Il senso e il valore di uno dei più grandi robottoni di Go Nagai

Non credo che esista un tardo-trentenne che non rizzi le orecchie nel sentire parlare di ‘circuiti di mille valvole’, o insalate di matematica. Come allo stesso modo, non credo che quello stesso trentenne riuscirebbe a non ballare sulle note di quella stessa canzone. Perché ci sono momenti che davvero hanno segnato le infanzie di molti di noi, in maniera indelebile e tangibile, con ripercussioni sociali e culturali che ancora oggi si fanno sentire più forti che mai. E tutto è iniziato così in sordina, con un cartone animato importato dal Giappone, in combutta con gli amici amanti degli escargot e delle baguette. Tutto questo accadeva nel 1978, un anno importantissimo senza il quale non potreste leggere queste righe, ma in realtà la rivoluzione a suon di raggi protonici, lame rotanti e magli perforanti era già iniziata, diversi anni a prima opera del sommo…

…Go Nagai, ovvero come ti reinvento i robot

Immaginate di essere uno studente giapponese degli anni 60 e di essere stati appena bocciati all’esame di ammissione all’università. Davanti a voi si presenta un anno di scuole preparatorie e di imbarazzo per aver fallito, un anno da dedicare esclusivamente a uno studio matto e disperatissimo per non toppare nuovamente l’esame, un anno in cui all’improvviso vi viene un attacco di dissenteria che quasi vi lascia stecchiti. Ecco, così è iniziato tutto per Go Nagai: rischiare di morire disidratandosi una scarica dopo l’altra, senza Imodium o limone, gli ha fatto capire che forse realizzare il suo sogno era più importante che seguire i desideri convenzionali di stabilità che sua madre immaginava per lui. Decide così di lasciare il suo segno nella storia dell’unica arte che davvero apprezzava, il manga. La sua carriera decolla, dopo un po’ di gavetta presso Shotaro Ishinomori, con la pubblicazione di Harenchi Gakuen (più o meno Scuola senza pudore), che sconvolge in maniera radicale totale il mondo del fumetto giapponese, introducendo per la prima volta l’elemento erotico misto a una violenza grottesca, esagerata e cartoonesca.
Go Nagai quindi entra in scivolata nel magico mondo del manga scuotendolo dalle fondamenta, facendolo diventare un fenomeno incontrollabile, portandolo verso nuove dimensioni che mai prima di allora erano state esplorate. Ed aveva appena poco più di vent’anni. E questa sua caratteristica, quella di lanciare progetti esplosivi e storie tanto innovative e controverse da rimanere incise nella memoria collettiva, lo accompagnerà quasi in ogni momento e in ogni luogo il suo nome sarà pronunciato.

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E questo ci porta alla nostra amata vicenda: Go Nagai è ormai un artista affermato, amato/odiato, esploratore di generi tra cui quello della fantascienza d’azione e guerresca, in cui introduce, inventa e sviluppa in ogni direzione il concetto di Robottone Antropomorfo. Inizia con Mazinger Z, poi ampliato in Great Mazinger, per arrivare tardissimo a Mazinkaiser. E tra questi, esplode in tutta la sua bellezza…

…Grendizer, ovvero la rivoluzione in due mesi netti.

La genesi di questa opera sta tutta nel successo di un medio metraggio creato da Nagai dal titolo di Uchuu Enban Daisenso (La Grande Guerra Del Disco Spaziale, noto anche come UFO Robot Gattaiger). In questo piccolo capolavoro targato 1975 ci sono la maggior parte degli ingredienti che poi hanno dato vita all’UFO Robot come lo conosciamo, soprattutto ovviamente il robot che si trasforma in un UFO (no, nessun razzo missile, purtroppo…), l’atmosfera bucolica e campestre, quasi country, e soprattutto il protagonista Duke Fleed, il principe in fuga dal suo pianeta ormai distrutto. Rispetto a quello che sarebbe poi diventato l’anime vero e proprio, in questo assaggio di UFO Robot la narrazione è concentrata soprattutto sulle vicende interiori del protagonista e sulla caratterizzazione dei suoi sentimenti, lasciando il Robot e i combattimenti esplosivi per il gran finale tragico e inoltre lo stesso character design e la colorazione sono diversi rispetto a quelli dell’anime. Indubbiamente, in questi pochi, pochissimi minuti già si respira l’atmosfera di Grendizer, lo stesso mix di azione e introspezione che avrebbe stregato un intero mondo di telespettatori.

