Hogwarts Legacy a bocce ferme

Hogwarts Legacy è stato impegnativo da gestire: più che in altri casi simili è stato impossibile scindere il gioco dal suo contorno. Le discussioni, le riflessioni (o meglio, le prese di posizione) e gli scontri ideologici hanno preso lo stesso spazio dei normali discorsi relativi della qualità del gioco stesso, dell’aderenza all’universo narrativo di Rowling, andando a formare un potpourri di stimoli che raramente si sono visti attorno a videogioco, soprattutto se facciamo un passo indietro e inquadriamo Hogwarts Legacy per quello che è: un open world su licenza con un pubblico di destinazione decisamente casual.

Più che in riferimento al caso Cyberpunk 2077, rispetto a Hogwarts Legacy è stato impossibile non notare quanto “il contorno” sia diventato importante come il gioco stesso, con interventi che hanno coinvolto anche giornali e politici della più becera destra italiana. Signora mia, è solo un gioco.

Dicevo in apertura ‘impegnativo’ perché non è stato possibile, nel momento in cui ho dovuto pensare a come impostare quanto state leggendo, prendere una posizione vergine da quello che è successo attorno a Hogwarts Legacy in nome dell’ipocrita oggettività della forma recensione. Cercare di essere oggettivi – ammesso sia possibile – vuol dire soltanto mettere sotto al tappeto tutti gli stimoli ricevuti, non rendere palese quello che comunque ci influenza. Così da una parte ho un’opinione specifica del gioco, dall’altra ho un’opinione su a chi questi è indirizzato, ma anche sulle conversazioni che attorno al gioco stesso si sono andate a creare.

Altre letture consigliate per approfondire:

Che sarebbe successo qualcosa era evidente: in fondo si tratta sempre di un prodotto del Wizarding World e di J. K. Rowling, la quale negli ultimi anni non ha fatto niente per nascondere la sua transfobia. Nonostante la presa di distanza dello studio di sviluppo e di Warner Bros dall’autrice, la bomba sarebbe dovuta esplodere e così è stato. Alcuni problemi già evidenziati dell’opera di Rowling sono tornati alla ribalta, mentre alcuni nuovi sono venuti a crearsi. Le prese di posizione si sono radicalizzate come consuetudine dell’internet, e diversi siti hanno deciso di uscire con articoli provocatori mettendo 1/10 al gioco o proponendo, in luogo della recensione nel momento dell’embargo, link per donare ad associazioni di beneficenza.

E va tutto bene così in realtà, perché è comprensibile che si prenda una situazione “importante” per ragionare anche sui significati che non sono intrinseci all’opera stessa. Quello che è successo sarebbe stato normale per molti altri media, è il pubblico del videogioco che forse non è ancora pronto ad affrontare un discorso più strutturato, a volte anche eccessivamente radicalizzato nelle posizioni, comprendendo che non c’è nulla di strano nell’avere posizione contrapposte rispetto alle cose e che un’opinione contraria non significa qualcuno che ti sta rompendo le palle sul tuo sacrosanto diritto di giocare, ma si tratta semplicemente di uno spazio di crescita e confronto. E la colpa non è nel pubblico, anche se può sembrare da come è posta la frase, ma soprattutto di chi a quel pubblico dovrebbe dare gli strumenti per esperire di un’opera e quindi della situazione che gli sta intorno, mentre invece tutto si risolve a fare click e a inasprire gli animi.

Le opere non esistono se non in rapporto a quello che gli succede intorno

In tutta questa conversazione certamente importante il gioco in quanto tale è stato spesso messo a margine, anche nel momento in cui si è espressamente detto di voler parlare del gioco e non del ‘contorno’. Perché l’intorno in un gioco dedicato a Harry Potter c’è anche nel momento in cui mettiamo a margine le orribili uscite dell’autrice: il bagaglio emotivo, la nostalgia, “l’esserci cresciuti insieme” portano avanti una visione parziale di Hogwarts Legacy allo stesso modo delle prese di posizione più strettamente politiche. Perché come dicevo la questione dell’oggettività è ipocrita.

E il fatto che “lettera d’amore”, “sentimento”, “fan di vecchia data” e “riproduzione fedele di Hogwarts” sembrino essere le keyword relative a Hogwarts Legacy da un’idea di come non ci si è spogliati dei propri bagagli mentre si sventolava il certificato di oggettività come fosse il libretto rosso di Mao.

