Bentornato PES, ti stavamo aspettando

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. L’ha detto Winston Churchill, e anche se sembra uno di quegli aforismi che spesso si trovano sui social ad accompagnare, per motivi ignoti ai più, scatti di avvenenti fanciulle poco vestite, è una delle frasi che meglio descrive questo PES, pardon, eFootball PES 2020 ed i cambiamenti che la serie ha subito nel corso di questi ultimi anni.

Il gioco di Konami è cambiato, arrivando quasi a negare sé stesso ed il proprio nome, con quell’ “eFootball” davanti a PES 2020, perché i cambiamenti a tanto a volte devono arrivare, pur di invertire una rotta alla quale magari si era pure affezionati, ma che non avrebbe portato più da nessuna parte. Ma come si dice, Roma non è stata costruita in un giorno, e l’inversione di tendenza di PES arriva da lontano, da quando nel 2013 fu implementato il Fox Engine, che ha iniziato a rendere il gioco visivamente più bello che mai, fino ad essere spremuto fino al midollo in questa edizione, ultima ad utilizzarlo prima del cambio che avverrà con l’avvento della next-gen.

Un mutamento che è poi proseguito nel gameplay, sempre più fluido e slegato da quei “binari” che tanto ci avevano fatto incazzare nell’epoca PS3, eppure ragionato, dal ritmo decisamente più compassato rispetto a quello del suo eterno rivale targato EA Sports, che invece nel frattempo trovava la sua quadratura del cerchio e la sua gallina dalle uova d’oro con quell’Ultimate Team che per molti, da solo, vale il prezzo del biglietto.

Cambiare si può, cambiare si deve

Una rivoluzione che per chi come il sottoscritto l’ha seguita nel corso di questi anni di sofferenza, fa sì che sembri quasi “normale” che l’edizione di quest’anno sia sicuramente il miglior gioco di calcio di questa generazione, e probabilmente anche uno dei più belli in generale, mentre invece questo sorpasso di PES nelle gerarchie rappresenta un fatto straordinario.

Probabilmente a livello di numeri, FIFA resterà comunque avanti, magari anche di tanto, ma dal punto di vista della qualità i passi in avanti fatti dalla simulazione calcistica di Konami sono straordinari. PES 2020 ti costringe ad affrontare la partita con un approccio più realistico, più ragionato, più vero. Buttarsi a capofitto in avanti dal primo minuto è una tattica che non paga quasi mai: qui l’avversario va studiato, ne vanno scoperti i punti deboli e va sfiancato fino a stanarlo, se si vogliono avere possibilità di vittoria.

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Il comportamento dei propri giocatori quando si è in possesso di palla è sensibilmente migliorato, ed anche grazie alle tattiche più avanzate selezionabili nel menù, che faranno felici anche i più smanettoni, si adattano bene alle varie situazioni impostate. Il gioco sulla fascia riesce ad essere davvero appagante grazie alle sovrapposizioni e alle triangolazioni, mentre il centro del campo tende ad essere più affollato e costringe il giocatore a cercare nuove soluzioni per sfondare in attacco.

Come se non bastasse, una mole infinita di piccole animazioni e migliorie, come la fisica che ora tiene conto anche ad esempio di dove è girato il giocatore nel momento in cui gli viene passato il pallone, e calcola poi anche in base a questo il tempo di reazione e la precisione dell’azione che si appresta poi ad eseguire, che sia un colpo di testa verso la porta, uno stop, un passaggio al volo.

Tutte cose che magari ad un occhio più disattento possono anche sfuggire o non sembrare così importanti, ma che invece alla lunga possono fare la differenza anche più delle novità più evidenti e tangibili, come ad esempio i contrasti, ora più fisici che mai soprattutto nelle sportellate in corsa. Un’evoluzione arrivata gradualmente, ma in maniera costante nelle ultime edizioni, che come detto in precedenza sembra quasi venuta in maniera naturale, come se non fossero passati sei anni e l’abisso che c’è di differenza tra l’edizione 2014 e quella 2020, appunto.

Insomma un paradiso per gli amanti della tattica e per chi predilige uno stile di gioco più attento ai dettagli. Ma soprattutto per chi cerca una ventata di novità in un panorama, quello dei giochi di calcio, che per troppo tempo ha puntato sulla velocità pura e i lanci in profondità.

Buoni propositi e cattive abitudini

E poco importa se alcune delle novità promesse, come il sistema Inspire, che dovrebbe far adattare il resto della squadra al gioco dei calciatori più tecnici e di carattere, o il famoso “Finesse dribbling” sviluppato in collaborazione con la leggenda di Don Andrés Iniesta, siano praticamente invisibili o inattuabili, risultando poco più che slogan pubblicitari, quando poi noti che finalmente, dopo anni e anni di maledizioni e frustrazioni, il team sta cominciando a limare (non “risolvere” eh, ma è pur sempre un inizio) dei difetti storici della serie.