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Il successo di Gattaiger, che univa per la prima vota dischi spaziali e robot,  fece rizzare le orecchie alla Toei e alla Bandai, la prima per la produzione di una serie televisiva, la seconda per la creazione di giocattoli e merchandising. Ci troviamo in un periodo fecondo, dove la passione per gli UFO sta esplodendo in ogni media, dalla tv al cinema alla radio, la gente stava col naso all’insù sperando di vedere qualche oggetto volante non identificato, per cui bisognava lanciarsi subito a capofitto per non perdere il treno.

Go Nagai si trovava in un momento un po’ buio della sua produzione, nel senso che ormai vedeva i suoi robottoni purtroppo destinati a un pubblico infantile anche se aveva aggiunto momenti molto forti nell’interno di Great Mazinger e contemporaneamente pensava God Mazinger, un eventuale terzo capitolo  definitivo del saga, senza però cavare un proverbiale ragno dal buco. Decise quindi di cogliere la palla al balzo e dedicarsi a questo progetto, pensando bene di inserirlo nell’universo espanso (ante litteram) in cui si era svolto Mazinger.

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I tempi erano strettissimi: nel luglio 1975 uscì Gattaiger, a settembre si concludeva la serie del Great Mazinger e in soli due mesi i capoccia della Toei Animation, con uno stuolo di artisti, storyboarder, scrittori e animatori, capitanati da Go Nagai stesso riescono a buttare giù tutta la storia di UFO Robot Grendizer e a riuscire ad andare in onda ad ottobre! Un lavoro immane!

Go Nagai si occupò, come già detto del character Design, partendo da quanto fatto per Gattaiger e uniformandolo per colori e particolari tecnici a quello delle serie precedenti per mantenere un certa uniformità artistica. Ma soprattutto fu l’autore del soggetto che gettava le linee della storia con i principali risvolti e soprattutto tratteggia il mood e i temi principali, come quello ecologico, la tragicità della morte e la paura della minaccia di qualcosa di ignoto che può distruggere tutto quello che abbiamo costruito con il sudore della nostra fronte.

Gli scrittori che invece si sono succeduti per la sceneggiatura vera e propria sono diversi, ma tra questi ne citiamo due, che sono i più prolifici (con 22 episodi su 74 a testa) e hanno comunque scritto alcune tra le parti più importanti della stessa storia. Il primo è Shozo Uehara che si è occupato molto degli episodi iniziali e della caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo Actarus/Duke Fleed dall’animo tormentato.

Il secondo sceneggiatore di rilievo è Mitsuru Mashima, che invece ha caratterizzato molto i personaggi femminili, dedicando loro una serie di incredibili episodi, tra i più importanti della serie.

A livello artistico, tecnico e dell’animazione, i nomi sono davvero molteplici, con tantissime persone che hanno in qualche modo messo la firma su uno dei cartoni animati forse tra i più interessanti dell’epoca.

Resta il fatto che dopo otto settimane intensissime approda sulle tv giapponesi la prima puntata di UFO Robot Grendizer, narrando le vicende di…

…Duke Fleed, ovvero il peso di essere ultimo

La storia narrata in questi settantaquattro episodi è quella di Duke Fleed, ultimo superstite del pianeta Fleed, invaso e distrutto dalle truppe di Vega. Il rampollo reale riesce a sfuggire sul suo UFO Grendizer e approda con un atterraggio di fortuna sulla Terra, nella fattoria gestita da Rigel, dove conosce lo scienziato Genzo Umon. Purtroppo, Duke Fleed ha portato con sé anche la minaccia aliena che lo sta braccando per tutto l’universo e quindi la battaglia tra Fleed e Vega prosegue, solo che questa volta il teatro sarà la Terra. Fleed pilota il suo magico, fantastico, incredibile  Grendizer, un robot che può essere alloggiato in un UFO, pieno di diavolerie tecnologiche, dotato di armi inaudite, come l’alabarda spaziale e il doppio maglio perforante, apparentemente invincibile.

