Dal 1974 ad oggi il gioco di ruolo cartaceo (e di conseguenza la controparte videoludica) ha cambiato il suo approccio nei confronti dell’inclusione e della rappresentazione di genere, razza e classe sia interna al gioco che riguardo chi pratica l’attività ludica. Fuori dal Dungeon, raccolta di saggi a cura di Marta Palvarini, si occupa di percorrere una traccia di questo cambiamento. Per capire dove stiamo andando, come giocatrici e giocatori, e quanta strada abbiamo fatto.

Il gioco di ruolo è un’attività sociale. Come tutto quello che è indissolubilmente ludico, infatti, non è possibile pensare alle sessioni di Dungeons & Dragons senza riferirsi obbligatoriamente alle persone. Persone che popolano il mondo di gioco, a prescindere dal fatto che abbiano controparti giocanti o no, e persone che si siedono intorno al tavolo per rendere concreta quella specifica sessione. Entità fisiche o immaginarie che hanno bisogno di uno spazio di rappresentanza internamente all’attività, per rendere giustizia alla loro condizione sociale, identità sessuale, genere e razza. È proprio in questo solco, e della conseguente ricerca sincronica e diacronica, che si colloca la raccolta di saggi curata da Marta Palvarini intitolata Fuori dal Dungeon. Un libro dalla connotazione scientifica e accademica che si pone l’obiettivo di riunire più di quarant’anni di evoluzione dell’hobby; domandandosi quanto giocanti, autrici e autori si sono impegnati per rendere il gioco di ruolo inclusivo e consapevole delle differenze.

Le storie ci aiutano a conoscere il mondo. Ci suggeriscono quale forma e quale significato dare alle nostre esperienze, suggerendoci la strada attraverso il caos e le contraddizioni. Non ci confrontiamo mai con una storia come se si trattasse di un semplice oggettucolo, come se fosse qualcosa di completamente separato dal resto della nostra vita. 

– Avery Alder¹

Fuori dal Dungeon si configura come un testo utile a percepire i sistemi che si attivano durante i processi narrativi (siano essi realizzativi a monte o pratici al momento del gioco) che stanno all’interno del gioco di ruolo. Con questo si intende, ovviamente, anche creare degli spazi in cui inserire le vite delle persone coinvolte in questa attività, poiché raccontare storie significa anche mettere parte di sé e della propria visione del mondo. Il libro, già dalla sua introduzione, prende lo spazio necessario a far capire a chi legge che questo meccanismo per funzionare ha bisogno di una dimensione in cui chi interviene sia libero di agire in modo autonomo e autentico rispetto al proprio essere.

fuori dal dungeon

Ciò significa, nel concreto delle pagine, impostare un percorso storico e argomentativo che vada ad analizzare quanto la storia del gioco di ruolo, le sue caratteristiche intrinseche, il volere di autrici e autori hanno limitato o permesso questa espansione narrativa riflettendo su di sé piuttosto che su ciò che veniva suggerito e incentivato a monte. Si attraversano decenni per capire come e perché è cambiato il gioco di ruolo, insistendo sulle caratteristiche stesse del mezzo che per natura permettono esplorazioni che vanno al di là di ragionamenti stereotipici o binari come si dava (o si da?) per scontato quando a tirare dadi erano solo adolescenti maschi e bianchi. Un sentiero evolutivo che considera il presupposto che è la stessa attività in sé a chiedere a chi gioca e progetta di entrare con le proprie esperienze “fuori dal dungeon” all’interno di quest’ultimo perché è lo stesso ad averne bisogno per poter essere sensato da un punto di vista strettamente narrativo.

In relazione a quanto scritto sopra pare molto coerente la scelta di inserire, come autrice dell’introduzione, un nome importante per la progressione del gioco di ruolo verso orizzonti inclusivi e che accolgono prospettive differenti come quello di Avery Alder. I suoi lavori, infatti, si pongono l’obiettivo di includere punti di vista che vadano al di là dell’univoco e del previsto. Giochi che si concentrano sulla queerness, sul costruire comunità credibili e che possano far sentire rappresentate più persone possibili. La designer descrive questo rapporto tra storie e chi le anima come “sepolture senza cerimonia”, ad indicare la gioia che si può provare a trarre dai racconti ciò che si vuole senza doverne rendere granché conto.

