Attenzione, l’articolo contiene spoiler sul quinto episodio dell’ultima stagione di Game of Thrones.

Fanno dei giri immensi e poi ritornano

Che questa stagione di Game of Thrones vi sia piaciuta, che siate fra quelli che hanno firmato la petizione per il reboot diretto da Jim Jarmusch, che abbiate chiamato il vostro cane Khaleesi pentendovene amaramente o che ancora rimpiangiate il regno di Robert L’ubriacone, quello che è certo è che questo è stato l’ultimo lunedì della nostra vita in compagnia di una nuova puntata di Game of Thrones (almeno fino all’uscita degli spin-off, ma diciamo la verità, potrà mai uno spin-off restituirci anche solo un briciolo dell’attesa e delle emozioni che ci ha regalato questa serie?).

Per questo motivo, un po’ come quando suona la sveglia e il letto sembra ancora più comodo di quanto lo fosse cinque minuti prima, quest’ultima puntata riesce come nessun’altra in questa stagione a farci urlare ancora!

Se vi siete affezionati alle nostre recensioni scanzonate, ma sempre piene d’amore, vi chiedo scusa, perché su questo finale di stagione non è facile fare dell’ironia, ma ci proverò comunque.

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Pronti per l’ultimo giro sulla giostra del trono?

La situazione a King’s Landing è grigia, e non solo perché si sono dimenticati di correggere la saturazione delle riprese: Jon Snow e Verme Grigio fanno sfoggio di una virilità che entrambi, per motivi fisici o di zerbinaggio, non posseggono realmente. Il re senza corona e senza scorta cerca di far ragionare il mercenario poco loquace: eddai, è finita, restituiscigli la palla e falli andare a casa. No, risponde Verme Nudo, quel rigore non era valido, l’ha detto anche il commentatore di Holly e Benji dagli spalti, voglio il Var o da qui non se ne va nessuno. E infatti non se ne vanno.

Tyrion, che sente la spada di Damocle del contratto a tempo determinato pendere sul suo posto di Mano della Regina, si reinventa divulgatore storico, sperando di ottenere con il pubblico femminile lo stesso successo dell’Alberto Angela nazionale. Dopo un breve tour delle rovine della fortezza, con i suoi splendidi affreschi e il tabellone del Risiko a grandezza naturale, il nostro si dirige nelle cripte, perché sono passati quasi dieci minuti di episodio e ancora non abbiamo pianto, dobbiamo rimediare.

Ora, non so voi, esercito di sceneggiatori, storyteller, professori di drammaturgia e firmatori compulsivi di petizioni, ma ve li ricordate Jaime e Cersei Lannister? Ve li ricordate nel primo episodio, lei una stronza senza macchia e senza paura, lui che buttava ragazzini giù da torri altissime? Siete riusciti a guardare la scena della scoperta dei loro corpi abbracciati tipo Amanti di Valdaro senza commuovervi? Sì? Non ci credo. Andiamo avanti, prima che mi disidrati, che manca ancora un’ora alla fine dell’episodio.

Nel frattempo (un frattempo molto vago, dal momento che ormai siamo agli sgoccioli e devono succedere ancora un fracco di cose e cosa diciamo al dio dei salti temporali a caso? Prego, benvenuto, si accomodi, desidera un caffè?) Daenerys si è installata nella fortezza, montando un paio di mensole Ikea e stendendo le lenzuola ad asciugare sul balcone, prima di fare il più trionfale ingresso in scena mai donatole prima dalla regia, a suon di ali di drago e comizi da elezioni europee. Ora, in una società contemporanea occidentale la soluzione al problema di Daenerys esisterebbe, e si chiamerebbe TSO; tuttavia per colpa delle scellerate politiche sanitarie degli ultimi anni a Westeros, e per la presenza di un enorme e minaccioso drago alle spalle della regina, a Tyrion non resta altra carta da giocare che quella delle dimissioni, che vengono accettate con decorso immediato.

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Impossibilitato a spendere il TFR in tits and wine, le sue cose preferite, Tyrion passa il tempo in attesa del barbecue cercando di far ragionare Jon sulla necessità di iniziare a dire qualche frase diversa da she is my queen, ma quello ha perso il copione e, lo sappiamo, non sa mai niente, figurati se si ricorda le battute a memoria.

Ascolta ciccio, gli spiega allora un ormai stremato Tyrion, le cose stanno così: mancano – cosa – cinquanta minuti alla fine della puntata, ma che dico, di tutta la stagione, anzi no, dell’intera serie, serie in cui hai dimostrato di non sapere mai un cazzo, stagione in cui non ha fatto niente di utile neanche per sbaglio, episodio in cui il massimo che sei riuscito a ottenere è che gli Immacolati non trucidassero i tuoi uomini del Nord. Mettiti qua seduto che adesso ti spiego – e con te lo spiego anche a tutti quegli analfabeti dell’intrattenimento che ancora continuano a lamentarsi che Daenerys non può impazzire, è colpa della casta!!!!1! – cosa è successo in quel piccolo cervellino ricoperto di parrucche platinate. Ovviamente, se avessimo avuto più puntate a disposizione e gli sceneggiatori non avessero coglionato per buona parte degli episodi precedenti, non ci sarebbe stato bisogno di questo metaspiegone, ma è andata così, comunque non possiamo fare peggio del finale di The Big Bang Theory, quindi seduto e prendi appunti, che una stramaledetta cosa devi pur farla, in questo episodio.

