Scritto da Kevin Smith tra il 2002 e il 2006, The Evil that Men Do affronta di petto il delicato tema degli abusi sessuali

Chi sostiene che i fumetti come medium di intrattenimento debbano slegarsi dall’attualità, dalla politica e dal sociale sarà ancora una volta smentito. Nel corso dei lunghi decenni di vita della Nona Arte, sono numerosi i temi che gli autori hanno affrontato, con i filtri più o meno spessi della metafora e del simbolo. Accade però, e non così di rado, che alcune tematiche siano affrontate direttamente, senza troppi giri di parole. Ciò avviene in storie di grande impatto, che inseriscono dibattiti importanti nelle avventure dei super eroi più amati dal pubblico, disegnando quadri complessi. E, soprattutto, chiamando gli eroi a confrontarsi con la dura realtà che circonda il lettore. Tra tutte, la violenza sessuale è forse uno dei temi più spinosi, vuoi per l’età media del target, vuoi perché appartenente ai diversi tabù che una società perbenista usa per ignorare i propri lati oscuri. Vuoi perché legata al radicato problema di genere, che vede come protagonista il ruolo politico del femminismo, da sempre controverso quando si parla di cultura mainstream. The Evil that Men Do, scritto da Kevin Smith e disegnato da Terry Dodson invece decide di parlarne chiaramente, in una storia in cui la vera protagonista è il bel personaggio di Black Cat.

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The evil that men do: la scelta di Black Cat

Per chi conosce l’Amichevole Ragno di Quartiere, Black Cat – alias Felicia Hardy – non sarà del tutto nuova. Meno ricorrente di altri villain, meno presente di altri grandi amori di Peter, Felicia è l’alter ego Marvel di Catwoman. Come Selina intesse un rapporto di odio e amore con Batman, anche Hardy passa dall’essere una villain a essere un’alleata e compagna (sentimentale) di Parker. Insieme, i due vivono un appassionato love interest, condividendo nottate alle calcagna del crimine newyorchese. L’impatto visivo di Felicia è notevole: la sua apparenza la sessualizza fortemente, andando un po’ a rientrare nei vari cliché della femme fatale.

Per The evil that men do, la scelta di Kevin Smith ricade, però, proprio su Felicia. Il noto regista di Clerks e Dogma ha dimostrato in più occasioni di avere una visione molto interessante del femminile, proprio perché lontana dai vari stereotipi di genere. Anzi, diverse battute dei suoi film inducono la comunità nerd a riflettere sui propri limiti nei confronti delle donne. Anche qui, non parliamo del solito tema trito e ritrito dell’inesperienza dei ragazzi appassionati di fumetti nei confronti delle ragazze. Parliamo piuttosto di una propensione a controllare, giudicare e categorizzare i comportamenti sessuali altrui. Vi basti vedere a questo proposito In cerca di Amy, un film fondamentale per la cultura geek (e una buona occasione per apprezzare Kevin Smith).

In questo Smith è perfettamente coerente. La scelta di Felicia Hardy/Black Cat per raccontare il dramma della violenza sessuale non è casuale. Non avrebbe probabilmente avuto lo stesso impatto se a parlare fosse stato un personaggio la cui sensualità fosse stata più discreta. Hardy è la riappropriazione del proprio corpo dopo la sua violazione. È la fiera affermazione della propria personalità sul ruolo di vittima, su cui la società ha pesanti aspettative. Aspettative di cui a Black Cat non potrebbe fregargliene di meno.

Le diverse facce dell’abuso

Va detto, però, che in The Evil that Men Do la violenza sessuale è narrata su due, anche tre fronti. Per quel che riguarda la sua trattazione esplicita, lo stupro è raccontato sia da un punto di vista femminile, sia da uno maschile, indicando la trasversalità del fenomeno. Smith infatti vuole trattare l’abuso sessuale a tutto tondo, chiarendo l’aspetto socialmente radicato nei confronti delle donne, ma non per questo omettendo l’esperienza traumatica anche degli uomini. In un passaggio cruciale del fumetto, Felicia racconta il suo vissuto, contestualizzandolo in un ambito culturale in cui “Secondo certi studi, una donna su quattro viene violentata nella sua vita, secondo altri studi sarebbe una su nove. (…) Anche se la percentuale fosse una su dieci milioni, sarebbe comunque troppo” (The Evil that Men Do, parte sei, nella traduzione di Pier Paolo Ronchetti per Panini Comics).

