Civil War: quando la politica americana divenne fumetto

Quando quindici anni fa uscirono i primi numeri numeri di Civil War il mondo dei lettori Marvel ne fu in parte sconvolto: non tanto per la spaccatura nei Vendicatori (non fu la prima, in fondo) quanto per il grosso peso che giocò la politica nella trama dell’opera. Avete letto bene: questo pezzo parlerà (anche) di politica.

Di sicuro avrete partecipato anche voi a qualche diatriba al riguardo. Chiedersi se il fumetto debba o meno occuparsi anche di attualità e, quindi, delle trasformazioni politiche, sociali ed economiche del mondo. La Marvel, sin dai suoi esordi, sembrò dare una risposta affermativa a questa idea. Il fumetto, dopotutto, non è che il prodotto di una società e una cultura, di un tempo, di uno zeitgeist. Esso non può essere scisso dal periodo storico in cui viene prodotto. E la storia si modella anche attraverso la politica. Qualcosa che poche case editrici di fumetti hanno compreso bene quanto la Marvel.

In fondo gli stessi personaggi che guidarono le fazioni della Guerra Civile dei Supereroi nacquero con fini politici e propagandistici. Captain America era il simbolo della Seconda Guerra Mondiale e della lotta contro i fascismi. Iron Man nacque per rappresentare gli USA nello sviluppo bellico della Guerra Fredda e contro i sovietici. Forse proprio per questo lo scontro tra i due rappresentò qualcosa di più, non solo per i lettori. Era il conflitto tra due diverse anime degli Stati Uniti. Quella desiderosa di mantenere la propria libertà a qualsiasi costo e quella desiderosa di imporre la propria legge, anche severa, pur di mantenere un primato.

Certo, tutto questo non può essere ridotto solo a “destra e sinistra”, “repubblicani e democratici”. Nemmeno a un “torto e ragione”, come sottolinea Doctor Strange prima della battaglia finale. Ma è allo stesso tempo innegabile che tutto ciò sia politica. Qualcosa che, quindici anni dopo, mostra ancora di essere attuale, oltre che una delle pagine migliori scritte dalla Marvel nei suoi ultimi venti anni di storia.

Civil War politica

Segnali di Civil War: la Marvel tra politica e fumetto

Si potrebbe pensare che ben due anni di pubblicazioni siano state concepite solo per aprire la strada a questo cross-over, sceneggiato da Mark Millar e disegnato splendidamente da Steve McNiven. La distruzione dei Vendicatori da parte di Scarlet e la sua pazzia, Las Vegas rasa al suolo da Hulk, le azioni di Wolverine sotto il controllo dell’Hydra. Ogni evento era un tassello in un mosaico che andava a comporre uno scenario difficile da pensare per un mondo di supereroi. Una società satura, stanca di tizi in calzamaglia al di sopra della legge. Ma era davvero un sentimento recente?

A pensarci bene questo evento era latente nella storia del fumetto Marvel da decenni. Gli attacchi di J. Jonah Jameson contro l’Uomo Ragno, il sospetto verso gli X-Men e la volontà di registrare i Mutanti, persino i tentativi della politica americana di influenzare i Vendicatori: tutto questo era già presente e prese corpo in Civil War. La Marvel non fece altro che tirare le fila di argomenti da sempre presenti nei suoi fumetti, dando loro una forma e una collocazione al centro di una storia.

Ed è qui che si formano le due realtà della Guerra Civile. Da un lato quella parte che ha sempre combattuto per la propria indipendenza, affrontando una delusione dopo l’altra senza mai rinunciare alla sua spensieratezza, a sognare un ritorno alla purezza. Dall’altra quella disillusa, proiettata verso un futuro troppo orribile da immaginare e che solo la continua discesa nel compromesso ha potuto impedire, anche a costo di perdere un pezzetto di sé ogni giorno.

La biografia dei due principali protagonisti ricalca perfettamente le due posizioni. Cap è un supereroe per scelta. Ha deciso di diventare il simbolo della lotta ai fascismi, anche a costo di sottoporsi a un procedimento rischioso, che lo avrebbe trasformato per sempre. Iron Man è stato costretto a diventare un eroe. Tutta colpa di una scheggia di granata gli ha perforato il petto: l’armatura grigia costruita nel sud-est asiatico (poi in Medio Oriente) era necessaria per sopravvivere.

Steve è sempre stato un idealista. Nella sua vita ha scelto di rinunciare anche allo Scudo pur di rimanere coerente con se stesso. Anche se questo, alle volte, lo ha portato a scelte discutibili (qualcuno ricorda Tempesta nella Galassia?). Come ha detto lo stesso Cap lui non è fedele a nulla, se non al sogno.

Per Tony gli ideali non esistono: esiste l’intelligenza, il mezzo che deve essere usato per il bene altrui, che responsabilizza le persone. Un dono che rende gli individui adulti in un mondo di bambini, ma che proprio per questo rende la loro caduta ancora più traumatica. La storia del suo alcolismo ne è una dimostrazione.