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Paradossalmente, il vero protagonista non è il robot, per quanto bello e nonostante ogni puntata si concluda con un combattimento all’ultimo sangue: il vero protagonista è il suo pilota, Duke Fleed, un eroe tormentato, doloroso e dolorante, che si porta appresso il peso incredibile di essere l’ultimo della sua stirpe (il penultimo in realtà, ma questo lo scopriremo solo dopo). Fleed è un personaggio romantico secondo i canoni giapponesi del termine, una persona che sa apprezzare il vero valore del nemico, che non lo sbeffeggia, ma lo affronta con rispetto, che conosce gli orrori della guerra e farebbe di tutto per evitarla, che soffre ogni volta che deve togliere una vita, per quanto deplorevole, abietta e immonda quella vita fosse stata. È uno di quei personaggi che piangono anche quando vincono un scontro, perché la perdita di un nemico è pur sempre una perdita.

Duke Fleed  è un personaggio fatto di passioni, di amore, che difende tutto ciò che ha di prezioso, tutto quello che ha costruito su un pianeta a lui alieno e che non vuole perderlo per non trovarsi di fronte al vuoto spaziale che già una volta ha dovuto superare.

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Accanto a questa figura così profonda, per essere un cartone animato, si muovono i personaggi collaterali altrettanto ben tratteggiati, e i cattivi, così diversi e variegati, un vero circo alieno degli orrori, travolti anche loro da un insolito destino, tanto crudele (infatti anche il loro pianeta viene distrutto e restano all’addiaccio cosmico) da farli quasi sembrare teneri, ancora ostinati a combattere una guerra che non ha più senso, senza risorse, senza idee, senza scampo.

A tutto questo bagaglio incredibile di ideali e sentimentalismo, bisogna aggiungere il messaggio bucolico che il cartone animato si porta appresso, con il suo setting country, caratterizzato dalla vita del ranch di Rigel, con le sue routine e il duro lavoro, un sorta di paradiso campestre dove Fleed riesce a ritrovare quel se stesso che pensava fosse ormai morto.

Grendizer è tante cose, un po’ dramma, un po’ tragedia (alcuni finali sono davvero shakespeariani), con un pizzico di commedia e tanti combattimenti tra robot e mostri, distruttivi e devastanti. Ci sono talmente tanti ingredienti che pare davvero un miracolo che si sia riusciti a trovare la giusta alchimia e il giusto peso per metterli tutti insieme senza sbavature e senza errori. E tutto questo bel pacchetto un giorno del 1978 prese il volo per la Francia e da lì, attraversare le Alpi è cosa veloce, e così…

…Goldrake arriva in Italia, ovvero cronaca di una rivoluzione inaspettata

I Francesi ci fecero vedere questo nuovo prodotto a una mostra mercato televisiva (il MIFED Mercato Internazionale di Film e Documentario) e subito Rete 2 (ora Rai 2) ne comprò i diritti, pronta per mandarlo addirittura in prima serata. Prima della messa in onda i pareri di chi aveva visto le anteprime erano entusiaste, tanto che lo descrivevano come qualcosa di mai visto prima, una vera rivoluzione e via discorrendo su questo tono.

Prima di partire all’assalto con il nuovo prodotto proveniente dal Giappone, però, imitando quel che era successo in Francia, i distributori italiani decisero di cambiare i nomi dei personaggi e anche quello del protagonista. Come avrete notato, in questo capitolo, Grendizer è improvvisamente diventato Goldrake. L’origine di questo nome è ancora incerta, ma la teoria più accreditata ne attesta la paternità a uno dei primi produttori francesi che fuse il nome di Goldfinger con quello di Mandrake, arrivando a un avvincente (secondo lui) Goldrake. Sempre la stessa casa francese si occupò di un adattamento dei restanti nomi, prendendo spunto dalle stelle e dalle costellazioni, per assonanza con il tema spaziale dell’anime. È così Actarus (Duke Fleed) deriva da Arturo, Hikaru Makira diventa Venusia (da Venere), Genzo Umon diventa Prof Procyon (con riferimento alla costellazione del Procione, mentre in Italia viene trasformato in Procton,  per farlo sembrare più scientifico, per così dire). Anche i cattivi vengono ripassati all’anagrafe e Blacky (il generale responsabile della prima invasione terrestre) diventa Hydargos, unione tra la costellazione di Hydra e Algos e così via con soluzioni fantasiose e accattivanti.