Ora, la full disclosure qui è che a me Harry Potter piace pure, ma non ne ho mai però fatto una malattia. Li ho letti tutti, ho visto i film e mi ha sempre affascinato il setting, ma senza un trasporto particolare. Questo non per dire che io sia più oggettivo degli altri, ma semplicemente per completezza, perché in fondo anche questo è un bias.

Evidentemente io non sono il pubblico di riferimento di Hogwarts Legacy.

L’effetto wow su di me è durato il giusto. Negare di essere rimasto estasiato dalle atmosfere di Hogwarts e della campagna inglese vorrebbe dire mentire. Sotto questo aspetto Avalanche ha fatto un lavoro che definire eccellente sarebbe riduttivo.

Girare per Hogwarts è veramente una magia, e non solo per la quantità di citazioni al posto giusto, ma anche per la ricostruzione delle atmosfere, i piccoli spaventi quando le statue si animano, le decine di situazioni casuali che si attivano ripassando magari per la decima volta nello stesso posto. Le scale che si muovono, la sala comune che cambia con il passare delle stagioni, gli studenti parlano, le lezioni: tutto non è solo al posto giusto, ma è praticamente perfetto.

Hogwarts Legacy però sembra appoggiarsi troppo a questa sua componente senza raffinare abbastanza tutti gli altri sistemi. Non perché questi non funzionino in senso stretto quanto perché spesso sembrano essere poco coraggiosi e sempre al servizio del fanservice.

Si crea quindi un certo grado di alienazione nel giocatore più abituato a sistemi complessi, che riesce a vedere un potenziale ottimo ma allo stesso tempo si accorge di come tutto non sia stato sfruttato. Probabilmente un pubblico meno “esigente” non avrà di che lamentarsi invece, così come un pubblico più incline a costruire sovrastrutture su quello che il gioco avrebbe potuto essere.

Perché sempre rimanendo nella questione dei bias, non è che i giochi debbano essere sviluppati per quello che noi vorremmo fossero, e neanche con noi come pubblico di riferimento.

Su Hogwarts Legacy

Entrando più nel dettaglio, Hogwarts Legacy è quello che ci si aspetterebbe da un ARPG open world non molto innovativo. Si completano missioni, si combatte, si avanza nella storia.

Il pretesto narrativo è semplice: nel mondo dei maghi alcuni goblin si sono uniti per ribellarsi a secoli di oppressione. La rivolta ha preso tinte violente e ha coinvolto l’utilizzo di magia antica. Il personaggio principale, personalizzabile, si troverà a entrare a Hogwarts al quinto anno e scoprirà di avere il potere di vedere la magia antica, ritrovandosi così in qualche modo incaricato di salvare capra e cavoli (cinesi, che mordono).

Si tratta appunto di un pretesto per poter mettere in moto gli eventi e giustificare l’esplorazione di Hogwarts e dintorni. L’aspetto narrativo del gioco è infatti poco centrale, e a tratti direi un po’ claudicante nell’affrontare alcune tematiche, ma funzionale a non distrarre e abbastanza leggero da permettere un certo grado di flessibilità nella costruzione di tutto quel parco di missioni secondarie e non utili a farci fare esperienza di aspetti specifici del Wizarding World: volare sulle scope o sui grifoni, esplorare segrete nascoste di Hogwarts, scoprire antichi misteri e semplicemente esplorare un mondo che per ovvi motivi tecnologici mai prima d’ora era stato tratteggiato così bene.

Parteciperemo così a diverse lezioni e faremo quello che volevamo fare da bambini quando leggevamo Harry Potter: il gioco si apre infatti proprio con la ricezione della nostra lettera da Hogwarts, e proseguirà facendoci interrogare dal Cappello Parlante e facendoci scegliere dalla bacchetta.

Insomma, c’è un po’ tutto quello che deve esserci per farci girare amabilmente per le campagne inglesi di Hogwarts, compreso un sistema di progressione per piccoli dungeon e puzzle ambientali messi lì per darci sempre qualche reward quando esploriamo, come se non bastasse già da sola l’eccellente messa in scena.

È chiaro quindi che Avalanche ha voluto innanzitutto creare un parco giochi con meno limiti possibili per chi voleva semplicemente perdersi nel mondo di Harry Potter.