E Jon la fa. (Dopo aver ribadito giusto un paio di volte che she is my queen)

Superando il drago, raggiungendo la torre più alta, dove la regina che è nata da pompiere e muore da incendiaria è impegnata ad accarezzare il trono che infiniti lutti addusse agli achei, Jon la ferma prima che ella poggi il suo regale deretano sulla cadrega dei suoi sogni: senti bella, ma che è sta storia dei bambini bruciati? Per caso il tuo vero cognome è Skywalker? Ma lei niente, ormai è partita per la tangente come una di quelle ex compagne di classe che incontri per caso vent’anni dopo la fine del liceo e vuole venderti per forza la nuova ri-vo-lu-zio-na-ria linea di tupperware che cambieranno non solo il tuo modo di cucinare ma la tua intera vita e a Giuda Snow non resta che pugnalarla, pur assicurandole la sua eterna stima e riconoscenza.

Così salutiamo Daenerys Targaryen Montoya de la Rosa Ramìrez, prima del suo nome, nata dalla tempesta, matta in culo, regina di ceneri, amante di nipoti, colei che si meritava più episodi per sviluppare questa sua ascesa verso la follia.

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E vi ricordate quando da bambini avete visto per la prima volta Bambi, Il re leone, e Dumbo? Bene, per decreto imperiale, da questo momento in poi e per chiunque abbia visto Game of Thrones, l’equivalente nella vita adulta di quel trauma sarà Drogon che cerca di risvegliare Dany, prima di entrare a capofitto nella seconda fase dell’elaborazione del lutto – rabbia – e distruggere il simbolo di quella disgrazia, dimostrandosi il personaggio più sveglio dell’intera stagione.

E adesso, dopo questo momento toccante, è giunta l’ora di occuparsi delle questioni burocratiche e amministrative: a chi appaltiamo la costruzione del nuovo trono? Che fine facciamo fare a Jon Snow? Chi è che continua a buttare l’umido nel bidone della plastica? Per questa prima riunione di condominio del nuovo corso di Westeros vengono rispolverate vecchie glorie e illustri sconosciuti come in una qualsiasi edizione del Grande Fratello vip: oltre ai nomi di punta Stark, troviamo una serie di persone che non ci ricordavamo neanche che fossero vive, come Edmure Tully, che non ci interessava sapere se fossero vive, come Yara Greyjoy, e che non sappiamo chi siano, ma sappiamo che sono vive, come quello che dovrebbe essere il nuovo fantomatico principe di Dorne.

La discussione si infiamma subito sulla questione dei barbecue non autorizzati sul balcone all’ultimo piano, ma Tyrion ricorda al consesso che non hanno ancora eletto l’amministratore di condominio. Beh, io, si propone l’ingegner Tully, che dopo uno sguardo della nipote si ricorda di non essere proprio il miglior stratega dei sette regni e si allontana scusandosi di dover andare a cambiare l’acqua al pesce, scomparendo di nuovo nei meandri delle storyline più che secondarie.

Game of Thrones

La proposta di Sam di sfruttare un nuovo sistema che ha scoperto in un libro, una cosa chiamata suffragio universale, suscita le risate dell’intero gruppo: sì e poi facciamo pure una petizione, già che ci siamo, eh. E giù a sganasciarsi.

Alla fine viene scelta una strada intermedia: basta nepotismo, basta figli matti, che la sinistra riparta da una monarchia elettiva, e che tale forma di governo venga inaugurata dal maestro burattinaio Bran lo stonato, che ci guiderà con sguardo vigile e dinamismo. E, lasciatevelo dire, se dopo il dialogo tra Tyrion e Bran a Winterfell non ve lo aspettavate, avete la soglia di attenzione di uno spettatore di Don Matteo.

La festa è finita, i salatini e le bibite pure. Sansa ottiene la sua secessione, il trono di spade viene sostituito da un trono a rotelle, e da questo momento in poi ogni personaggio si muove, gattopardescamente, per far sì che tutto cambi perché nulla cambi.

Il finale di Game of Thrones è un anticlimax che riporta ogni pedina al proprio posto, come alla fine di una partita al gioco dell’oca: Jon torna nietzscheianamente tra i guardiani della notte, la figlia di Ned Stark governa sul nord, Bronn parla di bordelli, Tyrion è la nuova Mano del Re, l’inverno sta finendo, i lupi sopravvivono solo in branco, Arya salpa per l’ovest in compagnia di due strani ometti che dicono di essere hobbit e si è già conquistata il suo spin-off. D&D riescono a conficcare in maniera postuma un altro chiodo nella tomba dei sostenitori di Brienne e Jaime grazie alla scena di lei, dolcissima e malinconica, che scrive la vita dell’unico uomo che abbia amato, una vita votata a un’altra donna.

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E, a proposito di gente che scrive, ecco comparire, finalmente, Le cronache del ghiaccio e del fuoco, a cura dell’Arcimaestro Ebrose e del Maestro Samwell. Bello, ma come finisce?

Non lo sappiamo, forse non lo sapremo mai. E questo rende questo finale di serie ancora più prezioso, perché probabilmente sarà l’unico che avremo mai. E poco importa se la strategia degli sceneggiatori è stata di abbassare la qualità puntata dopo puntata per far risplendere questo ultimo episodio come una gemma in un letto di fango, poco importa dei salti temporali, delle trame mai chiuse, delle profezie mai avveratisi, di stagioni passate a cercare il bandolo della matassa là dove si nascondeva solo un nodo gordiano.

Niente importa.

Perché Jon coccola Spettro.

E mentre la sua guardia inizia di nuovo, la nostra finisce, per sempre.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.