 

fuori dal dungeon

Questi laboratori di esplorazione del sé, delle altre e degli altri però non sono affatto così liberi come possono apparire dalle loro caratteristiche. L’intervento delle persone, infatti, fa in modo che per poter arrivare ad un sistema che davvero permetta libera esplorazione narrativa a chiunque voglia approcciarsi gioca anche un ruolo esclusivo ed escludente. All’interno di Fuori dal Dungeon questi argomenti sono trattati sia all’interno dei quattro saggi principali, che esplorano lo spettro internazionale, quanto nell’appendice curata dal collettivo Donne, Dadi e Dati che si concentra sul nostro paese e ne individua statisticamente le caratteristiche.

Da un lato abbiamo questi fantastici luoghi di sperimentazione narrativa, che richiedono costantemente innesti di vita di chi ci opera intorno per poter essere portati avanti e che restituiscono a loro importanti bagagli con cui imparare qualcosa di più sul mondo. Dall’altro ci sono strumenti repressivi che sono inseriti dentro quelle piattaforme: che limitano quella stessa libertà che dovrebbe essere una caratteristica fondamentale e fondante.

fuori dal dungeon

Nonostante il gioco di ruolo sia a lungo stato percepito come pericoloso,
blasfemo e alternativo, la cultura dei GdR da tavolo è paradossalmente
rimasta piuttosto conservatrice, specialmente quando si tratta di questioni
sociali

– Tanja Sihvonen e Jaakko Stenros²

Si delinea, in Fuori dal Dungeon, una storia che riguarda la limitazione di tematiche queer, di uguaglianza di genere, di classe sociale e di razza sostenuta per motivazioni utilitaristiche rispetto alla maggior parte dei giocatori, che spesso tracima in scarsità di interesse ludico perché queste tematiche vengono ritenute poco attinenti a gameplay, statistiche e approccio avventuroso.

E tutto questo non valeva solo per i decenni passati, durante i quali si snocciolavano concetti apertamente omofobi, classisti, sessisti e razzisti per giustificare l’impostazione dei sistemi rifugiandosi dietro il contesto in cui le avventure dei giochi di ruolo si svolgono. Anche oggi, periodo in cui i contesti meno apertamente d’azione e le sfaccettature delle differenze sono rappresentate, si cade spesso nella trappola della rappresentazione velata e sommaria. Si cede quindi a un contesto a cui siamo fin troppo abituate e abituati subendolo in modo passivo, senza renderci conto di come sia fondamentale il nostro intervento all’interno del gioco di ruolo e, di conseguenza, di come lo siano le nostre vedute, interessi, sensibilità e idee.

fuori dal dungeon

Ma non è solo di repressione corporativa e di tentativi goffi di inclusione che parla Fuori dal Dungeon nel suo analizzare l’evoluzione delle rappresentazioni delle differenze nei giochi di ruolo. Il libro tratta anche di passaggi fondamentali per la cultura contemporanea quali il cyberpunk e, soprattutto, il cyberfemminismo di Donna Haraway e altre per discutere delle nuove prospettive post e transumane all’interno dei giochi di ruolo. Viene specificato che un’evoluzione “di ruolo” di questo tipo di letteratura e pensiero sia naturale e come soltanto questo mezzo possa permettere spazi di sperimentazione tali da garantirne una crescita.

Tutto questo viene svolto in un saggio in cui l’autrice, Katherine Cross, analizza e elabora la questione del femminismo attivo e come esso può inserirsi nel gioco di ruolo, arricchendolo e creando un proseguimento di ciò che già è avvenuto altrove. Prima ancora di questo, però, Cross parte dalla sua esperienza personale raccontando di sé e del come sistemi non propriamente inclusivi come potrebbe essere World Of Warcraft, grazie alla sua comunità e al suo voler intervenire in direzioni a volte contrarie rispetto a chi ha realizzato il gioco, l’hanno aiutata a scoprire la sua sessualità e identificarsi come transgender.