La debolezza di questi limiti non è però sempre positiva, e dove si guadagna in libertà si perde molto in altri aspetti che avrebbero fatto bene al gioco, come la componente RPG, anche se sembra paradossale dal momento che l’RPG mette al centro proprio la libertà.

C’è libertà e libertà, insomma, e quella offerta da Hogwarts Legacy è quella del parco giochi virtuale e non quella dell’interpretazione del proprio personaggio. Lo scegliere una casa, o una bacchetta, o più semplicemente rispondere ai dialoghi non farà sostanzialmente alcuna differenza nel gioco.

Non è possibile essere un mago cattivo à la Voldemort, così come non è possibile prendere posizione – sia essa contraria o a favorevole – rispetto alla rivolta dei goblin. Sotto questo aspetto Hogwarts Legacy ci tiene sempre sui binari, concedendo di rispondere ai nostri interlocutori bene oppure in modo un po’ scorbutico, ma questo fa poca differenza. Non si può quindi costruire il proprio mago con i suoi comportamenti e la sua posizione nel mondo, ma solo interpretare nella propria testa un personaggio, perché il mondo di gioco non reagisce.

La libertà in Hogwarts Legacy è quella di uscire di notte senza nessun rischio quando ci viene espressamente detto che c’è il coprifuoco, oppure quella di andare a lezione quando e come ci pare, senza una schedule fissa. Tutti elementi che, limitando, avrebbero dato profondità e soprattutto immersione maggiore al mondo di Hogwarts Legacy.

Il grande parco giochi di Hogwarts Legacy alla fine è troppo un parco giochi, mancando di tutti quei sistemi che obbligano a confrontarsi con il mondo di gioco grazie a un design in grado di porre delle conseguenze all’agire del giocatore. Se la scelta mi sembra chiaramente andare in direzione di una maggiore accessibilità da parte di tutto quel pubblico non particolarmente incline a ARPG complessi (non che mi aspettassi Skyrim, o Elex, o The Witcher insomma), il semplice dare delle conseguenze all’arrivare tardi a lezione o all’uscire di notte avrebbe soltanto dato un maggiore senso di verosimiglianza a Hogwarts Legacy. Sarebbe forse stato frustrante per qualcuno, ma sarebbe anche stato davvero un gioco in cui si era chiamati a iscriversi a Hogwarts.

Questa scarsa possibilità di interpretazione si riflette (ed è riflesso) in un quest design che lascia abbastanza a desiderare. Tolta qualche missione più strutturata all’interno di alcuni dungeon piuttosto piacevoli spesso le missioni – ad esempio quelle che riguardano andare a lezione – si risolvono in filmatini o nell’insegnamento di qualche meccanica, e poco altro. Non aiutano neanche i dialoghi un po’ naif e le missioni secondarie veramente prive di mordente e di qualcosa da dire.

Anche in questo caso le quest sembrano più orientate a guidarci da una parte all’altra della mappa per farci scoprire dei luoghi, piuttosto che funzionali a costruire degli eventi degni di nota, rispondendo sempre a quella necessità di mettere i mattoni per il parco giochi del giocatore e fargli vedere ogni sua attrazione prima ancora di volerlo coinvolgere nelle attrazioni stesse.

Un aspetto che invece ho molto apprezzato è il sistema di combattimento, ben più complesso e ricco di possibilità di quanto non si direbbe all’inizio. Sono rimasto veramente stupito delle possibilità che Hogwarts Legacy offre, sia per quanto riguarda le interazioni che le diverse magie hanno con i diversi nemici sia per le possibilità di inanellare combo o sfruttare in alcuni casi l’ambiente circostante. A questo si aggiunge poi un sistema di build non certamente complesso ma allo stesso tempo in grado di cambiare radicalmente il funzionamento di alcune abilità, così da rendere possibile almeno in questo aspetto una più che discreta varietà di combattimento. Giocando poi a difficoltà più alta rispetto a quella normale il livello di sfida è più che soddisfacente, e capire quando usare determinate magie e avere buoni riflessi diventa fondamentale dal momento che i nemici fanno veramente molti danni.

Meno riuscito è lo stealth, piuttosto basilare. Quando funziona è anche piacevole, ma le opzioni a disposizione sono così poche anche decidendo di spendere punti nel relativo skill tree che diventa certamente utile quando non si vogliono affrontare grandi combattimenti, ma non fondamentale o comunque non viabile come approccio principale a tutte le situazioni.

