A 11 anni dalla sua uscita, arriva nei cinema italiani Dogtooth di Yorgos Lanthimos, un film che racchiude l’essenza pura della poetica del regista greco

Quando al Festival di Cannes 2009 arrivò Dogtooh, terzo film del greco Yorgos Lanthimos, il successo fu clamoroso. Questo strano film, dalla fotografia color pastello e ghiaccio, non solo vinse il titolo di Miglior film in Un Certain Regard, ma si aprì la strada verso il pubblico d’oltreoceano con la candidatura agli Oscar come Miglior film straniero.

Per quanto gli americani siano abituati alle bizzarrie degli autori europei (e asiatici, come insegna la storia recente), Dogtooth di Lanthimos ha una luce particolarmente inquietante. La poetica del regista greco è concentrata e espressa nella sua forma più pura, che sarà necessariamente filtrata nella produzione successiva. Il passaggio ad Hollywood, il confronto con i grandi divi lo portano verso storie più masticabili, ma è qui che è iniziato tutto.

Dogtooth è una lunga metafora

Apparentemente nella storia di questa famiglia greca, composta da padre, madre e tre figli già grandi, c’è solo un pesante senso di straniamento e di violenza. I cinque vivono in una bella villa fuori città, con un’alta staccionata di legno che taglia fuori il mondo esterno. Ogni tanto ricevono la visita di un’impiegata della sicurezza, Christina, che assolve a un compito tutt’altro che consueto.

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Il comportamento dei figli tradisce presto qualcosa di anormale, una sorta di clausura indotta dal terrore di ciò che si trova al di là dei confini domestici. I genitori, poi, portano avanti un preciso lavoro mistificatorio, che incide sul linguaggio, sulle abitudini, sulla stessa sessualità dei figli. Così, i rapporti, i corpi, gli istinti violenti funzionano secondo meccanismi precisi, che non lasciano spazio all’istinto e al libero arbitrio. Che succede? Chi sono queste persone?

Quel che fa la dittatura

Un Paese come la Grecia sa bene come si vive sotto dittatura. Yorgos Lanthimos, poi, attinge a piene mani nelle radici della sua terra natìa, non lesinando riferimenti alla mitologia e alla Storia. In questo caso, il tema portante del film sono la propaganda, la repressione, ma anche il richiamo dell’Uomo verso la libertà. I tre figli (senza un nome, ma conta poco quando si è “popolo”) vivono una competizione violenta per compiacere il Padre, l’autorità. La Madre, un gradino sopra la progenie, ma decisamente sotto il Pater Familias, si trascina in un’atonia propagandistica, che cambia i nomi alle cose per costruire una realtà edulcorata.

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Il sesso è somministrato come una terapia al figlio maschio, che è trattato alla stregua di un erede e quindi privilegiato rispetto alle sorelle. Le due vivono le giornate nella noia, inventandosi modi allucinati di esercitare affetto e piacere, prendendo quello che possono dall’educazione del fratello. Ma di nascosto.
Solo il Padre, la cui caduta del canino bestiale determina una sorta di superiorità, è libero di lasciare la casa, ma solo per assolvere ai propri doveri economici verso la Famiglia.

Il senso di Lanthimos per gli animali

Per chi ha conosciuto il cinema di Yorgos Lanthimos con il suo primo film internazionale, The Lobster, è chiaro il rapporto che il regista ha con gli animali. In generale, infatti, si può notare una certa reminiscenza mitologica delle tante metamorfosi e degli idoli divini sotto forme bestiali.  Se, nel film del 2015, chi non si trovava un compagno o una compagna era destinato a diventare un animale, in Dogtooth il paragone è più sottile. Il dente di cane del Padre semplifica la natura ferina della famiglia e dell’Essere Umano in generale. Non a caso, il nemico più temuto dai ragazzi e dai loro genitori è il Gatto, che – descritto come animale pericolosissimo – è il protagonista di una delle scene più crude di tutto il film.

Anche nei più recenti Il sacrificio del cervo sacro e La favorita, la componente animale ha una grande valenza simbolica. Nella tragedia con Colin Farrell e Nicole Kidman, si ricalca lo schema del mito di Ifigenia, la sfortunata figlia di Agamennone e Clitemnestra che offre la sua giovane vita per il bene comune. Così come nell’Età Classica si usava sacrificare agli Dèi la più bella delle bestie per propiziarsi la loro benevolenza, Ifigenia è immolata per permettere al padre di salpare per Troia, con tutte le conseguenze che sappiamo.

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The Lobster (2015)

Analogamente, il rapporto tra la Regina Anna e i suoi conigli ne La favorita è fortemente simbiotico, poiché rappresentano i figli perduti nel corso della sua vita. Non a caso, proprio questi animali torneranno nel finale del film.

Dogtooth: la libertà non è una scelta

Nonostante ogni elemento della vita dei personaggi più giovani sia studiato per perpetuare la loro sottomissione, il senso di libertà irrompe e distrugge i piani. Attenzione, questo non succede in maniera plateale, ma con una piccola falla che – si spera – causerà la rottura della diga dell’oppressione e della dittatura.

L’effetto domino nasce proprio dall’introduzione di un elemento esterno, la Guardia giurata Christina, per soddisfare un istinto naturale (anche se concesso solo al personaggio maschile). Con la spontaneità di chi vive nel mondo esterno, Christina insinua nelle figlie un’idea di “altro”, permettendo loro di  mettere in discussione il codice familiare. Questo istinto di libertà non passa da un’elaborazione intellettuale, di cui le protagoniste non sarebbero probabilmente capaci, ma da un desiderio sessuale, che si fa strada anche senza essere compreso.

L’Essere Umano, ci racconta dunque Lanthimos, ha in sé il seme della libertà e – per quanto forte e crudele – nessuna Tirannia può inaridirlo. Anche questo decisamente molto greco.

La firma di Lanthimos

A contenuti tanto importanti, si affianca una regia altrettanto strutturata e riconoscibile. Oltre alla fotografia già citata in apertura, Lanthimos è uno scrupoloso costruttore dell’inquadratura, che si gioca con le simmetrie e e le geometrie. Gli stessi corpi longilinei degli adolescenti scelti per interpretare i tre Figli rientrano in un’armonia di linee e materiali.

La freddezza con cui Lanthimos affronta l’immagine indica una visione distaccata rispetto alla storia che sta raccontando, dando l’impressione di una regia “divina”, imparziale, che non indulge nell’empatia per i suoi personaggi, né li giudica. Una visione dall’alto, spesso anche fotografica, che conferisce all’autore il ruolo classico del deus ex machina e al film l’impianto poderoso del teatro classico.

Non preoccupatevi dei lunghi silenzi, delle azioni ripetute, dei tempi dilatati. Lanthimos arriva al punto ed è capace di recuperare lo spettatore anche quando la sua concentrazione può venire meno. Aiuterà senz’altro la visione in sala, dove il grande schermo potrà restituire a Dogtooth tutta la sua inconfondibile estetica. Dogtooth di Yorgos Lanthimos è al cinema a partire dal 27 agosto

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.