Disponibile dal 30 marzo su Disney+ la serie va ad aggiungere un nuovo tassello al mosaico del Marvel Cinematic Universe

quadra che vince non si cambia. Una regola che potrebbe anche funzionare in diversi campi della vita, ma che nell’arte lascia spesso a desiderare. Nel caso della serie Moon Knight, nuova proposta del catalogo Disney+ e in generale del MCU, lo stile pseudo-comedy Marvel (al cinema, perlomeno) sembra non sposarsi perfettamente. O perlomeno induce il pubblico a constatare una certa ripetitività, un perpetuarsi di schemi neutri, applicabili a ogni personaggio e a ogni situazione, con una graduale perdita dell’identità conquistata nei fumetti. In altre parole, lo sforzo di anni di sceneggiature, di firme, di rivisitazioni autoriali nel rendere l’universo fumettistico quanto più ricco di sfaccettature possibile, si infrange verso l’uniformità di un prodotto di cassetta. Che, in sé, non costituisce un problema, se non quando schiaccia tutto su uno standard già sperimentato, utilizzato, abusato.

Io sono il terrore che svolazza nella notte…

Per chi non ha letto nessuna versione a fumetti di Moon Knight, la serie può sembrare tutto sommato gradevole. In effetti bisogna sempre ricordarsi che l’obiettivo principale del MCU è ampliare il proprio bacino di utenti, piuttosto che soddisfare i lettori. Una volta carpito il gusto del pubblico, testato dalle cifre crescenti di incassi e visualizzazioni, la Marvel/Disney tende a coccolare gli spettatori, diluendo ogni elemento “pesante” con la verve ormai nota. Il personaggio di Steven Grant si rivela nei primi episodi esattamente così: come uno sprovveduto simpatico, imbranato, che si ritrova a gestire una situazione molto più grande di lui. Presto sarà rivelata anche quella che è la caratteristica principale del personaggio, di cui parliamo anche ne Il cavaliere bianco della notte: Moon Knight, fra violenza e psicosi, ovvero la sua scissione in diverse personalità. Quello che però non ritroviamo nel personaggio interpretato dal bravissimo Oscar Isaac, è la natura spaventosa e angosciante di Moon Knight.

Prendiamo, per esempio, la miniserie scritta da Warren Ellis e disegnata da Declan Shalvey nel 2014. Con la firma di uno dei più grandi sceneggiatori di fumetti che hanno mai messo mano nei comics americani, questa mini chiarisce bene le atmosfere che hanno reso il personaggio interessante. Non è un mistero che Marvel e DC si sono ispirate l’una con l’altra, palleggiandosi diverse idee e concetti narrativi. Moon Knight è un po’ lo specchio marvelliano del ben più iconico, famoso e riuscito Batman. Entrambi, miliardari di giorno, si muovono nella notte incutendo terrore nei malfattori. Mentre, però, l’Uomo Pipistrello si aggira nell’ombra (anzi, come abbiamo recentemente appreso grazie a Matt Reeves, “è l’ombra”), Moon Knight si veste volutamente di bianco. Per essere visto quando sta per arrivare, ed essere preceduto da inquietudine e timore.

Moon Knight: cosa aspettarsi dalla serie tv Disney +

Dopo tanti successi e tanti prodotti di buona qualità, su cui svetta su tutti il natalizio Hawkeye, l’offerta delle serie TV Marvel inizia a vacillare. Il set up di Moon Knight, oltre a tradire le atmosfere originali, punta tutto il suo potenziale sul talento istrionico di Oscar Isaac. L’attore che è stato lanciato proprio dalla Disney nella nuova triologia di Guerre Stellari (è Poe Dameron), ha lavorato bene, ritagliandosi ruoli mainstream e prove interpretative studiate ad hoc per impressionare la critica. Tornato in un prodotto di largo consumo, si addossa la responsabilità di spaziare tra una personalità e l’altra. Tra Steven Grant, un impiegato timido e innocuo, e Marc Spector, un ambiguo e violento ex-mercenario. Il suo passaggio repentino tra un volto e l’altro, tra un’intenzione e l’altra, regala momenti in cui non si può che rimanere colpito dalle sue doti. Ma che, sostanzialmente, esauriscono qua il loro fascino.

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Incontriamo subito anche il villain della serie (o uno dei villain), Arthur Arrow, che ha il volto tirato e poco convinto di Ethan Hawke. Capiamo anche che siamo in un sistema narrativo in cui le divinità egizie di Khonshu (che nella versione originale ha la voce di F. Murray Abraham) e Ammit si contendono il primato del giudizio sulle anime umane. Se il primo è il dio della Giustizia, che punisce i malvagi, la seconda è rappresentata da una bilancia, che ammonisce i peccati prima ancora che siano compiuti. Chi la sostiene nega dunque il libero arbitrio e sostanzialmente annienta gli innocenti. Va da sé che un vigilante (o supereroe, che dir si voglia) sia chiamato a fermare queste azioni scellerate e a rimettere ordine sulla Terra. Moon Knight altro non è che un ruolo, che consiste nell’essere l’avatar di Khonshu nel mondo dei vivi. Dunque, oltre a quello norreno rappresentato da Thor e famiglia, la Marvel fa presente che anche il Pantheon egiziano ha le sue belle ingerenze nell’età moderna.

Saremmo pronti anche a una narrazione diversa

A noi tutti piace (a chi più, a chi meno) la piega artistica ed emotiva che ha preso l’MCU. La responsabilità di citare tematiche politiche e sociali, di farsi portatore di messaggi plurali e paritari, di ampliare il proprio spettro di rappresentazione. Insomma, di non limitarsi ai soliti eroi uomini, bianchi, abili. Eternals, da questo punto di vista, è esemplare, ma presto arriveranno nuove proposte preziosissime da questo punto di vista (Ms. Marvel, per citarne una). Tuttavia, quello che manca – se pensiamo proprio alla rappresentazione – è la varietà di registri, di storie e atmosfere. Paradossalmente, la DC – che ha nel suo cantiere più flop che successi – riesce meglio a proporre toni variegati: dal cupo, cupissimo, Batman, al ridanciano e leggero Aquaman.

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L’MCU tende invece a smarmellare la negatività del reale in un “apri tutto” esistenziale, in cui persino la schizofrenia di Moon Knight è vista come un espediente divertente, se non comico. No. Nella sua versione a fumetti la personalità multipla è una risorsa (ognuno dei personaggi che risiedono in Moon Knight ha una sua storia e delle sue capacità che compongono l’eroe nella sua interezza), ma non qualcosa di buffo. Forse questo impasse fa parte di una riscrittura delle origini, che vuole arrivare poi a un personaggio dalla resa più “seria”? Ne dubito. Il virare verso toni lievi funziona decisamente con Spider-Man, e con gli Avengers in generale, ma non deve essere applicato come una tinta piatta su ogni personaggio che entra a far parte della famiglia MCU. Che dovremmo aspettarci, allora, dal reboot Disney della serie Netflix Daredevil? O dell’introduzione dei tormentati Mutanti in questo sistema narrativo così strutturato?

Moon Knight resta uno show godibile, e ce lo godremo, ma preoccupa per quello che sarà il futuro dell’MCU. Perché benissimo rappresentare le minoranze, ma anche la rabbia, la paura, il conflitto, il tormento sono carne viva delle storie che abbiamo amato nei fumetti, e che ci piacerebbe ritrovare sul piccolo e grande schermo.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.