Gli arbitri ad esempio non sono più dei totali deficienti capaci di ammonirti anche durante la stretta di mano tra i capitani prima del calcio d’inizio, e sebbene si notino ancora delle imperfezioni o comunque una sorta di severità eccessiva nei cartellini, la cosa è molto meno fastidiosa rispetto che in passato.

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Anche i portieri sembrano molto più reattivi, e non ho mai incontrato svarioni inconcepibili e poco realistici come troppo spesso accadeva nelle precedenti edizioni, e questa è davvero un’ottima notizia, nonostante si noti ancora un po’ di incertezza sui calci di punizione, che la CPU riesce a segnare francamente con un po’ troppa semplicità.

E se si parla di difetti storici della serie non si può non citare la questione delle licenze, e anche da questo punto di vista finalmente qualcosa è sembrato muoversi già da quest’estate. L’acquisizione della Juventus in esclusiva, e in generale quella dell’intera Serie A (escluso il Brescia, chiamato Brutie per qualche motivo) è un’ottima notizia, così come è bellissimo notare che la maggior parte dei giocatori, molti più che in passato anche per quanto riguarda le squadre di fascia medio-bassa, sono riprodotti molto fedelmente alle loro controparti originali (a proposito, la patch di aggiornamento delle rose al day one è tanta roba).

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MA Zebra, Prastogna, Spremonese, Drepanumese, FRANCO…

Le squadre con licenza presenti sono tantissime (un altro dei cambiamenti di PES 2020), e nonostante siano rimpolpate con campionati non proprio di prima fascia come quelli sudamericani, la Superliga cinese (che però pure presenta tante vecchie conoscenze del calcio “che conta”), possiamo tranquillamente annoverare quella delle licenze come una delle questioni in via di risoluzione, nonostante l’assenza della Champions League, passata già dall’anno scorso in esclusiva a FIFA, potesse inizialmente far temere il peggio.

Addirittura i nomi delle squadre prive di licenza, anche se è una cosa più evidente nel campionato inglese, rispetto ad esempio alla serie B italiana, dove sembrano inventati da Aldo, Giovanni e Giacomo quando imitavano i sardi, sono meno disturbanti. Il Chelsea non è più London Blue, ma è Chelsea B, e poco importa quella “B” vicino, l’importante è non impazzire cercando di capire quale cavolo di squadra si celasse dietro nomi misteriosi come East Midlands, per dirne una (se ve lo state chiedendo, era il Leicester).

I capisaldi: PES 2020 e i suoi cambiamenti non rivoluzionano proprio tutto

Ma se PES 2020 ha fatto dei cambiamenti la sua forza principale, questo non significa che non ci sia anche il bisogno di affidarsi ad alcune solide certezze, e la Master League è senza dubbio una di esse. Certo ci sono tante aggiunte, come dei menù nuovi di zecca, la possibilità di scegliere tra una rosa di ex leggende del calcio come proprio avatar (tra cui Maradona, Crujff e Gullit, ad esempio) che poi verranno fedelmente riprodotte anche durante le cutscene. O ancora, la possibilità di rispondere alle domande della stampa o della dirigenza prima di partite importanti o durante le sessioni di mercato. In sostanza però la formula della Master League è quella vincente di sempre.

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Così come la rivoluzione ha risparmiato ad esempio Diventa Un Mito, che anche in PES 2020 nonostante i grandi cambiamenti del gioco Konami, resta sostanzialmente identica, come da anni a questa parte, ma in questo caso possiamo parlare tranquillamente più di un difetto che di un pregio.

L’online ci è parso abbastanza fluido, mentre la presenza di vecchie glorie del passato nella modalità MyClub (il codice gentilmente offertoci da Konami includeva anche alcuni bonus per tale modalità, come ad esempio il prestito di Messi per 4 partite e Ronaldinho come Legend giocabile) è innegabilmente sfiziosa e nostalgica, ma in generale nel confronto con la colossale controparte offerta da EA perde un po’, anche per via di un po’ di eccessiva macchinosità nei menù e nelle meccaniche per l’acquisto di un calciatore, ad esempio.

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Insomma ci troviamo di fronte a un gioco che è una goduria per gli occhi, che pad alla mano diverte tantissimo, che si libera di alcune cattive abitudini, e i cui tanti cambiamenti finalmente funzionano a meraviglia. In pratica, PES 2020 è pronto a ritornare su quel trono che da troppo tempo lo stava aspettando.

La guerra è vinta, la rivoluzione è compiuta,  God save the King. Ora però non bisogna abbassare la guardia. La next-gen è all’orizzonte, e partire con il piede sbagliato costringerebbe i giocatori a scavare di nuovo le trincee. E con buona pace di Winston Churchill, non ne abbiamo alcuna voglia.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.