Ora, l’elefantino (magico) nella stanza

Nel mio tempo su Hogwarts Legacy mi son trovato spesso a riflettere su quello che la storia mi stava raccontando, e più volte ho avuto la sensazione che i temi toccati non fossero stati “studiati” con quel minimo di consapevolezza utile a non fare almeno alzare il proverbiale sopracciglio.

Mi spiego: se andiamo a stringere, in Hogwarts Legacy ci sono dei goblin che dopo secoli di schiavitù di incazzano e fanno partire una rivolta. Una reazione in fondo comprensibile, mi verrebbe da pensare. Poi il gioco comincia a farmi capire che magari stanno un po’ esagerando ‘sti goblin, che comunque non è che la schiavitù e la segregazione sono motivi così buoni per far partire una rivolta anche violenta. Che ci sono un sacco di goblin buoni e bravi che non vogliono modificare lo status quo rimanendo subalterni agli umani, e che un po’ gli conviene pure perché ci guadagnano qualcosa.

Ecco, io questa cosa non l’ho capita. O meglio, l’ho capita ma faccio fatica ad accettarla. Il racconto di Hogwarts Legacy è quello per cui la “specie” dominante del Wizarding World deve rimanere nella sua posizione di buon padrone, tanto rispetto ai goblin quanto rispetto agli elfi domestici. Ne abbiamo anche uno che ci ringrazia, vestito di stracci, perché almeno non lo maltrattiamo e quindi è uno schiavo felice.

In Harry Potter libri ricordo Hermione che cercava di creare un movimento per la liberazione degli elfi domestici, mentre qui la gerarchia sociale non solo non viene messa in discussione, ma anzi viene stigmatizzata l’iniziativa dei goblin che si ribellano. E il “la violenza è sempre sbagliata” è un dito un po’ sottile dietro a cui nascondersi.

Ci sono poi altri elementi narrativi che trovo piuttosto dissonanti con l’opera originale o con il tono del racconto. La mia protagonista – Felisin Paran – ha sterminato gruppi di bracconieri e di maghi malvagi in un’escalation di violenza non indifferente, senza risparmiare neanche gruppi di animali brutti.

Gli animali belli invece li raccogliamo dal mondo di gioco e li mettiamo in una riserva, oppure li vendiamo per farli (spero) spostare in altre riserve.

Tutto questo mentre il gioco, esplicitamente, ci propone quest animaliste in cui i bracconieri sono cattivi (giusto, ma non mi sento troppo più bravo a rapire intere specie dal proprio habitat per portarle in una riserva magica). Tenere un grifone in una borsa magica così da usarlo per volare non mi pare tanto più gentile che sfruttarlo per ricavarne risorse.

Insomma, c’è un problemino di dissonanza ludo-narrativa per cui il gioco ci vorrebbe proporre narrativamente una visione di un certo tipo del Wizarding World mentre meccanicamente ci fa andare in tutt’altra direzione prevalentemente per questioni di gioco.

Avrei preferito un approccio più sincero, con un 1800 in cui i maghi sfruttano gli animali o il massacro indiscriminato di bracconieri sia la norma, almeno la mia povera Felisin sarebbe stata coerentemente calata nel mondo di gioco. Così invece la mia Felisin agisce come fosse nel mondo di Malazan ma con il racconto un po’ troppo cuore di panna à la Harry Potter.

Quindi?

Tutto questo ci riporta a una delle questioni esposte nelle prime righe: probabilmente Hogwarts Legacy non era il gioco per me. C’è chiaramente tantissimo di buono nel gioco di Avalanche, ma c’è anche tanto che lascia a desiderare (in senso stretto) per il giocatore un po’ più scafato. Appena ci si fa qualche domanda in più su quello che succede nel gioco, o su quello che gli è successo attorno, il castello da sogno di Hogwarts si trasforma in un castello di carte.

Se non andiamo a toccarlo, o a soffiarci sopra, sicuramente può apparire come un castello di carte bellissimo e complesso, ma che mostra una fragilità di fondo da non sottovalutare.

Fuori dalla metafora, Hogwarts Legacy è sicuramente la più fedele rappresentazione del Wizarding World nel videogioco, e anche la più ambiziosa. C’è molta più estetica che sostanza però, e c’è molto di perfettamente tarato per far divertire la fanbase del franchise più che di orientato a costruire un videogioco veramente in grado di brillare.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.