La nuova casa di Namor: le origini dell’Atlantide meso-americana

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e immagini promozionali del seguito di Black Panther hanno iniziato a circolare sulla rete da qualche giorno. Abbiamo potuto così dare una prima occhiata a Wakanda Forever e farci una primissima idea di quello che vedremo in questo seguito così strano e sfortunato, orfano della sua Pantera Nera, Chadwick Boseman, tragicamente scomparso pochi anni fa. I Marvel Studios e la Disney hanno deciso, in un gesto di delicatezza e rispetto, di non realizzare un recast del protagonista, ponendo così regista e sceneggiatore di fronte a una sfida non da poco. Wakanda Forever si è quindi trovato ad affrontare una produzione travagliata. Ed è curioso pensare che, proprio in questo film, esordirà un altro personaggio con una difficile storia cinematografica alle spalle: Namor, il Principe di Atlantide.

La storia del personaggio, creato nel 1939 da Bill Everett, non è certo una delle più semplici sotto il profilo cinematografico. La Universal Pictures deteneva sin dagli anni novanta i diritti del personaggio, che tuttavia non ha mai trovato uno sbocco nelle sale. Successivamente Namor si è accasato alla Fox come parte del franchise dei Fantastici Quattro e solo con l’acquisto degli asset da parte di Disney si è aperta la porta per il suo ingresso nel Marvel Cinematic Universe.

Una porta che, tuttavia, molti fan del personaggio (ammesso che esistano…) hanno voluto richiudere quasi subito. Il motivo? Le promo art ci mostrano un Namor inedito, di origine ispano-americana, interpretato dal messicano Tenoch Huerta. Va da sé che l’Atlantide del Marvel Cinematic Universe sarà qualcosa di originale, ispirata alle civiltà pre-colombiane. Quanto basta per scatenare alcune delle frange più “calde” dei fan, facendo evocare a qualcuno lo spauracchio della “dittatura del politicamente corretto“. Spettro che è bene esorcizzare subito. Quello dei Marvel Studios non è un tentativo di strizzare l’occhio a una minoranza. Al contrario, sembra essere un tentativo di differenziarsi dalla concorrenza e di dare una nuova interpretazione a un personaggio storico, ma per farlo dovremo cercare di evidenziare le ispirazioni di Namor e della sua gente, ricostruendo parte della storia del personaggio e del mito di Atlantide.

Prima di Namor, prima del mito: l’Atlantide di Platone

Ben prima che Namor ne facesse la sua casa, Atlantide getta le sue radici nella storia europea. Più precisamente, in quella culla delle civiltà occidentali che fu la Grecia antica. A parlarci per la prima volta del continente perduto fu Platone. Il discepolo di Socrate, all’interno del dialogo Timeo, cercò di descrivere una società perfetta. Se conoscete il pensatore ateniese saprete quanto questa fosse un’ossessione per lui. Il filosofo vide fallire i due principali metodi di governo della sua epoca. La tirannide si era resa responsabile della morte della sua famiglia; la democrazia aveva ucciso il suo maestro. Cercare un’altra via per la gestione dello stato era quindi una delle sue ragioni di vita.

Fu così che Platone modellò il mito di Atlantide, non come luogo utopico, ma quale antitesi dello stato perfetto, l’Atene di novemila anni prima. Il regno perduto era uno stato imperialista, desideroso di assoggettare altre civiltà al proprio volere, arrivando quindi a uno scontro con Atene, unica grande polis in grado di arginarne le mire espansionistiche. La sconfitta di Atlantide sarebbe però stata solo la prima delle sue sfortune. Le divinità olimpiche, su ordine di Zeus, tennero un consiglio per decidere il futuro degli abitanti dell’isola, divenuti ormai troppo arroganti. Sarebbe toccato quindi a Poseidone distruggere con un cataclisma il luogo dove si trovavano i suoi stessi discendenti, cancellando Atlantide dalla faccia della Terra.

Nel dialogo Crizia Platone fornisce anche alcune informazioni geografiche sulla posizione e sulla conformazione di Atlantide. Ci racconta così un’isola gigantesca, grande quanto la Libia e l’Asia Minore, situata oltre le Colonne d’Ercole, il passaggio che noi oggi identifichiamo come lo Stretto di Gibilterra. Sono in parte illustrati i suoi monumenti, così come i minerali presenti sull’isola, come l’oricalco, leggendario metallo di cui sarebbero state costituite le porte della città eponima del continente perduto. Ci viene descritta la sua organizzazione, basata su un’oligarchia in cui dieci re, ognuno discendente diretto di Poseidone, gestivano altrettante porzioni dell’isola, costituita da un complesso sistema di canali concentrici che arrivavano fino alla capitale, dove si trovava un gigantesco tempio dedicato al dio dei mari. Vengono inoltre descritte le leggi, i giuramenti e alcuni riti, in particolare delle cacce al toro che precedevano ogni decisione cruciale per la gestione dello stato.

