Outside the Wire: il nuovo action/sci-fi di Netflix ci porta in guerra nel 2036

Siamo nel 2036, un futuro prossimo in cui uomini e macchine iniziano a integrarsi  e condividere la scena quantomeno in campo bellico: questo è il mondo tratteggiato dal regista Mikael Håfström in Outside the Wire, nuovo film distribuito da Netflix che, nonostante quanto appena detto, sa molto più di action che di sci-fi. Forse persino troppo.

Il protagonista sulla carta è Thomas Harp (Damson Idris), un soldato senza esperienza sul campo, pilota di droni che combatte mangiando patatine davanti al monitor di una sala controllo. Il suo carattere arrogante e individualista fa sì che non esegua un ordine in una missione fondamentale, e la sua azione anarchica e improvvisa costi la vita a due soldati americani, a detta sua per salvarne altri trentotto. Per punizione viene mandato così in Europa dell’Est, dove dovrà aiutare il protagonista sul campo, Leo (Anthony Mackie), a catturare Viktor Koval (Pilou Asbaek), un signore della guerra che il Pentagono cerca da diverso tempo, e devono farlo prima che questi faccia esplodere delle testate nucleari.

Leo, tuttavia, non è un comune militare: si tratta di uno dei nuovi prototipi di androidi soldati, indistinguibile al nostro occhio dagli altri esseri umani, se non per il fatto che si tratta di vere e proprie “war machine”.

Criticare la guerra, facendo la guerra

La cosa più strampalata di Outside the wire è che si proponga come una sorta di film contro le brutture della guerra, pur dispensando pallottole, esplosioni, sangue e feroci uccisioni per quasi un’ora e 50 di durata, seguendo i dettami dell’action in modo certosino. Un controsenso che trova ulteriori sfumature paradossali in un altro grande difetto: la sensazione costante durante la visione di Outside the wire è la noia. Assurdo per un film d’azione, ma è così; per lunghi tratti l’opera di Håfström tedia lo spettatore, ravvivandosi saltuariamente in sequenze action più estreme del solito o in uccisioni barbariche.
Tutto però è troppo canonico, non esce quasi mai dagli schemi e soprattutto la trama di base è fiacca e poco interessante.

outside wire

Non aiuta all’entertainment il fatto che il reale protagonista interpretato da Damson Idris sia praticamente un fantoccio messo in scena per far risaltare l’antieroe androide Leo, e sebbene Anthony Mackie faccia il possibile per caricarsi l’intero film sulle spalle, alla lunga nemmeno una war machine come lui può impedirne il crollo, con Idris che ad ogni modo, per la sua interpretazione impalpabile e priva di mordente e carisma, ha colpe relative e viste le particolari scelte dei grandi brand finiti negli ultimi anni sotto l’egida Disney, come Star Wars o Marvel, non ci stupiremmo neanche più di tanto di vederlo ben presto in uno dei due filoni.

Un po’ come in Tyler Rake – Extraction di Sam Hargrave, qui il regista cerca di far emergere la moralità, nelle scelte dei suoi protagonisti e nelle domande che Outside the wire pone agli spettatori, quando in un turbinio di esplosioni e colpi d’arma da fuoco ci si chiede cosa in realtà distingue l’uomo da una macchina. L’etica tuttavia è soltanto sfiorata dal caotico racconto di Håfström, e se in uno dei più classici e divertenti action movie non l’avremmo visto come un difetto, lo diventa in un’opera che non entusiasma quasi mai e non coinvolge nelle dinamiche d’azione.

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Håfström e il direttore della fotografia Michael Bonvillain provano anche vezzi tecnico-estetici nelle scene più concitate, come ad esempio la sparatoria iniziale, sfruttando quella shaky cam che lo stesso Bonvillain aveva utilizzato ad esempio in Cloverfield, ma con risultati non particolarmente convincenti e che anzi destabilizzano un po’ lo spettatore con inquadrature granulose e confuse che limitano ulteriormente l’attenzione generale.

In definitiva Outside the wire, nonostante un’idea potenziale intelligente in fase di soggetto, mostra soltanto i muscoli e nemmeno così ben oliati, risultando l’ennesima creazione Netflix basata su un mero calcolo algoritmico ma che, nel pieno rispetto della tradizione delle classifiche di gradimento della piattaforma di streaming, resiste tra i prodotti più visti della settimana.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.