Smith adotta un punto di vista non scontato, neanche quando affronta questo tema così difficile. L’abuso, nel caso di Felicia, non avviene da parte di uno sconosciuto, non si svolge dopo un’aggressione ma è insinuante, pressante e devastante proprio perché si manifesta in un rapporto di fiducia. Quello che ne risulta, tuttavia, è la medesima sensazione di privazione, di violazione e di momentanea perdita del controllo sul proprio corpo. Un pesante fil rouge che unisce Felicia a un altro personaggio rilevante della storia, quello del villain Francis Klum.

Per circa metà della storia, Francis appare solo in ombra del fratello maggiore Garrison, un signore della droga senza scrupoli attorno a cui avvengono misteriose stragi. Presto il potere di Garrison, un mutante di classe uno, sarà chiarito, così come gli abusi ripetuti ai danni di Francis. Il rapporto tra i due, assieme ai loro poteri andranno a rendere più complessa la trattazione di Smith del tema, attraverso ciò che i comics sanno fare meglio: la metafora super umanistica.

The Evil that Men Do: la metafora e la sua esplicazione

Garrison è un debole teleporta, in grado di spostare piccole quantità di liquido con la forza di volontà. Francis ha poteri molto più vasti, ma è tenuto al giogo dalla personalità tiranna del fratello maggiore. Insieme si fanno strada nel crimine della Grande Mela con un imperscrutabile sistema di annientamento dei loro nemici. Spostando una dose di eroina nel corpo del cliente, senza lasciare segni sulla pelle, Garrison riesce a costruire una ricco carnet di contatti tra il jet set della metropoli. L’altra faccia della medaglia, però, è la morte per overdose di chi – in un modo o nell’altro – risulta d’intralcio per i suoi affari.

evil men do

Si tratta di una fine terribile, di un’uccisione codarda che passa per la perdita totale del controllo sul corpo da parte della vittima. Senza sapere come e perché, a stento sapendo cosa, i malcapitati che affrontano Klum si trovano da un momento all’altro in balia di sensazioni incontrastabili. La privazione della volontà, d’altra parte, così come l’affermazione della propria sono parti del meccanismo dell’abuso sessuale. Sempre Felicia, in un intenso scambio con l’avvocato Matt Murdock (sì, Daredevil) spiega perfettamente in cosa consiste questo meccanismo. Parafrasandola, introdursi nel corpo di qualcuno contro la sua volontà non è una ricerca di piacere, ma un’affermazione di potere. Non si fa per godere, ma per spezzare, annullando ogni traccia di sensazione positiva che c’è nell’abusato. “Lo sta facendo per farle sapere quanto è inerme.” (The Evil that Men Do, sempre nella traduzione di Ronchetti).

Dunque, nel descrivere il super potere del villain, Smith ha cercato qualcosa di metaforico, che analogamente trasmettesse quel senso di angoscia e privazione. Tra l’altro, tra i due Klum, Garrison è quello dal potenziale meno significativo, il vero debole della faccenda. Eppure è anche quello che per via di un impeto violento e di una psiche narcisista è in grado di far realmente male e di seminare attorno a sé una spaventosa scia di dolore.

Perché dovreste leggere The Evil that Men Do

La storia editoriale del fumetto colloca la prima parte, composta dalle prime tre storie, a distanza di quattro anni dalla seconda. I tempi di gestazione di questo pas à deux tra Spider-Man e Black Cat sono dovuti ai tanti impegni di Smith, più proiettato sul cinema che sul fumetto. Tuttavia questo intervallo sembra aver avuto un ruolo provvidenziale nel dare spessore e intensità alla riflessione dell’autore. Accompagnato da uno stile grafico molto chiaro e dinamico, The Evil that Men Do (la traduzione italiana scelta da Panini è La malvagità degli uomini, btw), parte con dei toni da commedia. Il duellare verbale e non solo di Spider-Man e Black Cat e il loro inevitabile flirtare donano leggerezza a un’avventura che costruisce con calibrata calma il montare dell’azione. E, in un certo qual modo, lo sprofondare verso toni molto più cupi.

La prima parte, dunque, termina nell’ottobre 2002 con un’escalation che rivela il villain, il suo modus operandi e che mette la protagonista in un significativo cliffanger. Quattro anni dopo, nel 2006, Smith torna con un linguaggio diverso, più duro ed esplicito. Quello che succede dopo, dopo quello stato di impotenza in cui Felicia si è trovata, è la reazione dei personaggi (due principalmente, Black Cat e Francis Klum) al trauma. Ognuno, in qualche modo sceglie di indossare una maschera, ognuno deve fare i conti con una perdita di fiducia, più o meno rimediabile, nei confronti del prossimo. Il racconto dell’abuso, per Smith, è dunque un racconto di survivor. Non indugia nel morboso, ma analizza le conseguenze sulla psiche di chi esce da una situazione violenta. Un grande autore, che mette su carta una grande riflessione e un gran fumetto.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.