Si può comprendere molto di un personaggio attraverso l’aspetto e i movimenti del corpo: alla scoperta del linguaggio audiovisivo degli anime

Occhi grandi, capelli di mille colori diversi, carattere esuberante o esageratamente timido. Molto spesso i personaggi dei cartoni giapponesi non somigliano per niente alle loro controparti in carne e ossa, specie per quanto riguarda l’aspetto fisico. Tuttavia ognuna delle trasformazioni che essi subiscono nella trasposizione su carta e poi su schermo ha una precisa motivazione, la cui origine si perde nella storia di questa forma d’arte, fino alle sue origini. Comprendere il linguaggio audiovisivo degli anime è fondamentale per coglierne le sfumature, perché con il loro corpo i personaggi parlano di sé stessi, si connotano e definiscono il proprio ruolo all’interno della narrazione. Scopriamo quindi insieme i tratti distintivi della narrazione animata giapponese, diventati ormai veri e propri canoni immediatamente riconoscibili.

Linguaggio audiovisivo negli anime: i tratti somatici

Il mistero degli occhi grandi

Sin dalla cosiddetta prima invasione, il periodo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta in cui la televisione italiana cominciò ad acquistare anime in quantità considerevoli, i nuovi spettatori si sono posti una semplice domanda: se i giapponesi hanno gli occhi a mandorla, come mai i loro alter ego animati hanno invece occhi grandissimi?

La risposta, come accade spesso nell’ambito dell’animazione, è meno eccitante di quanto ci si possa aspettare. Tezuka Osamu, conosciuto in patria come il dio del fumetto, fu uno dei primi a disegnare in questo modo, per una ragione prima di tutto pratica: i mangaka delle origini utilizzavano un solo pennello per tutti i tratti; fare gli occhi grandi significava evitare che l’inchiostro delle iridi si espandesse andando a toccare le linee delle palpebre. Esiste però anche una motivazione più legata alla narrazione, dato che occhi più grandi favoriscono la comprensione dello stato d’animo di un personaggio.

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La provenienza geografica

Il linguaggio audiovisivo degli anime può creare confusione nella mente dello spettatore occidentale, soprattutto per via della varietà dei tratti somatici rappresentati. In realtà mangaka e animatori creano i propri personaggi seguendo un codice preciso e consolidato, che varia a seconda della provenienza geografica e dell’ambientazione.

1 – Se la storia è ambientata in Giappone e pensata per un pubblico locale i personaggi riprendono maggiormente i tratti somatici degli abitanti del Sol Levante in carne e ossa. Sono quindi frequenti volti ovali dal mento appuntito e naso appena accennato. Gli occhi grandi, invece, non mancano mai.

2- Se la narrazione si svolge in Occidente e i personaggi sono tutti occidentali, viene mantenuto lo stesso stile descritto in precedenza. Autori e spettatori sottoscrivono una sorta di tacito patto: i personaggi sono chiaramente occidentali, anche se disegnati come Giapponesi. Questo punto è molto importante perché ha permesso agli anime di mantenere il proprio linguaggio audiovisivo inalterato, riconoscibile in tutto il mondo come prodotto giapponese.

3- Se sulla scena appaiono sia personaggi giapponesi che occidentali la caratterizzazione fisica si fa più complessa. Mentre i primi vengono rappresentati come descritto poco fa, i secondi subiscono alcuni accorgimenti volti a rendere più riconoscibile la loro origine geografica: capelli di vari colori sgargianti, naso oblungo e pronunciato, occhi azzurri, pelle rosea, fossetta sul mento e lentiggini sono solo alcuni esempi.

Il ruolo nella storia

Il linguaggio audiovisivo negli anime spesso differenzia i personaggi anche in base al ruolo che ricoprono nella storia. Sebbene ovviamente ne esistano molte più tipologie, la distinzione di base da sottolineare è quella tra cool, kawaii e spalle comiche.

I personaggi cool sono molto spesso protagonisti o antagonisti delle storie in cui appaiono. I loro tratti somatici ne sottolineano la forza, la sicurezza di sé e l’autonomia (Kenshiro, Ken il Guerriero); oppure il carattere freddo e l’ambiguità morale (Vegeta, Dragon Ball Z).

I personaggi kawaii ricoprono invece il ruolo di comprimari o gregari, ma diventano indispensabili con lo sviluppo della trama. La loro rappresentazione è fatta di tratti infantili, che suggeriscono inoffensività e immaturità. Generalmente essi sono indifesi e dipendono dai personaggi cool secondo il concetto tutto giapponese di amae, ma sono numerosi anche gli anime in cui ricoprono il ruolo di protagonisti (Hamtaro, Doraemon). Questo avviene maggiormente nelle serie destinate a un pubblico di bambini e preadolescenti, con l’obiettivo di incentivare l’identificazione e vendere il merchandising.

È possibile riconoscere le spalle comiche grazie ai tratti somatici grotteschi, bizzarri e caricaturali, sempre esagerati, volti a far ridere lo spettatore ancora prima di aprire bocca.

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Linguaggio audiovisivo negli anime: le scelte registiche

Disegni semplici

La semplicità dei disegni degli anime fa parte del loro linguaggio audiovisivo. Poveri di particolari, soprattutto se paragonati di cartoni occidentali, i personaggi e i fondali provenienti dal Sol Levante sono spesso tacciati di eccessiva povertà. Questa, però, è una scelta precisa da parte degli autori, supportata da diverse motivazioni. In primo luogo, disegni più semplici sono più facili da animare e offrono un maggior numero di opzioni nella messa in scena.

