Spawn, dall’Inferno con amore (e con Todd Mcfarlane)

Spawn (di Todd McFarlane) è forse uno di quei personaggi che più di tutti hanno legato il suo nome ai travolgenti anni ’90. Ci sono pochi eroi dei fumetti capaci di essere un simbolo dell’epoca che li ha visti nascere, non solo perché molti poi si evolvono e continuano a vivere anche nei decenni successivi, a volte sintonizzandosi con il presente e a volte prefigurando il futuro, ma perché si contano davvero sulle dita di una una mano quelli che si sono fatti portavoce di un’era nuova.

Con Spawn, casomai non l’abbiate capito, si è aperta una fase impensabile nei comics a stelle e strisce, una fase che ha avuto ripercussioni enormi anche fuori da confini nazionali e che ancora oggi non si è esaurita, a 27 anni di distanza.

Con Spawn, è cambiato tutto. Anzi, forse sarebbe meglio dire con Spawn/Todd Mcfarlane.

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Todd Mcfarlane è uno di quei nomi che fanno parte dell’Olimpo dei più controversi cartoonist di sempre. O del Paradiso, potremmo aggiungere, se non fosse un accostamento un po’ dissonante con l’intera figura di Spawn. Ma anche l’Inferno, fidatevi, non sarebbe proprio adatto, visto che McFarlane nel suo capolavoro non le manda a dire né all’uno né all’altro e questo è un aspetto da non sottovalutare nella vasta mitologia dell’infernale mascherato. Intanto, dovrebbe avervi fatto capire di che razza di personalità stiamo parlando.

Non fatevi ingannare dal luogo di provenienza, l’accogliente Canada (come Wolverine e Jeff Lemire): il buon Todd è tutto fuorché lo stereotipo del canadese cordiale, caloroso e campagnolo. Chi lo conosce lo descrive come un visionario, un folle e un perfezionista (come le sue tavole), tuttavia penso che l’aggettivo più adatto per descriverlo sia quello di “spavaldo”. Perché bisogna essere spavaldi (e anche un po’ sfacciati) per dare il benservito ad una casa editrice come la Marvel, raccogliere armi e bagagli e decidere di fare da soli.

Vero, non era da solo: con lui c’erano Erik Larsen, Jim Lee, Marc Silvestri, Rob Liefield, Jim Valentino, Whilce Portacio e, appunto, Spawn. Un nutrito gruppo di garibaldini che, di fatto, mandarono all’Inferno e cambiarono per sempre il fumetto americano.

Spawn: l’infernale arte di Todd Mcfarlane

Todd Mcfarlane è un artista che del fumetto è pura espressione autoriale (e l’ha ribadito in Spawn), perché per lungo tempo ha disegnato e scritto le sue stesse storie mostrando un talento unico nella sottile arte dello storytelling che unisce queste due anime. Sa quando decomprimere, sa quando prendere la storia alla lontana e, soprattutto, sa quando sbalordire il lettore aprendo il campo a stupefacenti splash page dove la parola d’ordine è spettacolo.

Uno spettacolo condito da prospettiva irreali, disegni muscolari e potenti, ricolmi di dettagli da lasciar strabuzzare gli occhi, a cui non mancano delle raffinate sfumature dark che stagliate sullo sfondo aggiungono un’aria angosciante alla narrazione.

Con queste frecce al suo arco convinse nel 1987 Tom DeFalco, neo Editor-in-Chief della Marvel succeduto a Jim Shooter, a promuoverlo disegnatore regolare della serie The Amazing Spider-Man dopo un breve apprendistato alla DC Comics, premiato con l’impiego sull’importante mini Batman: Anno Due, seguito dell’Anno Uno di Frank Miller e David Mazzucchelli.

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Todd McFarlane

La chiamata di DeFalco non fu casuale e nacque dalla volontà di rinnovare profondamente l’Uomo Ragno dopo un periodo che sul finire degli anni ’80, nonostante l’uscita di pietre miliare come L’ultima caccia di Kraven, lo aveva visto un po’ appannato. McFarlane ci riuscì ma lo fece a modo suo, cioè entrando di diritto nella storia stessa dell’Arrampicamuri ben prima di cambiare quella del fumetto con Spawn.

