La pandemia ha introdotto il fenomeno delle corse virtuali: sarà il futuro del mondo del racing competitivo?

Andavo a 100 mega per veder la bimba mia

In questi due mesi di reclusione forzata abbiamo avuto tutti il tempo di fare qualcosa che non ci capitava da tempo immemore: annoiarci. In una società frenetica come la nostra, anche stare una mezz’ora senza sapere cosa fare era diventato praticamente impossibile. Ma come noi comuni mortali, si annoiano anche i vip: c’è chi si mena selvaggiamente, chi si dà alle stories su Instagram, chi ai consigli culinari, chi agli allenamenti, e chi alle corse virtuali.

corse virtuali

Perché tra chi si annoiava evidentemente c’erano anche gli atleti professionisti, che non potendo gareggiare dovevano inventarsi qualcosa per tenersi in allenamento e mantenere lo spirito competitivo che li contraddistingue (e per non perdere follower, direbbero i maligni).

Questo inizio anno terribile dunque sarà ricordato anche per un fenomeno che era già in crescita, come quello degli eSport, e che finalmente ha coinvolto veri e propri campioni dello sport. Uno dei più seguiti fino a questo momento è legato proprio al mondo delle corse: la Formula 1 e il motorsport in generale sono fermi, per cui trattandosi di uno sport in cui già di base si lavora molto con l’aiuto della tecnologia e dei simulatori, c’è chi come Liberty Media, la società americana che gestisce il Circus, ha pensato di organizzare delle corse virtuali tra piloti assolutamente reali.

Pronti, partenza, divano

Nei weekend dei gran premi cancellati dunque, è nata questa competizione virtuale, che ha visto contendersi la vittoria a colpi di sportellate e ruota a ruota che a volte non si sono mai visti neanche nelle gare vere e proprie, alcuni dei migliori piloti in circolazione.

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È bastato un videogioco e delle regole uguali per tutti, come ad esempio l’obbligo di usare un solo settaggio per tutti, e l’annullamento delle differenze tra le vetture (una Mercedes dunque ha le stesse prestazioni di una Williams) hanno fatto emergere il talento di piloti che guidano per scuderie minori, come i baby fenomeni George Russell e Lando Norris, e confermato gli assoluti talenti di Charles Leclerc e Alex Albon, per citare quattro tra i piloti più attivi sul fronte social e virtuale.

Il fatto di poter gareggiare comodamente dalla propria postazione casalinga ha poi dato la possibilità di cimentarsi nel virtual racing anche atleti che praticano sport totalmente differenti, come i calciatori Thibaut Courtois, portierone del Real Madrid, e il nostrano Ciro Immobile, bomber della Lazio, con risultati a volte anche abbastanza soddisfacenti.

Lotta di classe ai tempi di F1 2020

Inoltre sembra che gli stessi piloti prendano molto sul serio queste gare. Basti pensare a quanto successo nella virtual series del campionato Indycar, dove abbiamo assistito a un vero e proprio fenomeno di “classismo automobilsitico”, per quanto suoni assurda la cosa, quando il pilota Indycar Simon Pagenaud ha buttato fuori pista deliberatamente Lando Norris, reo di trovarsi al comando di una gara di categoria pur essendo un pilota di Formula 1.

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Insomma le gare sono prese sul serio (forse anche troppo), molto seguite e un bel passatempo in attesa che riprendano le corse reali. Ma un passatempo devono rimanere.

Personalmente, sento mio il mondo del motorsport tanto quanto quello videoludico, dato che seguo entrambi praticamente da quando ho memoria. Ma pur non essendo troppo affine alle posizioni dei puristi dell’automobilismo e dei petrolhead, e non volendo fare discorsi troppo da boomer, sono convinto che sia giusto che i due mondi debbano restare separati.

Meglio di no

I motivi sono molteplici: il primo è che mi fido dei massimi rappresentanti dello sport in questo momento, e Lewis Hamilton e Sebastian Vettel sono fuori dai giochi. Il primo ha chiaramente dichiarato di non essere interessato, pur essendo appassionato di videogiochi e testimonial di Gran Turismo. Il secondo, beh, forse un po’ boomer lo è, non avendo nemmeno un account social ufficiale, ma insomma tant’è. Stiamo però parlando dei due piloti migliori di questa generazione, e il fatto che nessuno dei due abbia manifestato interesse nella competizione, sarà banale, ma ne fa perdere anche a me. Non prendereste sul serio uno spot sul calcio se questo non facesse nemmeno menzione di Messi e Ronaldo, d’altronde.

Un altro motivo che mi viene in mente, ammetto che sia controverso, ma è qualcosa che volenti o nolenti bisogna mettere in conto: il motorsport è pericoloso.

Ringraziando il cielo le cose sono cambiate rispetto anche a solo una ventina di anni fa, e dopo la morte di Senna gli incidenti con gravi conseguenze in Formula 1 si sono quasi azzerati. Il rischio purtroppo fa parte del mestiere, ed è innegabile che ne influenzi anche le gare, un fattore che nelle corse virtuali viene letteralmente annullato. Spesso l’esito di una gara è questione di “manico”, di chi frena più tardi all’ultima curva, di chi è in grado di andare all-in accettandone le conseguenze. Quando sei seduto sulla poltrona di casa, questo fattore è completamente assente, e fa perdere di credibilità e realismo lo sport.

Ma soprattutto ciò che rende così incompatibili le gare reali e quelle virtuali è che queste ultime annichiliscono totalmente quello che è un aspetto fondamentale del motorsport, e cioè che è uno sport di squadra.

Dagli ingegneri che progettano la vettura, a chi decide e mette a disposizione il budget, agli operai in fabbrica che la assemblano, a chi decide le strategie, ci sono tantissimi ruoli all’interno di una scuderia che qui sono praticamente inesistenti. Un totale appiattimento che magari da qualcuno viene pure auspicato (quante volte sentiamo parlare di vetture uguali per tutti “per vedere le reali capacità di un pilota”), ma che in realtà elimina del tutto il fascino di una competizione che nonostante gli anni che passano (70 nel caso della Formula 1) e una folta schiera di criticoni che misurano la bellezza di uno sport dal numero di sorpassi effettuati in una gara, continua ad affascinare milioni e milioni di appassionati.

Certo è che è inevitabile che il motorsport cambi nel corso dei prossimi anni. Siamo nel 2020 ed è impensabile che una disciplina sportiva che si basa, letteralmente, sul bruciare benzina per andare più veloci, e che costringe un numero spropositato di persone tra pubblico e addetti ai lavori a viaggiare in aereo su base settimanale, non può durare a lungo. Ma un futuro virtuale banalizzerebbe questo mondo in maniera irreparabile.

Insomma, ben vengano le gare virtuali se servono come conforto per chi non riesce a rassegnarsi di essere arrivati a metà Maggio senza aver sentito il rombo dei motori. Ed è bello che i videogiochi riescano a far discutere, appassionare e –perché no- competere anche i più insospettabili.

Ma è giusto anche che ci sia un confine ben netto tra lo sport reale e quello virtuale.   

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.