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Una storia di diritti civili

Qualche anno fa Mark Millar, sceneggiatore dell’evento principale, raccontò come venne concepita l’idea attorno a Civil War e come la politica giocasse un peso in quel contesto. L’idea era nata durante un meeting tra gli autori Marvel a inizio 2005 e prevedeva che fossero gli X-Men i protagonisti. Privi della guida di Xavier, avrebbero dovuto scegliere da soli da che parte schierarsi nei propri rapporti con gli umani. Un Ciclope disilluso si sarebbe quindi trasformato nel braccio destro di Magneto, mentre Wolverine avrebbe continuato a lottare per il sogno del Professor X. L’idea, pur stuzzicando l’interesse di Millar e altri (tornerà anni dopo con l’evento Scisma e poi in AvX), non convinse del tutto. Mancava qualcosa che potesse rendere quella guerra civile davvero potente. Mancava, banalmente, il contesto storico.

Se siete abbastanza vecchi da ricordarvi dove eravate l’11 Settembre del 2001, forse lo siete anche per ricordare cosa fosse vivere nei primi anni 2000. Cosa volesse dire la costante paura del terrorismo, amplificata non poco dai media. Gli Stati Uniti, dopo la ferita subita al World Trade Center, vararono lo USA Patriot Act, una legge impopolare che limitava fortemente le libertà civili dei cittadini, allo scopo di avere maggiore controllo su di essi e prevenire eventuali minacce terroristiche. Millar giocò al rialzo. Propose una storia in cui due generazioni sarebbero entrate in conflitto. Due modi del tutto diversi di vedere non solo l’eroismo, ma anche il fumetto. Due generazioni rappresentate, perfettamente, da Captain America e Iron Man.

Cap fu il simbolo della lotta contro il nazifascismo. Mai, come in quel momento, la causa con cui gli Stati Uniti erano scesi in guerra appariva “pura”. Era la difesa della libertà contro la tirannia. Iron Man nasceva in un contesto più difficile: la Guerra Fredda era una guerra sporca, che non lasciava spazio a grandi ideali. Una guerra che richiedeva di sporcarsi le mani, ora imponendo il proprio dominio nel sud-est asiatico, ora sostenendo colpi di stato militari contro governi democratici. Per due periodi storici così diversi era impossibile produrre fumetti e personaggi con gli stessi ideali. Ed è curioso pensare che Cap si convinca di aver perso la causa proprio quando accetta di combattere sporco contro Tony.

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Da che parte stai?

Civil War diventa quindi una storia tra due diversi modi di concepire l’ideale americano. Quello della Seconda Guerra Mondiale e quello della Guerra Fredda. La guerra dolorosa ma “giusta” e la guerra impopolare ma “necessaria”. Una guerra che assume però diverse sfumature. La più evidente è il rimando al vecchio dibattito sulla diffusione delle armi.

Può apparire paradossale, ma proprio l’anima più progressista degli Stati Uniti, Democratica o Repubblicana che sia, quella stessa che ha fatto della lotta per le libertà civili un cavallo di battaglia, è da sempre a favore di una limitazione di tale libertà: quella di possedere e utilizzare armi. Provate a immaginare questo stesso concetto applicato però a degli esseri umani. La sola idea fa venire i brividi, ma non appare del tutto scorretta. Pensiamo a Sentry: la Sentinella Dorata del Bene possiede un potere incomparabile, ma non è capace di controllarlo. Lasciato privo di ogni freno inibitore potrebbe distruggere il pianeta. E un simile discorso è applicabile a una quantità molto vasta di supereroi nel mondo Marvel, da Hulk a Ciclope.

Eppure proprio il lato umano costringe a una profonda riflessione. Come sottolinea Luke Cage quando Iron Man cerca di convincerlo: a lui, questa legge, appare come una forma di schiavismo. Etichettare le persone, catalogarle e inserirle in un database per trovare loro una collocazione. Poco importa che ciò avvenga con gli scopi più nobili del mondo: resta una mutilazione della libertà personale degli individui, alcuni dei quali spesso non hanno scelto di essere degli eroi, come i Mutanti o Spider-Man.

Questo scenario prese corpo nei fumetti meno di un anno dopo la proroga dello USA Patriot Act, una legge che, a detta di molti attivisti, violava i diritti civili delle persone, intaccandone la privacy e limitandone la libertà di espressione. Tutto in nome della sicurezza, qualcosa di cui il cittadino a stelle e strisce sentiva un disperato bisogno dopo l’11 Settembre. Nei fatti il Superhuman Registration Act nacque come corrispettivo a fumetti del Patriot Act. Ma era anche la linea sulla sabbia che segnava la differenza tra due ideologie politiche: il libertarnianismo di chi riteneva che gli eroi dovessero essere superiori alle istituzioni e la posizione moderata di chi cercava un compromesso.

Captain America e Iron Man sono quindi due incarnazioni di quel conflitto che da sempre è presente nella storia umana: l’assoluta libertà contro la legge. Un conflitto vecchio quanto il mondo e che figure come Thomas Hobbes e Jean-Jacques Rousseau hanno provato a spiegare in modi diversi, con visioni e soluzioni opposte. Ma che sembra rientrare all’interno di Civil War, con grandissima forza.