Rivoluzionò completamente il suo aspetto fisico, riportando in auge l’aspetto più ragnesco di Peter Parker varato da Steve Ditko e tuttavia più sfumato negli anni con John Romita. Gli arti si fecero più sottili, gli occhi del costume più grandi, i movimenti diventarono da vero “aracnide” ma il cambiamento più drastico fu quello della ragnatela. La ragnatela, arma prediletta del Nostro, si trasformò in un insieme di fili sottilissimi, simili a tanti spaghetti, capace di risaldarsi nelle forme più sfuggenti e evocative. Tutti elementi che poi verranno ripresi ed estremizzati in Spawn. Questa rivisitazione, di fatto, fu talmente potente da essere la più importante mai realizzata sul personaggio nei tempi moderni, tale che i disegnatori venuti dopo non potevano fare a meno di seguirla.

E il pubblico dimostrò presto di gradire. Piano piano, la nuova caratterizzazione risultò particolarmente sintonizzata coi tempi e conquistò i lettori che vedevano in McFarlane una superstar. In quel periodo, tra l’altro, portava la sua firma la creazione (non solo grafica) di un personaggio destinato ad un successo strepitoso: Venom, che senza il talento del canadese non avrebbe mai visto la luce come lo conosciamo oggi.

Tutti questi successi, a cui seguì una crescita di Todd anche sul lato della scrittura, lo portarono ad avere presto una serie personale intitolata semplicemente Spider-Man. Le vendite, al debutto nel 1990, furono strepitose e sfiorarono le tre milioni di copie. A conquistare gli appassionati era, soprattutto, il fatto che Mcfarlane non si fosse limitato a scrivere e illustrare le storie del Ragno ma che avesse dato la sua personalissima interpretazione anche ai villain storici, avvicinandoli alla sua sensibilità mostruosa e dark. Tuttavia questa libertà, troppo accentuata, troppo ostentata, non poteva durare.

Todd McFarlane: attacco al potere

I vertici Marvel non tardarono infatti a fare delle pressioni su McFarlane affinché riportasse Spider-Man su binari un po’ più consueti, cosa che creò diversi attriti.

La rottura definitiva, si dice, avvenne quando DeFalco chiese a Todd di rifare una scena sul numero sedici in cui si vedeva una spada che trafigge l’occhio del mutante Juggernaut, sostenendo che era impensabile mostrare su un albo Marvel una scena così violenta. Mcfarlane, sdegnato da una simile raccomandazione, decise di prendere armi e bagagli di lasciare la casa editrice, sbattendo la proverbiale porta e sancendo un allontanamento clamoroso.

Questo perché, ai tempi, erano ben pochi gli autori che si potevano permettere di lasciare una qualsiasi delle Big-Two senza rischiare la bancarotta e McFarlane era certamente uno di questi. Il motivo ufficiale era il bisogno di prendersi un anno sabbatico dopo la nascita del primo figlio, ma sottotraccia si nascondeva una profonda insoddisfazione per delle interferenze giudicate inaccettabili. Interferenze che non esitarono (o forse lo avevano già fatto?) ad incrociarsi con quelle provate da Rob Liefeld, anche lui in rotta con la Marvel.

Batman secondo McFarlane

Liefeld, all’epoca, era un’altra superstar, fresco fresco dalla creazione di personaggi di grande ritorno mediatico come Deadpool e Cable, oltre che del primo numero di X-Force, la testata da lui disegnata di cui il primo numero aveva venduto qualcosa come 5 milioni di copie. Liefeld stava, in quel momento, cercando di sfruttare la meritata notorietà per pubblicare una serie indipendente con la Malibu Comics, chiamata Youngblood, cosa che portò a delle frizioni con la Marvel.