Alla ricerca di Atlantide

Sin dall’epoca di Platone si discusse molto sulle origini del mito descritto dal filosofo. Atlantide era storia o leggenda? Impossibile saperlo con certezza. La spiegazione più probabile è che il pensatore ateniese avesse semplicemente reinterpretato alcuni eventi passati in modo originale. I riferimenti nel Crizia e nel Timeo sembrano rifarsi alla civiltà minoica (ne sono un esempio i riferimenti alle tauromachie) e alla distruzione dell’isola di Thera, devastata in seguito a un’eruzione vulcanica che ebbe conseguenze anche su Creta e sul continente. Tuttavia la spiegazione più semplice su Atlantide, che ci appare anche come la più corretta, è quella di Aristotele: “Colui che l’ha creata, l’ha anche fatta scomparire”. Un modo semplice per dire che l’isola non era altro che una creazione di Platone, nata e perita all’interno delle sue opere.

Questo non bastò a fermare i sognatori. Per oltre due millenni Atlantide divenne l’ossessione di molte persone. Filosofi, letterati, esploratori, archeologi, ma anche occultisti e ciarlatani iniziarono a ricercare il continente perduto, tentando di dargli una collocazione. Le parole di Platone fornivano pochi indizi, ma sufficienti da scatenare le teorie di diverse personalità, dall’occultista Helena Blavatsky a registi come James Cameron. Atlantide fu così collocata in diversi luoghi del mondo.

Nel Mediterraneo furono Santorini, la Sardegna, la Sicilia e la Spagna a essere identificate con l’isola platonica. Altri provarono a collocare Atlantide nell’oceano, identificando gli arcipelaghi delle Canarie e delle Azzorre come i resti della perduta civiltà. C’è chi osò di più, provando a identificare il Polo Nord come possibile luogo in cui sarebbe sorta l’isola. E, infine, ci fu anche chi provò a collocarla nelle Americhe, scegliendo come luogo la Bolivia, il Brasile e i Caraibi. Tra questi spicca l’ipotesi dello spiritista e presunto sensitivo Edgar Cayce, il quale sostenne che Atlantide sarebbe riemersa. Ma la collocazione americana di Atlantide non si fermò qui: ci fu chi provò, sulla base dell’assonanza tra i due nomi, a identificarla con Aztlán, semi-leggendaria terra di origine del popolo azteco.

L’Atlantide della Marvel: Messico e nuvole (di inchiostro)

Arrivati a questo punto possiamo iniziare a parlare dell’Atlantide dei fumetti Marvel. Namor comparve per la prima volta su Motion Picture Funnies Weekley #1, sin da allora fu considerato come uno dei principali eroi della futura Marvel, facendo anche parte della All-Winners Squad, il team comandato da Captain America, antesignano dei Vendicatori. Eppure alle origini della sua comparsa il nuovo eroe (o antieroe, a seconda dei casi) della Casa delle Idee non fu associato ad Atlantide. Nella prima comparsa del personaggio il regno sottomarino viene definito col nome di Tha-Korr e solo successivamente sarà identificato come una città del continente perduto di Atlantide. Anche per questo lo stile della dimora sommersa del principe ha avuto numerose variazioni nel corso degli anni.

Se è vero che alcuni dei principali autori Marvel hanno deciso di utilizzare uno stile greco-romano per rappresentare l’Atlantide di Namor, altri si sono lasciati andare a soluzioni più ardite. C’è chi ha scelto rappresentazioni lovecraftiane, altri hanno optato per uno stile simile a quello del primo rinascimento italiano. Se guardiamo alle divinità adorate nell’impero sottomarino le cose si complicano ulteriormente. Oltre a Poseidone e altre divinità olimpiche, sono stati presentati riferimenti ai miti di Cthulhu, alla mitologia irlandese, egizia, mesopotamica e, ovviamente, dell’America pre-colombiana. Nell’Atlantide della Marvel si sono condensate diverse mitologie e luoghi leggendari, da Avalon e R’lyeh. Insomma, le ispirazioni sono state davvero tantissime, e non era imprevedibile che la soluzione scelta per il MCU sarebbe stata, ancora una volta, diversa.

