Tra università, questioni sociali e ironia: La direttrice (su Netflix) si concentra sul contemporaneo e l’importanza che ha nell’ambito degli studi

Le storie nell’audiovisivo hanno intrapreso una rotta che non può più essere invertita o arrestata. I cambiamenti sociali e culturali non sono più solamente prerogativa della sfera umana che viviamo al di fuori o, molto spesso, sui social network, ma diventano inevitabili motivi di scontro anche all’interno di narrazioni cinematografiche o seriali.

È il caso de La direttrice, serie di Netflix che acquista nelle proprie fila un volto rinomato per la tv quale quello di Sandra Oh, che ne diventa protagonista dopo i successi di Grey’s Anatomy e Killing Eve, riconfermandosi uno dei punti di riferimento del bacino seriale.

Il ruolo che l’interprete va a rivestire è quello di guida del nuovo dipartimento di lettere dell’università di Pembroke, intenta a dover gestire le trasformazioni che hanno investito un ambiente così fervido come quello collegiale, profondamente immerso nelle questioni politiche, razziali e di genere che sono ad oggi sempre più di rilievo.

Tutte le materie de La direttrice

La scelta di una direttrice donna asiatica non è certo casuale, ma è su un ventaglio ancora più ampio che va aprendosi il prodotto Netflix, che non sceglie di limitarsi alla sua sola protagonista per avanzare problematiche e indagini che vanno da un’istituzionalizzazione bianca e maschilista di cui ancora riverberano gli “insegnamenti” al bisogno di portare ciò che avviene nella realtà all’interno degli studi.

Non basta più, infatti, assecondare i vertici per poter così vedersi riservato un piccolo spazio. Non si accetta più di dover sottostare a delle regole non dette per cui sono sempre gli stessi a detenere il potere facendo delle questioni sociali delle soluzioni silenziose unicamente poste come facciate.

È inoltre interessante aggiungere a questa visione retrograda, che Sandra Oh e una piccola parte del corpo docente cercano di estirpare, l’occhio sempre vigile seppur ormai catatonico di un manipolo di professori destinati al pensionamento che non vogliono però lasciare la loro cattedra.

Una difficoltà per gli studi di genere e razziali non indifferente, che vede in questi ormai vecchi pilastri dell’università un ulteriore discorso che si lega a doppio giro alle tematiche proposte dalla serie: il bisogno di lasciare spazio a una nuova leva, a persone giovani e fresche in grado di cogliere il trambusto dei tempi.

Quante lotte può contenere una serie?

È sicuramente una quantità di materiale impressionante quella che vuole ammassare insieme La direttrice nelle sue sole sei puntate da mezz’ora ciascuna. Moltissimo, davvero ingente, che seppur riesce a passare e a farsi comprendere dal pubblico, sia nelle intenzioni che nella narrazione, perde di efficacia proprio per il suo voler darsi (troppo) da fare.

Le intenzioni sono buone e la volontà delle creatrici Amanda Peet e Annie Wyman è la più impegnata e lodevole che si possa riscontrare. Ma osservare i mutamenti di pelle della società e volerli inserire tutti quanti indistintamente all’interno di un unico progetto non è sempre la soluzione adatta per analizzare gli argomenti, finendo per vederli fagocitati l’uno dall’altro senza raggiungere mai una vera disamina illuminante.

Se nella vita di tutti i giorni è fondamentale saper prendere posizione su più concetti quante sono le ingiustizie da dover fronteggiare nel mondo, nei racconti è la scelta precisa e circoscritta dei temi a contribuire al pieno svolgimento e compimento di quest’ultimi, che ne La direttrice si disperdono dunque senza raggiungere un vero fine, dando molti elementi su cui pensare, ma nessuno in grado di stravolgere la visione dello spettatore.

L’ironia semplice, ma arguta de La direttrice

Fortunatamente in soccorso di questo insieme confuso di battaglie e posizioni c’è il tono del tutto scanzonato che fa della serie Netflix un lavoro dall’aria quasi indipendente, appartenente a quelle pellicole piccole, ma graziose che risanano lo spirito di chi le guarda. Non una presa esaltante, né una comicità in grado di divertire chiunque, ma comunque una serie che utilizza un registro delicato pur nelle sue invettive, velandole di un umorismo semplice nel suo essere minuziosamente ragionato. 

La direttrice su Netflix è una serie TV che non può raggiungere i pieni voti, ma non per questo non passa l’esame finale, mostrando comunque di aver messo nel compito tutta la propria conoscenza. Una lotta per i diritti, per il libero pensiero, per ciò che è giusto combattere e per quegli sbagli culturali in cui ancora rischiamo di incappare. Un piccolo insegnamento per cui tocca scavare in noi stessi, riflettendo e applicando i precetti che ci richiede il contemporaneo.