Se il gioco di ruolo ci offre l’opportunità di essere i personaggi che vogliamo vedere nei media di massa e se il gioco di ruolo ci dona anche l’opportunità di sperimentare futuri dimenticati e utopie che non osiamo sognare, allora è importante per tutti noi entrare in questo laboratorio di sogni ricostruendolo

– Katherine Cross³

Viene da sé abbastanza facile come l’autrice voglia suggerire le capacità formidabili che possono avere meccanismi di autodeterminazione e organizzazione comunitaria anche all’interno di strutture che non potrebbero prevederle, come se giocatrici e giocatori abbiano davvero possibilità di intervento su un prodotto che divergono con l’intento dello stesso. E questo, ovviamente, viene anche accentuato e reso ancora più efficace quando il sistema stesso – seppur con qualche mancanza – facilita questi meccanismi, come nel caso del gioco Eclipse Phase oggetto di analisi all’interno del saggio.

fuori dal dungeon
Linda Mosca (al centro), una delle prime autrici di gioco di ruolo, durante un panel della casa editrice SPI (1976)

Fuori dal Dungeon è uno strumento utilissimo per comprendere la lotta interna del gioco di ruolo, di come le persone hanno cercato di limitare le libertà proprie e altrui a priori e di nuove prospettive di inclusione all’interno dell’hobby. Un viaggio denso di storia, dati e analisi realizzato con amore per l’atto ludico e il desiderio pulsante di fornire prospettive che sono di fatto naturalmente integrate nelle caratteristiche di questo mezzo di intrattenimento. Una raccolta che comunica il desiderio della sua curatrice, che è anche autrice di giochi di ruolo che mettono gli accenti su problemi sociali come la crisi climatica, di esprimersi e raccogliere prove incontrovertibili di un cambiamento.

Palvarini ci porta a visitare il “cerchio magico” con lei, facendoci toccare con mano le sue caratteristiche e raccontandoci delle storie che sembrano stridere rispetto a ciò che il gioco di ruolo è. Un viaggio nelle dinamiche sociali di una dinamica sociale, una matrioska di socialità che si infila dentro ciò che è ricreativo definendolo e rendendolo concreto.

[divider]Note[/divider]
¹ A. Alder, Sbirciando oltre il sipario della rappresentazione, in: M. Palvarini (a cura di), Fuori dal Dungeon: Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale, pp. 8-18, Milano, Asterisco, 2020
²T. Sihoven e J. Stenros, Out of the Dungeons: Rappresentazione delle sessualità queer nei manuali di GdR, in: M. Palvarini (a cura di), Fuori dal Dungeon: Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale, pp. 21-50, Milano, Asterisco, 2020
³K. Cross, Role-playing Games as Resistance: Il Nuovo laboratorio dei Sogni, in: M. Palvarini (a cura di), Fuori dal Dungeon: Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale, pp. 87-111, Milano, Asterisco, 2020

Luca Parri
Nato a Torino, nel 1991, Luca studia scienze della comunicazione come conseguenza della sua ossessione nei confronti delle possibilità che offrono i mezzi di comunicazione e ha lavorato come grafico e consulente marketing (lavoro che ha fatto crescere esponenzialmente la sua ossessivo-compulsività per le cose simmetriche e precise). Lo studio gli ha permesso di concretizzare la sua passione per i differenti linguaggi dei media, sperimentando con mano l'analisi linguistica e semiotica; il lavoro gli ha dato la possibilità di provare a inserire la teoria nel pratico. Studio e lavoro, insieme, lo hanno portato a scrivere di, tra gli altri argomenti, grafica pubblicitaria, marketing, comunicazione e comunicazione visiva collegata al videogioco.