Un fumetto senza paura

Alle volte per comprendere a fondo un supereroe la cosa migliore è quella di affidarsi alle parole di una delle sue nemesi.

C’è un vecchio albo del 1965 che solo i fan Marvel più accaniti ricorderanno. Namor, il principe di Atlantide, si erge trionfante alla fine di uno scontro contro un eroe. Lo osserva e dalla sua bocca orgogliosa escono parole di stima. Lui che ha combattutto contro i Vendicatori e i Fantastici Quattro sente nascere dentro di sé una sensazione mai provata di fronte a un eroe stremato che striscia verso di lui e lo prende per la caviglia, nel disperato tentativo di impedirgli di fare del male a degli innocenti.

«Nessuno è stato più coraggioso di lui. Il più vulnerabile di tutti». Poche parole, capaci di esprimere chi sia Daredevil. Un eroe con poteri inferiori a quelli dei suoi colleghi, con un handicap fisico che dovrebbe precludergli ogni possibile atto di eroismo, e che invece fa di lui uno dei superumani dal cuore più grande. E, proprio per questo, uno dei più grandi eroi dell’Universo Marvel.DaredevilIl cuore è l’essenza di Devil, nome con cui lo conosciamo noi lettori italiani. Ne ascolta i battiti per percepire nel buio della notte i criminali, ma è anche la sua più grande debolezza e ciò che gli ha concesso di cadere e rialzarsi più spesso di quanto non abbiano fatto i suoi colleghi mascherati.

Matt Murdock è forse una delle maggiori icone della Modern Age del fumetto americano. Un fumetto che riesce a mostrare un realismo inaspettato nel mito supereroistico, portato ai suoi massimi livelli da Frank Miller. Eppure nessuno si sarebbe aspetto, anni prima, che questa strampalata idea di un eroe cieco potesse davvero funzionare.

È il 1964 quando Stan Lee, sull’onda dell’entusiasmo per il successo delle altre testate della Marvel, decide di portare all’estremo il concetto di supereroi con superproblemi, che tanta fortuna aveva avuto con il Quartetto e con Spidey.

Voleva un eroe che fosse una contraddizione vivente, che potesse convincere tutti, anche i più sfortunati, che era possibile affrontare i propri problemi a testa alta, senza paura. Nasce così l’idea di Daredevil, lo scavezzacollo, un eroe capace di convivere con un handicap fisico senza precedenti nella storia del fumetto, sulla lama di coltello che divide la giustizia privata dal diritto.

Daredevil

Il panico, nella redazione della Marvel, doveva essere palpabile. Ma Lee era sicuro, aveva creato un eroe che avrebbe trovato presto o tardi una considerazione senza pari e lo lanciò, senza alcuna paura. E così fu: dopo le prime pubblicazioni iniziarono a piovere lettere di fan entusiasti, associazioni di sostegno che incoraggiavano la pubblicazione della testata per la sua capacità di parlare ai più sfortunati a spronarli a superare i propri handicap. Un apprezzamento che pure nella crisi del mercato del fumetto è rimasto saldo, che consente a Daredevil di competere anche con le testate più blasonate della Casa delle Idee.

Il motivo non è facile da comprendere. In Devil esiste un’alchimia speciale, qualcosa in grado di rendere un personaggio umile, religioso e riservato una vera icona del comic americano, un eroe capace di cadere e rialzarsi ogni volta.

La mitologia di Daredevil è simile a quella di altri colleghi in calzamaglia. Un gesto di altruismo, quello di salvare un anziano, si trasforma in una maledizione, portandogli via la vista e dandogli in cambio dei poteri insoliti, difficili da gestire. Poteri che, a prima vista, sarebbero poco adatti a un supereroe. Eppure Matt si troverà a doverli sfruttare per una motivazione singolare nella galassia degli eroi della casa delle Idee, una vendetta personale volta a rintracciare chi ha ucciso suo padre per consegnarlo alla giustizia.

Si potrebbe azzardare un parallelismo con Spider-Man, anche lui segnato dalla perdita dell’uomo che lo ha cresciuto, ma non è il senso di colpa a spingere Matt a vestire la calzamaglia rossa (anzi… gialla nei primi otto albi). È il senso del dovere, della giustizia, qualcosa che lo porta a voler dare tutto se stesso per permettere alla legge di fare il proprio corso. daredevil

Proprio l’immanenza delle storie di Daredevil, il loro essere così saldamente ancorate alla realtà, costituisce un altro dei punti di forza del personaggio. Immanenza che ha la sua prima manifestazione nei luoghi dove si svolge l’azione dell’eroe.

Per il lettore, specie se proveniente da uno dei tanti quartieri popolari delle grandi città americane come l’Hell’s Kitchen di Matt, prova una cupa sensazione di familiarità nelle storie del Diavolo Custode. Sulle pagine di Daredevil a farla da padroni non sono le vetrate scintillanti dei palazzi tra cui sfreccia l’Uomo Ragno, non c’è il Baxter Building o una Stark Tower come ambientazione fissa. Sono i vicoli, le strade strette e scarsamente illuminate, i retrobottega sporchi e maleodoranti dove si consumano i piccoli crimini. Devil è soprattutto questo: un eroe urbano, capace di trasmettere al lettore quella malinconia propria dei marciapiedi sporchi, dei lampioni mal funzionanti, dei sacchi della spazzatura accatastati contro il muro.

Oltre a questo la vita personale del protagonista appare più realistica di quella di tanti altri suoi colleghi. Il fatto di essere non vedente è solo la punta dell’iceberg. Matt convive con un senso di abbandono costante. La morte del padre, l’addio della madre, o il vuoto nel cuore dovuto alla perdita del suo unico amore, Elektra. A coronamento di tutto ciò esiste forse la perdita peggiore, quella della fede. Per essere precisi, si tratta di due fedi distinte. Da un lato quella verso la legge degli uomini, dall’altro quella della legge di Dio.

Matt è avvocato di un piccolo studio legale, interessato a proteggere gli umili e chi non ha la possibilità di pagarsi qualcuno che ne rappresenti i diritti. Un uomo per bene, che ama la giustizia, lacerato costantemente dall’impossibilità di ottenere piena soddisfazione dell’aula di un tribunale. Mentre dall’altra parte c’è la religiosità del personaggio, un cattolico irlandese che cerca in Dio un sostegno che troppo spesso, per lui come per tutti gli esseri umani, sembra venire meno.

Daredevil

Molto spesso abbiamo visto Matt Murdock distrutto emotivamente prima ancora che fisicamente dai propri nemici, costretto a “cadere dalla grazia” per le macchinazioni di qualche avversario. Molto spesso abbiamo visto il Rosso alzare gli occhi privi di luce al cielo, cercando nell’oscurità una risposta, un aiuto per riuscire a risollevarsi. E altrettanto spesso abbiamo visto i cieli muti, indifferenti alle sue sofferenze. Ma nemmeno una volta abbiamo visto Daredevil arrendersi. Per ogni preghiera non esaudita ne abbiamo vista un’altra formulata, per ogni caduta abbiamo visto una risalita, Anche strisciando, anche reggendosi in piedi solo con la forza della volontà, Matt Murdock non ha mai abbandonato la sua missione.

Perché Daredevil è soprattutto questo. Un eroe che non sempre vince. Ma che mai, non importa quali siano le difficoltà, smetterà di lottare.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.