Lui e McFarlane si confrontarono, condividendo i reciproci malesseri e si accorsero di dover fare qualcosa per migliorare le condizioni di lavoro degli autori. Il mercato, infatti, gestito da Marvel e DC come un duopolio, voleva che i fumettisti fossero pagati a pagina e che venissero riconosciute limitate percentuali sulle vendite, senza dimenticare il tema dei diritti di eventuali nuovi personaggi che appartenevano sempre e comunque all’editore.

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Un meccanismo, questo, perfettamente rodato e che nei decenni aveva avuto tanti risvolti positivi, come quello di garantire un lavoro stabile a moltissimi professionisti, mentre ne aveva avuti altri negativi soprattutto riguardo alla vera paternità degli eroi. Basti pensare che, per tanti anni, Jerry Siegel non ha visto riconosciuto il suo contributo alla creazione di Superman, faccenda risolta solo di recente con una sentenza in favore degli eredi. Senza dimenticare, poi, le diatribe che avevano visto coinvolti Stan Lee e Jack Kirby sempre sull’annosa questa della genitorialità.

Questo meccanismo, dicevamo, aveva funzionato più o meno bene nel corso di decenni di pubblicazioni a fumetti, ma aveva cominciato ad incrinarsi sul finire degli anni ’80 perché gli autori erano ormai delle autentiche superstar che da sole muovevano milioni di copie.

Spawn e la nascita dell’Image

Ecco spiegato perché Liefeld voleva fare da solo: se lo poteva permettere. Inoltre, non bisogna dimenticare che il mercato del fumetto in America stava entrando in una fase di grande espansione. Prima di tutto, avevano cominciato a diffondersi a macchia d’olio le fumetterie che, col loro meccanismo della prevendita, consentivano alle case editrici di fare tirature più mirate mentre le stesse (e lo abbiamo visto) stavano aumentando in maniera smisurata con conseguente ricaduta sulle vendite.

Oltre ai già citati Spider-Man e X-Force, non dobbiamo dimenticare le otto milioni di copie degli X-Men di Jim Lee e il clamore che riscosse il mega-evento La morte di Superman orchestrato da Dan Jurgens. Questa crescita esponenziale era dovuta, inoltre, alla crescita del medium, capace a cavallo tra i due decenni di evolversi e di attirare un pubblico più maturo, oltre che all’esplosione del fenomeno del collezionismo che portava a gonfiare le vendite, specialmente dei primi numeri accompagnati da caterve di variant e contro-variant.

I tempi, dunque, sembravano maturi per aprirsi ad un nuovo scenario, soprattutto dal punto di vista economico.

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Così, “I Magnifici sette” Larsen, Lee, Silvestri, Liefield, Valentino, Portacio e McFarlane decisero di inaugurare la “terza via” del fumetto americano fondando la Image Comics.

Inizialmente, la Image si figurava come una compagnia ombrello che a livello distributivo si appoggiava alla sopracitata Malibu formata da diversi “studios”, gestiti in totale autonomia dai fondatori. Il primo prodotto di questa nuova realtà era Youngblood di Liefeld, che raggiunse le 930mila copie vendute. In seguito, esordirono altri eroi campioni di vendite come Savage Dragon di Erik Larsen e Cyberforce di Marc Silvestri, tutti appartenenti ad un universo narrativo condiviso che nelle intenzioni voleva essere l’ennesima sfida a Marvel e DC. Ma la palma di primatista spettava, manco a dirlo, a Spawn di Todd McFarlane.

Spawn esordisce infatti nel maggio del 1992 e il primo numero smercia in totale un milione e 800mila albi, un record ancora oggi assoluto per il fumetto indipendente. Questo perché, come dicevamo, Spawn è espressione all’ennesima potenza dell’arte di McFarlane. Ma non solo.

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Dietro a questa serie, infatti, oltre ad un talento fuori scala al suo massimo splendore c’è anche una storia bella e complessa. La storia di un uomo, Al Simmons, che viene resuscitato e spedito dal signore dell’Inferno Malebolgia sulla Terra con l’incarico di comandare, in qualità di Hellspawn, l’esercito infernale alle porte del Paradiso quando scoppierà l’Armageddon, la resa dei conti tra questi due regni.