Ma resta comunque la domanda: perché scegliere proprio la versione che vuole Atlantide come una civiltà meso-americana? La “colpa”, in realtà, potrebbe essere attribuita ad altre due produzioni cinematografiche. Una della DC Comics e una degli stessi Marvel Studios. Nel primo caso parliamo ovviamente di Aquaman, il cui secondo film uscirà a marzo 2023. All’interno della pellicola di James Wan, Atlantide ci viene mostrata come un’evoluzione della civiltà greca citata da Platone, con soluzioni quasi manieristiche nelle sue rappresentazioni, che uniscono fantasy e fantascienza. Adottare gli stessi riferimenti per la Marvel avrebbe potuto scatenare qualche polemica di troppo. Se credete sia un’esagerazione, forse siete troppo giovani per ricordare le reciproche accuse tra le produzioni del Signore degli Anelli e di Harry Potter, ree di aver plagiato l’aspetto di Gollum e Dobby.

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Quale impedimento nasce invece dai Marvel Studios? Il problema è relativo a Thor e al suo intero franchise. Le divinità, nel Marvel Cinematic Universe, sono state mostrate come alieni che, giunti sulla Terra, sono divenuti oggetto di leggende e venerazione. Le divinità olimpiche, come visto in Love & Thunder, non fanno eccezione. Lo Zeus di Russell Crowe è solo una di molte divinità presenti nell’universo cinematografico. Come conciliare allora un Poseidone spaziale con il fondatore di Atlantide? Da qui il radicale cambio di mitologia. Queste motivazioni non convinceranno mai quei True Believers che storcono il naso di fronte alla deriva presa dal Dio del Tuono nel corso delle sue ultime apparizioni. Ma in tal caso la questione ha poco a che fare con un presunto “politicamente corretto”.

Riguarda solo chi, dopo quattordici anni di produzioni, ancora fatica ad accettare che il MCU sia un universo parallelo rispetto ai fumetti creati da Stan Lee, Jack Kirby, Steve Ditko e tanti altri autori. Non sarà mai possibile parlare di adattamento, ma solo di un prodotto liberamente ispirato ai comic della Casa delle Idee.

È davvero questo il “politicamente corretto”?

A questo punto dovrebbe essere abbastanza palese che le accuse nei confronti dei Marvel Studios siano poco solide. Ma, messa da parte Atlantide, ci sarebbe un’altra questione da affrontare, ovvero quella del personaggio stesso di Namor. È difficile considerare il Sub-Mariner come un vero e proprio eroe. Anzi, troppo spesso le sue azioni si sono sviluppate in una zona grigia, come la scelta di distruggere il Wakanda quando era potenziato dalla Forza Fenice, la sua militanza negli Illuminati e, peggio ancora, nella Cabala. Davvero un personaggio che non ha esitato a scendere a patti con Norman Osborn e Thanos può essere considerato un eroe? E, a fronte di questa domanda, come può essere rubricata come politicamente corretta la scelta di affidare questo personaggio a una minoranza?

I film del Marvel Cinematic Universe, al pari dei fumetti, nascono per il popolo statunitense. È a loro che gli sceneggiatori si rivolgono nel creare un personaggio, così come a loro si rivolge la scelta di un casting. C’è quindi da chiedersi come possa essere considerato un tentativo di piaggeria verso la minoranza latino-americana (attualmente il secondo gruppo etnico negli USA) far interpretare a Tenoch Huerta un personaggio che, per quanto importante, non è certo un eroe al pari di Miss Marvel, Black Panther o il nuovo Captain America, Sam Wilson.

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Appare difficile tacciare Marvel Studios e Disney di qualche forma di buonismo. Ma allora questa scelta sarà controproducente? Forse no. Ciò che Namor ha mostrato, in quasi ottantacinque anni di pubblicazioni, è il concetto di diversità. Namor è l’alterità, rivestita da una convinta superiorità dei propri mezzi, della propria cultura, della propria storia personale e familiare. Il Principe di Atlantide è un personaggio che porta con sé un orgoglio smodato, ma soprattutto è rappresentante di una cultura che, per quanto simile a quella umana, se ne discosta, per abbracciare tradizioni diverse che per noi, umani della superficie, risultano difficili da comprendere. Per quanto arrogante Namor non è altro che questo: il desiderio di difendere Atlantide a qualsiasi costo e, con essa, le proprie radici.