In mezzo lotta il Ragno

Se è vero che sono due le figure a comandare le parti in lotta, altrettanto vero è che questo evento è associato a un terzo eroe. Parliamo, ovviamente, del nostro amichevole Spider-Man di quartiere. Captain America è la corrente libertariana degli Stati Uniti. Iron Man quella democratica e moderata. Allora qual è il ruolo di Spidey nel conflitto? Banalmente, quello del cittadino qualunque, che assiste alla lotta tra le parti e deve scegliere, di volta in volta, da che parte schierarsi.

Nessuno più di Peter Parker avrebbe da perdere nell’appoggiare l’Atto di Registrazione. Eppure sceglie di sostenere Iron Man all’inizio. Certo, in questa scelta pesa molto il ruolo di mentore che Tony ha ricoperto per Petey nella sua permanenza nei Vendicatori. Ma ha un peso anche la biografia dell’Uomo Ragno. La dolorosa perdita di Gwen Stacy, che lui stesso sembra aver causato. Il costante attacco della stampa che gli impedisce di essere riconosciuto dalla società come un eroe. E, non ultimo, il desiderio di proteggere la sua famiglia, Mary Jane e zia May.

Tutto questo però cambia quando Iron Man va troppo oltre, quando la guerra inizia a diventare una mera questione personale tra lui e Cap. A quel punto Spider-Man fa quello che tutti noi possiamo fare di fronte alla politica. Cambiare schieramento, pur di rimanere fedeli a noi stessi. Anche se questo, alle volte, ha un prezzo elevatissimo.

Il ruolo di Spider-Man serve dunque a ricordarci una cosa: per quanto un cittadino provi a rimanere esterno alla politica, questa sarà sempre parte di lui. Le decisioni dei governanti influenzeranno la sua vita, la modelleranno e la cambieranno. Inutile, a quel punto, decidere di stare fuori dal gioco. Poco importa essere un nerd lettore di fumetti o un amichevole Uomo Ragno di quartiere. In qualche modo la politica si farà strada per arrivare a te: tanto vale interessarsene sperando, nel mentre, che non scoppi una nuova Civil War.

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Una presa di posizione

La situazione dell’Uomo Ragno all’interno di Civil War è quindi un richiamo, abbastanza palese, a come l’uomo medio vive la politica tutti i giorni. Il conflitto tra “legge” e “libertà” e quello tra “compromesso” e “ideale” è forse il gioco di potere più vecchio del mondo. Scappare da esso è impossibile. Ma portarlo all’interno di un fumetto? Cosa vuol dire per noi, lettori della Marvel?

Rispetto a molti altri mezzi di comunicazione il fumetto ha il vantaggio di essere molto diretto. Le dinamiche e le tematiche proposte al suo interno arrivano con facilità al lettore, che per questo motivo può immedesimarsi e riconoscersi in esse. Nel 2006 fu questo ciò che venne chiesto al lettore. Il volto severo di Captain America e la maschera metallica di Iron Man campeggiavano nelle fumetterie, chiedendo ai True Believers “Da che parte stai?”. Ci veniva chiesto non solo di leggere l’evento: ma di prendere posizione, di scegliere chi avesse torto e chi ragione.

Civil War funzionò anche perché non fu una semplice storia di fantasia. Come detto la storia prendeva a piene mani dalla politica degli Stati Uniti (e, per estensione, del globo) in quello scorcio di anni 2000. Forse proprio per questo le successive riproposizioni della Guerra Civile dei Supereroi non ebbero lo stesso impatto.

Nel film Captain America: Civil War la questione era esclusivamente personale. Cap voleva difendere Bucky e dargli una seconda possibilità. Tony voleva redimere se stesso dopo il (momentaneo) fallimento della sua relazione con Pepper ed era costretto ad agire dal desiderio di salvare tutto e tutti. Inoltre gli eroi nel Marvel Cinematic Universe non erano abbastanza numerosi per avere lo stesso impatto sulla società e sull’opinione pubblica.

In Civil War II il conflitto presentò una tematica etica solo apparentemente interessante, ma che richiedeva una forte sospensione dell’incredulità: credere che il futuro fosse già scritto e, quindi, intervenire per cambiarlo. La posizione di Captain Marvel era obiettivamente indifendibile e le azioni di Iron Man per difendere la sua causa non raggiunsero mai gli estremi del primo conflitto.

Ma ciò che mancava davvero in entrambi i casi era la tematica portante: una tematica politica. Proprio la politica aveva fatto della prima Civil War del fumetto Marvel quell’evento storico che grandi masse di lettori avevano amato e apprezzato. Essa diventa non solo un valido mezzo per creare una storia: ma ciò che lo rende interessante, che le permette di fare un passo in più per affermarsi nell’immaginario comune. E proprio l’invito ai lettori di scegliere la propria fazione e schierarsi diventa il fascino maggiore della vicenda.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.