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In realtà non è tanto il fatto che venissero cambiati i nomi la cosa più importante, ma il motivo per cui una cosa del genere veniva praticata e sarebbe poi stata routine negli anni a venire. Tutto purtroppo veniva da una considerazione: gli italiani (ma anche i francesi) non avevano un background culturale abbastanza vasto per poter usufruire di tutte le nozioni per comprendere e memorizzare i nomi giapponesi. Molti di questi nomi sono talmente inusuali che non si riesce a comprendere di primo acchito se sono maschili o femminili, quindi per rendere tutto più user friendly si è creata una versione adattata del cast di Goldrake a cominciare dal protagonista eponimo. Per fortuna, il criterio univoco (nella maggior parte dei casi) che si è scelto per creare i nomi dei personaggi ha reso ancora più facile la loro memorizzazione e l’affezionamento da parte del pubblico.

Quindi tutto era pronto, e finalmente la prima puntata arrivò per davvero su Rete 2. In prima serata.

Considerate che in quel periodo lo spettatore medio era abituato a trasmissioni come Carosello (che era terminata l’anno prima), a cartoni animati come quelli di Hanna e Barbera o altre produzioni serializzate e umoristiche francesi, che presentavano solo una serie di puntate condite con piccole gag e vicende brevi e slegate le une dalle altre. Inoltre la conoscenza di alternative culturali come quella giapponese era pressoché impossibile per la scarsità di mezzi a disposizione, senza internet e senza la tv come la conosciamo noi.

In questo ambiente così poco preparato, Rete 2 fece il salto nel buio e nell’aprile del 1978 lanciò il primo episodio di Goldrake, racchiudendolo nel format Buonasera con…

La ricezione fu travolgente. La gente si innamorò da subito di questo nuovo supereroe robotico che sembrava così umano! E poi la serializzazione con una macrostoria di fondo su cui si inscrivevano i vari episodi imponeva allo spettatore di seguire le vicende giornalmente, aspettando la trasmissione con trepidazione e impazienza.
I settantaquattro episodi vennero scissi in tre tornate, che si conclusero nel gennaio 1980, mentre ormai in Italia imperversava una vera e propria Goldrake mania. I bambini cantavano la sigla iniziale nelle scuole, il merchandising era spintissimo, con il faccione del robot messo addirittura sulle caramelle, sulle scarpe, ovunque! Il disco con la colonna sonora del cartone superò il milione di copie vendute. Insomma: in Italia era il delirio!

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Ma davvero potete pensare che un tale risultato di vendite, di ascolti, con il tutto che sembrava una invasione culturale bella e buona, potesse passare inosservato? Sul serio? No, dai, appare praticamente inevitabile, come in ogni racconto che ora ci sia il colpo di scena, l’inaspettato tentativo di frenare un fenomeno rivoluzionario. E questo arriva direttamente sulla pagine di Repubblica, dove si levò indignata preoccupata e spaventata la voce di Silverio Corvisieri, un parlamentare facente parte della commissione di vigilanza RAI. Scrisse un articolo in cui davvero si mostrava costernato per il successo che Goldrake stava avendo nel pubblico più giovane, e sentiva il suo ruolo di genitore minato dall’arrivo di questo nuovo e travolgente passatempo che erano i cartoni animati giapponesi. Parole durissime, piene di sincera preoccupazione nei confronti dei suoi stessi bambini, piene di paura che presto non sarebbe stato al passo con loro, ormai soggiogati alla lezione di vita (secondo lui sbagliata) inculcata da Actarus e i suoi amici. In un passaggio scrive questo:

‘[…] Cantare in coro canzoni piene di parole per loro incomprensibili come “cibernetica” li aiuterà ad avere un linguaggio e una struttura di pensiero più ricchi e maturi? Questa propaganda straordinariamente efficace di tutte le vecchie idee del vecchio mondo quali segni lascerà? In quale modo un genitore può fronteggiare con i poveri mezzi delle sue parole la furia di Goldrake?[…],

E ancora non pago di quanto già scritto, allarga il suo discorso oltre Goldrake e si chiede quanto siamo influenzati da quello che vediamo e chiude così il suo pezzo:

‘[…] Non voglio esagerare l’influenza della televisione sui nostri comportamenti quotidiani, ma mi sembra ancora più eccessivo far finta di nulla, come oggi accade.’