Gli anime, poi, non dimenticano mai il lato economico: i tratti scarni scevri di particolari stimolano la riproduzione da parte dei piccoli fan, che contribuiscono alla diffusione del prodotto disegnando i loro personaggi preferiti. Questa caratteristica peculiare dell’animazione nipponica porta con sé la necessità di spingere maggiormente sull’innovazione registica, trovando soluzioni sempre nuove.

Spazio e tempo

Dilatazione, restrizione temporale e uso dei fondali sono punti chiave del linguaggio audiovisivo degli anime. Qui di seguito raccogliamo alcune delle modalità di messa in scena più utilizzate.

Due personaggi restano fermi e si fissano intensamente, mentre il montaggio alterna inquadrature sempre più ravvicinate dei loro volti. Questo espediente dilata il tempo e conferisce drammaticità alla scena, accompagnato da una musica incalzante che avvicina la resa dei conti.

Negli anime sportivi (spokon) non è raro che un’azione che nella realtà dura qualche frazione di secondo, come un tiro o una parata, venga descritta nei minimi particolari dal telecronista. Siamo di nuovo di fronte a una dilatazione del tempo, che permette allo spettatore di comprenderne l’importanza decisiva.

Nei finali di puntata sono spesso presenti scene che lasciano il fruitore senza risposte sino all’episodio successivo. Il fermo immagine del protagonista si trasforma in un disegno colorato a matita o con gli acquerelli. Questo arresto repentino sottolinea la gravità della scena e accentua la sua funzione di cliffhanger.

Gli sfondi sono sempre complementari rispetto a quello che succede in primo piano. Utilizzati in modo espressionista, essi mettono l’accento sulle scene più importanti con i loro colori sgargianti e innaturali, con l’obiettivo di suscitare nello spettatore una sensazione che si sposi bene con la situazione rappresentata.

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Elementi grafici

Il linguaggio audiovisivo degli anime prende in prestito diversi retaggi dal suo fratello in carta e inchiostro. Molte forme espressive tipiche del manga trovano infatti il proprio posto nell’animazione, conservando la stessa funzione.

Spesso la trasposizione da manga ad anime mantiene le linee cinetiche, a volte sostituite da raggi di luce. Esse, a seconda del numero e della lunghezza, aiutano lo spettatore a comprendere la velocità di ciò che accade su schermo.

Le stelle, a seconda della loro posizione, sono utilizzate per trasmettere messaggi diversi. Se sono sullo sfondo sottolineano la bellezza della situazione; negli occhi di un personaggio significano determinazione e fierezza; sui denti, invece, presunzione e aggressività.

Una goccia di sudore sulla fronte o sulla nuca è chiaro segno di imbarazzo, spesso accompagnato da un’espressione basita; linee parallele e oscurità nella parte superiore dello schermo indicano invece tristezza inconsolabile.

Nelle scene comiche, quando un personaggio urla addosso a un altro, la sua testa si ingrossa sino a diventare il doppio del corpo.

L’ombra che sostituisce talvolta gli occhi di un personaggio è usata per indicare riflessione e introspezione, oppure per accompagnare rivelazioni importanti a lungo taciute.

Linguaggio del corpo

L’ultimo tratto distintivo del linguaggio audiovisivo degli anime è l’insieme dei gesti e dei movimenti del corpo. Essi sono peculiari dell’animazione giapponese e la rendono riconoscibile nel mondo quasi quanto le modalità di disegno.

Sebbene da noi sia sinonimo di vittoria, in Giappone la V con le dita è il simbolo della pace e vi fu introdotto in una pubblicità di una celebre macchina fotografica. Utilizzato per la prima volta dalla skater americana Janet Lynn alle Olimpiadi Invernali di Sapporo del 1972, il segno è ormai patrimonio culturale del Sol Levante.

“Stai parlando con me?” In Occidente facciamo seguire a queste parole un dito verso il nostro petto, mentre in Giappone si usa dirigerlo direttamente verso il volto.

Molto spesso, durante i segmenti comici, i personaggi kawaii espongono la parte inferiore dell’occhio come insulto. Questo gesto si chiama akanbe ed è tipico del Giappone.

Quando un personaggio disegna una X (batsu) con le braccia sottolinea qualcosa di errato. Il segno di “giusto” è invece il cerchio (maru). In Giappone anche i tasti della Playstation sono invertiti per lo stesso motivo: O per selezionare, X per tornare indietro.

La tendenza a incrociare i mignoli per suggellare una promessa risale al periodo Edo (1603-1868) e veniva usata dalla geishe per mostrare fedeltà ai clienti.

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Termina qui questo breve viaggio introduttivo alla scoperta del linguaggio audiovisivo degli anime. Ovviamente potremmo dilungarci ancora parecchio, ma vi lasciamo la possibilità di scoprirne autonomamente altre caratteristiche. Ogni scusa è buona per continuare a guardare anime!

Marco Broggini
Nasce con Toriyama, cresce con Ohba e Obata, corre con Shintaro Kago. Un percorso molto più coerente di quello scolastico: liceo scientifico, Scienze della Comunicazione, tesi su Mission: Impossible, scuola di sceneggiatura. Marco ha scoperto di essere nerd per caso, nel momento in cui gli hanno detto che lo sei se sei appassionato di cose belle. Quando non è occupato a procrastinare l'entrata nel mondo del lavoro, fa sport che nessuno conosce e scrive racconti in cui uomini e gatti non arrivano mai alla fine.