Con Cocaine Cowboys, Netflix punta ancora sulla narrazione del narcotraffico

Se tra le piattaforme streaming c’è un luogo principe dove le narrazioni legate al mondo del narcotraffico generano contenuti su contenuti e interesse inesauribile, quello è Netflix. Una tendenza che chiaramente si porta dietro da sempre un certo fascino nell’opinione pubblica, a metà tra la condanna e l’ammirazione, e che quindi è alimentata con film e docu-fiction a non finire.

Da quando nel 2015 è arrivata Narcos con i suoi spin-off, una delle serie TV di maggior successo su Netflix, questo filone narrativo però sembra essere ritornato particolarmente in auge. Le vicende di Pablo Escobar sono tra le più raccontate e probabilmente anche mitizzate, ma il mondo della produzione e dello spaccio di droga vive di una inesauribile fonte di comprimari più o meno noti, più o meno interessanti, che con i favorevoli venti del gusto collettivo per le ombre trovano uno spazio per emergere e arrivare sugli schermi.

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Cocaine Cowboys: The Kings of Miami racconta uno spaccato poco noto

È questo il caso di Cocaine Cowboys: The Kings of Miami, docuserie arrivata il 4 agosto su Netflix che ripercorre le gesta di due tra i maggiori narcotrafficanti che la città di Miami abbia mai conosciuto, Salvador “Sal” Magluta e Augusto “Willy” Falcon. La firma è quella del regista Billy Corben, che già nel 2006 aveva manifestato interesse per questo spaccato di storia e aveva raccontato nel documentario Cocaine Cowboy quel sottobosco criminale che aveva infestato Miami nel periodo a cavallo tra anni ’70 e ’80.

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Stavolta Corben torna nel solco di quel concentrato malavitoso per andarsi a soffermare in particolare sui due Los Muchachos, figure probabilmente poco conosciute dai più ma che rappresentarono un importante zoccolo della diffusione di cocaina nella città della Florida. Sal e Willy vengono subito presentati come due volti insoliti all’interno di questo spietato panorama: il primo la mente, il secondo l’efficiente gregario, entrambi con la passione dei motoscafi da corsa portata avanti con i primi illegali proventi della droga e che finirà per essere nel corso del tempo un’arma a doppio taglio. Soprattutto, nonostante gli eccessi personali e la passione per il lusso, i due vengono descritti come personaggi non violenti e noti, grazie a questo, per la loro capacità di tenersi lontani dagli scontri e quindi dai riflettori della polizia.

La narrazione è totalmente affidata a una folta schiera di giornalisti, investigatori, procuratori e a una buona parte di ex collaboratori dell’organizzazione del duo talvolta ambigui e sfaccettati, in interviste accumulate nel corso degli anni e volte a ricostruire le vicende dei Muchachos. In alcuni frangenti si rischia di cedere un po’ troppo dalle parti dell’enfatico, ma poi si ritorna in carreggiata.

La serie si sofferma sulle lotte in tribunale

Tra il mito di Robin Hood e le bella vita condotta da Sal e Willy, Cocaine Cowboys su Netflix scarta però molto rapidamente (nel corso di un paio di episodi sui sei in totale) dal raccontare delle gesta malavitose del periodo di attività alle vicende legali che hanno infine investito la coppia. Il periodo coperto dalla serie è molto ampio e spazia dall’inizio degli anni ’80 fino ai primi del Duemila, con le prime beghe legali che arrivano proprio tra gli ’80 e i ’90.

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Da qui ci si inoltra in una rete fittissima di informazioni sul come Magluta e Falcon abbiano tenuto sotto scacco il sistema giudiziario statunitense con squadre di difesa milionarie e dita allungate a corrompere e gettare fumo negli occhi di giurie, tribunali e media. È all’interno delle aule dove i due sono sotto accusa che la carriera malavitosa assume una svolta anche violenta aggiungendo materiale utile alla narrazione (anche se a un certo punto la serie si concentra più su Sal che su Willy, un po’ in penombra).

Insomma, se vogliamo trovare dei riferimenti di fiction, Cocaine Cowboys su Netflix si trova più dalle parti di American Crime Story: Il caso O.J. Simpson che della già citata Narcos. Il risultato finale tutto sommato funziona e aggiunge un’altra nota di colore a quella tavola pittoresca e spietata legata allo sviscerare il periodo d’oro del narcotraffico, magari con meno verve rispetto ad altri contenuti anche a causa di un carisma relativo (si fa per dire) dei protagonisti del racconto.

Alessio Zuccari
Laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo all'Università Sapienza di Roma, al momento prosegue lo studio accademico del mirabolante mondo del cinema. Nel fare equilibrismo tra film, videogiochi e serie TV, si interessa pure attivamente alla sfera della critica cinematografica facendo da caporedattore per la webzine studentesca DassCinemag e autore all'interno delle redazioni di IGN Italia e StayNerd. Crede in poche cose, una di quelle è la Forza. This is the way.