In cambio, Simmons ha chiesto di poter rivedere la moglie. Peccato che Malebolgia lo abbia riportato indietro 5 anni dopo la sua morte: lei si è risposata e ha avuto addirittura una figlia col migliore amico di Simmons, che è tornato “in vita” senza il suo vero aspetto. Il corpo ha le sembianze di un cadavere in putrefazione composto da un materiale chiamato necroplasma, a cui si aggiunge un’armatura senziente dagli incredibili poteri e che gli concede una forza sovrumana.

Il mondo di Spawn e di McFarlane

Se siete dei neofiti e la storia vi sa un po’ troppo di già visto, vi consigliamo di non farvi ingannare dalle apparenze. Vero è che l’ambientazione del conflitto tra Inferno e Paradiso non è cosa nuovissima (ma ai tempi lo era) oltre che una metafora complessa del mercato editoriale in America, con entrambi i regni che rappresentano Marvel e DC occupati in una sorta di “guerra fredda” permanente. E non un caso che entrambi non facciano bella figura in questo contesto, con Spawn che, sebbene appartenente alle legioni infernali, decide di non schierarsi e di lottare per il bene per quanto possibile in un mondo alla deriva, dalla parte degli emarginati e degli ultimi.

Questa bontà d’animo, però, non deve farvi ingannare: Spawn non è un Superman dalla pelle tumefatta o un Batman con un costume più sgargiante (con cui ha pure collaborato tra un cross-over e l’altro). È un’anima della notte, un rigurgito dell’Inferno che non esita a uccidere e che non mostra pietà o sentimentalismi di fronte agli orrori e ai mostri che si trova ad affrontare.

Mostri che spesso sono creature spaventose, a volte tracciate da McFarlane seguendo le intuizioni dei libri con al centro demoni e diavoli (tra cui spicca la Divina Commedia di Dante) e a volte inventati di sana pianta. A volte, invece, sono semplicemente ispirati ai mali e alle meschinità degli uomini. Ed è lì, nel cuore nero dell’uomo, che sembra guardare Spawn, come se fosse il costante centro della sua intera vita.

In fondo, Spawn nasce da un atto ribellione, ma principalmente da un “tradimento” (professionale ed economico, certo) che ha colpito McFarlane all’apice della carriera ed è possibile che questo abbia influito sulla sua visione. Il mondo di Spawn è un mondo in declino, un mondo che aspetta solo di essere spazzato via dalla guerra finale tra due regni immortali e che da l’impressione di aver perso ogni meccanismo di sicurezza.

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L’odio, la rabbia, l’orrore e il male vivono in mezzo agli abitanti della città, sono perfettamente visibili in ogni sua strada, in ogni suo vicolo. E forse non è casuale che Spawn abbia fatto del vicolo il suo regno, il suo rifugio, la sua casa. Al termine di ogni sua avventura torna lì, per stare in mezzo ai barboni, ai diseredati, ai reietti e siede su un trono fatto d’immondizia e lascia che la spazzatura, piano piano, annulli la sua coscienza fino alla prossima missione. Si tratta di un riflesso dell’epoca, ovviamente, di quegli anni ’90 che inizialmente sembravano vivere il riflusso gotico e inquieto degli ’80 dove non c’era speranza. Tranne forse nella stessa spazzatura, nello stesso schifo prodotto dall’uomo e che ormai ci sommerge.

Più o meno, è stata questa la costante che ha accompagnato Spawn in questi due decenni e passa di permanenza nelle fumetterie e nelle edicole. Nonostante tutti i cambiamenti, i nuovi personaggi, i nuovi autori (tra cui spicca gente come Alan Moore e Frank Miller) e disegnatori (come Greg Capullo, capace addirittura di migliorarne il character design), tutte le opera derivate (tra cui spiccano un film, uno nuovo in dirittura d’arrivo con Jamie Foxx e una serie animata) e tutte le celebrazioni (di recente, i 300 albi tondi tondi), questa rimane la più grande eredità di Spawn: essere il simbolo di un’epoca. E di una rivoluzione.

 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!