Dalle pagine di Tv, Sorrisi E Canzoni rispose per le rime, in maniera molto diretta e schietta Nicoletta Artom, con un articolo in cui demoliva la critica di Corsieri, facendo trasparire tutta la stizza e l’acredine che una vicenda del genere poteva far emergere.

Su questo tema e su questa diatriba si può scrivere in eterno, trovando ogni sorta di motivazione al comportamento degli amanti e dei detrattori di Goldrake, visto il periodo travagliato e buio che l’Italia stava affrontando. Ma ciò non toglie che come sempre si cerca in un prodotto ‘innocuo’ come un cartone animato lo sfogo e la personificazione delle paure sociali che ci fanno inveire contro la tv, che ci fanno odiare il nostro vicino e che ci vorrebbero tutti chiusi in ambienti asettici e senza alcun contatto umano. In quel periodo il capro espiatorio per i terribili fatti di cronaca inspiegabili che insanguinavano l’Italia è stato trovato in Goldrake e non ci deve neanche sembrare così drammatico. Pensate che la stessa cosa ora la fanno con i videogame, e prima di Godrake se la sono presi con Flash o con Satanik o Kriminal. Non esiste un cambio di rotta culturale senza qualcuno che cerca in qualche maniera di rimanere ancorato alle sicurezze che il giorno prima rappresentavano le fondamenta della sua stessa vita. Lo è stato per Goldrake, preparatevi che presto lo sarà per qualcos’altro.

Per ora possiamo divertirci con…

…L’Eredità, ovvero il mondo dopo Goldrake

Un fenomeno travolgente di queste proporzioni ha ovviamente lasciato un segno indelebile lungo quanto tutti i calendari dal 1978 a oggi. E non poteva essere diversamente. Innanzitutto ha lanciato una serie di mode che fino a quel periodo non esistevano nemmeno. Goldrake ha definitivamente sdoganato il cartone animato giapponese in Italia, è stata la testa di ponte, un tale successo commerciale che ormai le tv volevano un cartone nipponico nel palinsesto. Non è stato il primo (prima di UFO Robot c’era Heidi, con le sue caprette, Peter e il nonno maledetto) ma sicuramente è stato il più amato.

Ha reso vincente l’idea di una sigla d’apertura creata in modo da poterla vendere come album vero e proprio, generando profitti su un altro versante collaterale, a cui si associa il merchandising spinto all’ennesima potenza, oltre la normale sopportazione.

Poi, resta sempre il bagaglio culturale: dopo UFO ROBOT nulla è stato più lo stesso, per fortuna non c’è stato un futuro di serial killer robotizzati come ipotizzava Corvisieri, ma la nascita di un’apertura verso una delle culture più lontane da noi, quasi sconosciuta che è quella giapponese, con tutto quello che ne è venuto dopo, con un vero e proprio gemellaggio.

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Anche adesso a quarant’anni di distanza, si continua a parlare di questa figura animata di incredibile spessore, si continuano a scrivere libri e monografie, e sembra quasi che quello che ha da dire Actarus sia infinito, una miniera senza fondo di piccoli consigli e regole di perfezione.

Una delle manifestazioni d’affetto più recenti è stata registrata al Cartoon Village di Manciano, dove si è festeggiato l’importante anniversario con una serata tutta dedicata al personaggio, piena di musica e ospiti celebri come Vince Tempera, il mitico autore della sigla di Ufo Robot.

Per chiudere ricordiamo quella affermazione, che ci accompagna da secoli, a darci la lezione che Goldrake portava con sé: siamo sempre dei nani seduti sulle spalle dei giganti e questa volta il gigante è alto davvero trenta metri, fatto di metallo e ha i circuiti di mille valvole. ALABARDA SPAZIALE!

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.