Paper Lives, il nuovo film turco di Netflix, ci racconta una storia drammatica e intrigante, perdendosi tuttavia in un finale eccessivamente didascalico

La Turchia è sempre più presente su Netflix, e l’ultimo lungometraggio ambientato in una Istanbul quasi senza tempo è Paper Lives (Kagittan Hayatlar), di Can Ulkay, con protagonista Çağatay Ulusoy, che i binge watchers di Netflix conoscono già per la serie The Protector e che qui sembra una sorta di sosia di Finn Jones in versione Iron Fist.

Le due facce di Istanbul

Un assaggio dell’Istanbul patinata, una nicchia dove l’élite partecipa a eventi esclusivi arrivando con macchinoni che la maggior parte della gente non potrà mai permettersi: lo sottolinea con dileggio un uomo al volante di auto di lusso, mentre un altro gli “blocca la strada”, intento a raccogliere cartone e gettarlo nel suo sacco-risciò. Quest’ultimo è proprio il nostro protagonista Mehmet (Çağatay Ulusoy), e da questo momento in poi la telecamera di Ulkay ci mostrerà soltanto il lato buio della medaglia, in quelle strade in cui orfani e poveri si arrangiano cercando nei cassonetti materiali riciclabili, nella migliore delle ipotesi, mentre c’è chi si perde e passa le giornate a sniffare colla.

Mehmet è uno di quelli che vuole farcela, è rispettatissimo nel suo quartiere ed è una sorta di leader di questo gruppo di “fratelli” – come si chiamano l’un l’altro – tutti per lo più orfani, che lavorano per lui in una sorta di grande magazzino dei rifiuti. Eppure scopriamo subito lo yin e lo yang di questo misterioso protagonista: quando se ne sta in mezzo alla strada, di notte, a raccogliere cartone sotto un nubifragio è sporco, stanco e consumato dalla fatica, ma capiamo anche che è piuttosto malandato e infatti si trova il lista per un trapianto di rene. Il suo amico fraterno Gonzi (Ersin Arici), preoccupatissimo, lo porta in ospedale, ma Mehmet pian piano si rimette e il giorno seguente lo vediamo passeggiare per il quartiere fumando una sigaretta, con lo sguardo fiero e l’animo tranquillo. A cambiare la sua routine ci pensa però proprio Gonzi, quando di ritorno dalla sua giornata lavorativa, lascia nel magazzino un sacco di rifiuti dal quale esce un bambino spaventato e pieno di lividi: Alì (Emir Ali Dogrul). Ma chi è questo bimbo? E cosa gli è accaduto?

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Queste e ulteriori domande assalgono lo spettatore, ma Paper Lives non risponderà immediatamente a tutto, mostrandoci il radicale cambiamento di Mehmet, il modo in cui probabilmente si rivede nel bambino ed è per questo lo prende sotto la sua ala, cercando a suo modo di aiutarlo e di esaudire i suoi desideri, cosa che lui ancora non è riuscito a fare. “Morire non mi fa paura, ma che fine faranno i nostri sogni?”, dice Mehmet a Gonzi. I due, anni prima, hanno scritto una lista di cose da fare, di sogni da realizzare e se ogni tanto depennano qualcosa spicca sempre in alto quel “trova tua madre”, dove la loro penna rossa ancora non è passata.

Un dramma toccante

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Tra orfani, la situazione di degrado della periferia di Istanbul e bambini maltrattati, Paper Lives tocca tematiche assai delicate e prova a farlo con i guanti bianchi, riuscendoci per la quasi totalità dell’opera, puntando dritto al cuore dello spettatore.
Senza dubbio i meriti vanno divisi equamente, tra la regia elegante ma determinata di Ulkay e l’ottima performance di Çagatay Ulusoy, che interpreta in modo magistrale il ruolo di Mehmet, quest’uomo dall’animo gentile e premuroso, che a volte perde il controllo dandoci alcuni segnali non del tutto rassicuranti, che aprono la strada a un finale chiarificatore. È proprio qui, verso la fine, che si perde la sceneggiatura di Ercan Mehmet Erdem, illustrandoci in maniera dogmatica una conclusione alla quale lo spettatore con ogni probabilità è già arrivato, e rompendo pertanto l’atmosfera dolcemente drammatica che si era venuta a creare, grazie allo stesso script, al sovracitato regista e ai protagonisti, ma anche alla eccezionale fotografia di Serkan Guler, che merita una menzione a parte per il modo in cui ci fa immergere in questa Istanbul di luci e ombre, dove gioie e dolori corrispondono a differenti cromie.

Peccato che Paper Lives perda punti proprio a un passo dal finale, ma resta negli occhi e nella mente un racconto toccante e intenso in cui alla fine della fiera i pregi sono senza dubbio superiori ai difetti, e che impreziosisce il già nutrito catalogo dei film Netflix.

Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.