La carriera di Luca Marinelli, vincitore della Coppa Volpi 2019 tra lo Zingaro e Diabolik

Quanti film servono per consacrare una stella? Nel caso di Luca Marinelli – romano, classe 1984 – ne bastano 16. Di Marinelli non si è mai smesso di parlare da quel suo dirompente semi-esordio nei panni dello Zingaro, uno dei villain meglio riusciti del nostro cinema, che ha reso ancora più efficace quel piccolo cult di genere che è Lo chiamavano Jeeg Robot

Tuttavia, non è da trascurare che, prima ancora della Coppa Volpi e delle sterili polemiche del Codacons, Marinelli ha vissuto una delle celebrazioni più importanti di questi anni Dieci del XXI secolo: è diventato un meme. 

luca marinelli
Fonte: Lo Zingaro chiede cose

La sua interpretazione in Lo chiamavano Jeeg Robot, resa preziosa da alcune battute davvero memorabili e dalla magnifica performance di Un’emozione da poco di Anna Oxa, lo ha lanciato nell’immaginario del grande pubblico, anche di quei “giovani” così poco familiari al cinema italiano. 

Prima di allora, però Luca Marinelli si era cimentato in ben otto film, scritturato per parti più o meno importanti. Nel 2013, l’attore romano è scelto dall’acclamato regista toscano Paolo Virzì per la parte da protagonista di Guido in Tutti i santi giorni, che gli vale la sua prima candidatura ai David di Donatello. Ma non solo: è stato il problematico Andrea ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino (2013) e Mattia Balossino ne La solitudine dei numeri primi, tratto dal best seller di Paolo Giordano. 

Ma, sopratutto, Luca Marinelli è stato Cesare in Non essere cattivo, ultimo film di Claudio Caligari. Nonostante avesse partecipato a diverse produzioni che hanno avuto un discreto successo di pubblico e critica, è con la doppietta Non essere cattivo – Lo chiamavano Jeeg Robot che Marinelli si fa davvero notare dal grande pubblico. Quell’anno, anche a causa della morte prematura del regista, Non essere cattivo è un inaspettato trionfo ai David,  grazie al quale Marinelli ottiene una candidatura come miglior attore protagonista. Il film di Caligari porta alla ribalta non solo Marinelli, ma il suo collega e amico Alessandro Borghi, protagonista anche lui di una carriera splendida, specialmente dopo la magnifica prova d’attore di Sulla mia pelle di Alessio Cremonini. 

A dirla tutta, lo stesso anno, grazie allo Zingaro, Marinelli vince il premio come miglior attore non protagonista, facendo parte dell’incetta di riconoscimenti che Gabriele Mainetti portò a casa con quella che era partita come una grande scommessa sul cinema di genere, Lo chiamavano Jeeg Robot. 

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Luca Marinelli per il grandissimo pubblico

Dopo una serie di film d’autore, Marinelli si diverte a vestire i panni di un’icona pop. Il suo Zingaro è una versione italiana di Joker, citato in maniera più o meno diretta nel look finale. È divertente constatare che l’attore è stato premiato con la Coppa Volpi proprio nell’anno in cui il Leone d’oro è andato al cinecomic targato DC sul cattivo più folle del mondo dei fumetti, Joker di Todd Philips.

Dopo lo Zingaro e prima di Martin Eden, però, a Luca Marinelli è stata affidata un’altra icona, forse la più importante e difficile di tutta la sua carriera (sin ora): Fabrizio De André. Accodandosi alla moda dei biopic di cantanti famosi, la Rai ha lanciato nel 2018 un film in due parti sulla vita del celebre cantautore genovese. Con la regia di Luca Facchini, Fabrizio De André – Principe libero, però, non è stato un gran successo di critica. 

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La prova che Marinelli ha dovuto affrontare non è stata per nulla semplice: la biografia del cantante e il racconto del suo carattere non sono per nulla lineari e prestano il fianco a numerose lamentele sia da parte dei parenti, sia da parte dei fan più attenti. Inoltre, un po’ come è successo a Rami Malek in Bohemian Rapsody e a Taron Egerton in Rocketman, interpretare un mostro sacro di questa caratura è quasi sempre un autogol.

Se i due attori americani, però, hanno schivato il colpo, portando a casa anche grandi soddisfazioni, Marinelli è uscito abbastanza malconcio dalla prova-De André. Un analogo destino l’ha subito il suo collega Claudio Santamaria, che nel  2007 aveva interpretato Rino Gaetano in Ma il cielo è sempre più blu. 

Bisogna precisare, però, che i difetti che aveva quella fiction non sono imputabili all’interpretazione del protagonista. Solamente, non è bastato il talento di Marinelli a salvare la situazione.

Un destino comune agli attori italiani che si fanno tentare dalla prima serata di Rai Uno, spesso pesci fuor d’acqua in uno standard che, per rispondere alle esigenze di un pubblico abitudinario, deve restare a livelli di smarmellamento (cit.) totale. Solo l’ingresso della HBO con l’Amica geniale ha dato una scossa di qualità alla fiction italiana, ma questa è un’altra storia. 

Verso la Coppa Volpi

Un fenomeno interessante in cui Luca Marinelli è stato coinvolto è la migrazione, o fuga di talenti, di giovani interpreti italiani all’estero. Dopo la bella avventura di Alessandra Mastronardi nella seconda stagione di Master of None e in contemporanea alle imbarazzanti incursioni di Riccardo Scamarcio nei triangoli amorosi hollywoodiani (Welcome Home, 2018), anche Marinelli è stato reclutato per un set estero. 

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Nella prima stagione di Trust, per la regia niente di meno che di Danny Boyle, Marinelli interpreta il ruolo di Primo, membro della ‘ndrangheta coinvolto nel rapimento di John Paul Getty III. Tratta da un vero caso di cronaca che smosse l’interesse internazionale nel 1973, questa prima stagione è stata trasmessa dal canale statunitense FX. 

Luca Marinelli, verso l’infinito e oltre

Il discorso con cui Luca Marinelli ha celebrato la sua vittoria a Venezia 76 ha messo in chiaro – se mai ce ne fosse stato il bisogno – la sensibilità e il valore morale di un giovane attore che ha approfittato di uno dei palchi più visibili del mondo per prendere posizione. La già citata reazione del Codacons sottolinea solamente l’infimo livello del dibattito a cui dobbiamo assistere, continuamente, nel nostro Paese. 

Con Martin Eden Marinelli mette un piacevole punto e virgola alla sua carriera, tutt’altro che in stallo ma che – anzi – si sta lanciando verso nuove sfide. Su tutte, la sua partecipazione a uno dei film di cassetta più atteso dei prossimi anni, in Italia: Diabolik dei Manetti Bros.

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Si tratta di una scelta intelligente di un talento dello spettacolo nostrano, che dirige la sua carriera verso declinazioni contemporanee e internazionali: quelle in cui i cinecomic non solo sono prodotti artisticamente dignitosi, ma sono anche – e sempre di più – un terreno dove gli autori amano confrontarsi. Questa di Marinelli è la storia vera.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.