune ampie aree free roaming. Per noi allenatori anche un gesto banale come ruotare la telecamera e poterci muovere senza essere guidati da siepi e muretti, costituisce un momento particolare. La sensazione di essere cresciuti, la consapevolezza che il futuro stia arrivando anche per Pokémon. Ancora una volta il brand si prepara a evolversi. E noi saremo lì ad assistere, come sempre.

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Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.