Kiss me first, ma con calma

Kiss me First è una serie Netflix presente sul catalogo ormai da più di un mese. Si tratta di una produzione tutta inglese ispirata all’omonimo romanzo di Lottie Moggach e affidato alle mani di Bryan Elsley, che molti di noi durante l’adolescenza avevano imparato ad amare con Skins.

È divisa in 6 puntate da 40 minuti circa e tratta la sottile linea che esiste tra la realtà virtuale e il mondo in cui viviamo, analizzando tematiche interessanti che si sviluppano attorno a personaggi particolari, inetti, emarginati, costruiti quasi tutti con una buona dose di coerenza.

La serie, come il romanzo, sembra ispirarsi ad una miriade di opere del passato, a cominciare da Matrix per il quale vi è un esplicito riferimento, per arrivare ad Alice nel paese delle meraviglie e verso il finale si ammicca anche alla saga di Earthsea, per la precisione il primo libro: Il Mago.

 

Ma di cosa parla effettivamente la serie? Ambientata in epoca contemporanea, ci viene presentata un’azienda globale che detiene il monopolio informatico (una sorta di Google che fa più cose e non ha concorrenza), e tra le varie possibilità di Azana, questo il nome della compagnia, vi è anche un mondo virtuale al quale ogni persona può accedere.

Leila, la protagonista, è una ragazza incredibilmente repressa, priva di personalità e con un passato che nessuno di noi vorrebbe: per sfuggire alla sua vita di inettitudine si rifugia in Azana all’interno della quale è un’ottima giocatrice. Qui vi è una realtà piuttosto scontata, dove delle fazioni si scontrano e i giocatori devono acquisire punti combattendo o raggiungendo achievement.

Il mondo virtuale viene però esplorato poco, perché sin dalla prima puntata Leila (Shadowfax all’interno di Azana) scopre un posto segreto: una sorta di enclave utopica chiamata Red Pill (ed ecco il riferimento a Matrix), un’oasi creata da un certo Adrian. All’interno della Pillola Rossa possono però accedere soltanto determinati tipi di persone.

Quali persone? Le più emarginate. Sin da subito ci rendiamo conto che quella di Kiss me First non è una storia semplice: ci vengono sbattuti davanti alcuni personaggi dal background terribile, terrificante e l’empatia a questo punto è immediata.

La mia sofferenza… quando è reale?

La trama procede lenta, lentissima: ci sono momenti in cui ci viene voglia di abbandonare tutto perché le puntate non sembrano mai arrivare a niente. Non ci sono momenti in cui il nostro occhio venga catturato e la personalità della protagonista è talmente sciapa da farci quasi chiudere gli occhi.

Ciò che ci spinge a proseguire è la curiosità: il bisogno di sapere se queste persone che nella vita sono state estremamente sfigate, riusciranno in qualche modo a risolvere i loro problemi, se riusciranno a capire come raggiungere la felicità.
Ma la storia non ci porta da nessuna parte, almeno fino alla quinta puntata, in cui piano piano cominciamo a capire quali siano le intenzioni di Adrian, colui che ha creato Red Pill.

Quelle che la serie vuole affrontare sono delle tematiche sociali molto forti, legate spesso a situazioni familiari disagiate, per far capire quanto gli adolescenti siano in una fase estremamente delicata della propria vita e come la società e le dinamiche familiari possano influire sul loro equilibrio e spesso sulla loro sanità mentale.
Se da una parte lo scopo di Kiss me First è più che nobile, dall’altra la sua enorme ambizione diventa una lama a doppio taglio.

Fino alla quarta puntata, nonostante la noia, si assiste ad una trama piuttosto lineare che sembra volerci portare in una direzione precisa, ma ad un certo punto viviamo un drastico cambio di rotta, che va a dividere e spezzettare tutto ciò che ci è stato fatto credere sino a quel momento, con lo show che non si dimostra in grado di reggere i drastici cambiamenti e tende a perdersi e girare su se stesso, come un cane che si morde la coda.

Anche lo sviluppo dei personaggi, che all’inizio era stato reso piuttosto bene, diventa sempre più confuso, soprattutto per quanto riguarda la protagonista. Lo scopo del plot è far tirare fuori a Shadowfax la propria personalità e il proprio coraggio, ma si può dire che non ci riesca fino in fondo. Vi è effettivamente un cambiamento, che risulta però troppo repentino e quindi poco credibile.
Nonostante i vari difetti, dobbiamo ammettere che il climax finale è molto interessante e la curva a gomito intrapresa dalla trama innesta comunque nello spettatore una buona dose di curiosità.

Azana non mi fa paura

Anche dal punto di vista registico e tecnico possiamo trovare parecchi difetti: questo perché lo scopo della serie sembra il più delle volte quello di voler innestare nello spettatore una sorta di inquietudine, senza però riuscirci. La fotografia infatti non svolge il suo lavoro e alcune inquadrature e piani sequenza falliscono in tutto e per tutto, trovando tuttavia compensazione nella colonna sonora, che è forse l’elemento che funziona meglio e riesce a rendere bene alcune atmosfere.

Se c’è un vero punto di merito in questa serie è sicuramente dal lato attoriale. Tallullah Haddons (Leila) gioca alla perfezione con il proprio personaggio, passando da inetta e apatica ad una vivacità di espressioni da manuale. Allo stesso modo Simona Brown (Tess) dona credibilità al proprio personaggio in tutta la sua esuberanza e follia.

Un altro elemento che fa sorridere è ritrovare Geraldine Somerville, attrice che molti conosceranno per aver interpretato Lily Evans nella famosa saga di Harry Potter, nei panni di un personaggio di cui non vi diciamo niente per non cadere nella tentazione dello spoiler.

kiss me first

Verdetto

Kiss me First è una serie televisiva ambiziosa, forse troppo, che non riesce a gestire le tematiche che affronta perché estremamente complesse. Se gli intenti sono nobili non lo è invece il comparto registico, che fallisce nel suo tentativo di trasformare lo show in una sorta di cyber-thriller, volendo indurre un’inquietudine che arriva solo verso la fine.

Nei suoi 6 episodi Kiss me First sa catturare l’attenzione dello spettatore soltanto tra il quinto e il sesto, con un cambio di rotta che per ora non è riuscito a gestire, ma che allo stesso tempo riesce a rendere interessante il climax finale.

Ci sarà sicuramente una seconda stagione e non possiamo far altro che incrociare le dita e sperare che regista e produttori riescano quantomeno a limarne i difetti.

Stay Nerd consiglia…

La virtual reality è ormai un dato di fatto e dai videogiochi al cinema se ne parla sempre più spesso: se vi interessano prodotti di questo tipo vi consigliamo senza dubbio Ready Player One, ultimo masterpiece di Steven Spielberg di cui potete anche leggere la nostra recensione, oppure potreste fare un vero salto nel passato e recuperarvi Tron, se non l’avete mai visto. Spostandoci invece verso gli anime c’è sicuramente Sword Art Online, che ai suoi tempi riuscì ad avere parecchio successo tra gli appassionati.

Sara Tamisari
Romana, laureata in Editoria e Scrittura. Redattrice e Social Media Specialist per Stay Nerd ed esploratrice di galassie lontane nel tempo libero. Libri e videogiochi sono la sua passione. Quelli belli. Quelli di Fantascienza, quelli che affrontano tematiche LGBT, quelli che portano a una maggiore consapevolezza di se stessi. Diventano ossessione, tanto che scriverci sopra è ormai indispensabile. Founder di AndroideClandestina.com: l'ossessione diventa blog.