Ormai in sala da diverse settimane, No Way Home è il film più atteso della Quarta Fase del MCU, finora

L’aura attorno a Spider-Man No Way Home costituisce di per sé un evento. Con anteprime blindate, embarghi strettissimi, il commento (e gli spoiler) sul film di Jon Watts è diventato quasi una questione morale. I fan si sono divisi, in sostanza, in due macrocategorie, quelli che esercitavano il privilegio di aver già visto il film rovinando l’effetto sorpresa altrui e quelli che hanno protetto la prima visione degli altri. Da grandi poteri derivano grandi responsabilità, insomma. E No Way Home estende la Spider-esperienza al suo pubblico. Del resto, la storia raccontata in No Way Home parla esattamente dell’essenza dell’eroe, riconducendo il tutto a un’unica parola: responsabilità.

Un concetto-chiave per i lettori de l’Uomo Ragno, che hanno imparato a citare (non senza una lacrima di commozione) le ultime parole di zio Ben Parker quando vogliono rimettersi sulla giusta via. O, in generale, quando affrontano le conseguenze del “fare bene”, non sempre appaganti e remunerative. Dopo decine di film spettacolari, grandiosi, dal respiro spaziale, Spider-Man torna in una dimensione privata – anzi, monadica. Ci arriva piano piano, incasinando il Multiverso sulla base di una certa immaturità emotiva, e compie un percorso che lo trasforma, da uno straordinario atleta multiaccessoriato, in un vero e proprio eroe.

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Molte delle critiche mosse dai fan di Spidey al “nuovo” interprete Tom Holland riguardano proprio la natura tecnologica dei suoi poteri. Non che si tratti di un’eresia, sia chiaro, ma di una variante sul personaggio che ha spostato la lente dalla sua essenza alla sua performance. Questo, almeno, fino a No Way Home. Accolto da Tony Stark e passato sotto la sua ala protettiva, Spider-Man di Holland si è presentato al pubblico sì come un adolescente sveglio e di buon cuore, ma anche come il figlioccio di un multimiliardario. La condizione di underdog, di emarginato, di ragazzo della periferia economica del mondo è stata messa leggermente da parte.

La funzionalità di uno Spider-Man smart aveva senso nel suo inserimento nel super gruppo degli Avengers, con i nemici e le sfide grandiose che erano chiamati ad affrontare. Dopo Endgame, però, sappiamo anche che l’era dei Vendicatori è terminata, molti degli eroi sono morti e che bisogna fare spazio a una nuova generazione. Come si colloca, allora, una “nuova” generazione – anagraficamente parlando – che ha fatto parte anche della vecchia leva? Qui l’intuizione intelligente di No Way Home, trovare il punto zero della narrazione, rimescolare le carte per raccontare la storia che tutti conosciamo, e che ci mancava. Una ripartenza narrativa, che coincide con un ritorno alle origini del personaggio, per proiettarlo in un futuro prossimo.

Uno, nessuno, centomila

Al di là della serie animata What if? distribuita su Disney +, il personaggio di cui si sono esplorate – finora – le implicazioni multiversali è proprio Spider-Man. Lo fa benissimo No Way Home, ma l’aveva già fatto magnificamente Into the Spider-Verse. L’Uomo Ragno è un personaggio, dunque, che si presta alla sua scomposizione, il cui concetto sopravvive e si fortifica anche con importanti varianti. L’incontro dei tre Spider-Man cinematografici, che ha scatenato l’hype principale del film racconta, in fondo, proprio questo: è il cuore di Parker che conta, di qualunque Parker, in qualunque universo, chiunque sia il suo zio Ben o la sua MJ. Il contesto può scindersi in una miriade caleidoscopica di personalità e occupazioni, ma “quello che uno Spider-Man fa” è pressoché lo stesso. Aiutare chi è in difficoltà, non cedere alla rabbia, usare il proprio potere unicamente a fin di bene, a prescindere che il beneficiario lo meriti o meno.

Grandi poteri, grandi responsabilità. L’uso comunitario del privilegio individuale, diventa – sì – un vanto, ma anche e soprattutto un onere. E questo, l’Uomo Ragno lo sa fin troppo bene. Ed era il caso che lo imparasse anche lo Spider-Man di Holland: solo così il suo costume, il suo simbolo potevano tornare a ricoprire il loro significato più autentico. Viene da pensare che non sia un caso che l’animale simbolo, come nel caso del Pipistrello della concorrenza, non sia esattamente grazioso o rassicurante. Anzi, il ragno è tenuto lontano, anche un po’ schifato, ma ciò non toglie le sue straordinarie capacità e la sua tecnica evoluta e raffinata. È un essere prezioso, solo che è meglio che se ne stia per i fatti suoi, lontano dai nostri occhi.

No Way Home: Spider-Man: la scelta dell’eroe

Per fare in modo che i lettori si identifichino con i propri eroi, i migliori sceneggiatori hanno sviluppato i personaggi partendo da condizioni di svantaggio. Chi conosce la parabola dell’Uomo Ragno sa bene che la lezione che è alla base della sua missione è stata appresa duramente. Il sacrificio di zio Ben, la sua eredità morale così ben raccolta e proseguita da zia May, sono i pilastri su cui si basa la motivazione di Peter Parker nel suo essere un “buono”. Ecco, dunque, un altro tema che No Way Home mette in scena in maniera piuttosto chiara: l’essere “buoni” o “cattivi” si basa sulla scelta, su una decisione che si rinnova ogni volta che il destino lo richiede.

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Nel presentare uno dopo l’altro tutti i villain cinematografici di Spider-Man, il film illumina lo stretto rapporto – quasi simbiotico – tra l’eroe e il suo nemico. In un mondo popolato da persone “normali”, super eroi e super criminali sono freaks che vivono una condizione di marginalità (di cui sopra), e differiscono tra loro per poche, fondamentali sfumature. Il potere di una cattiva giornata, diceva Joker, ma non solo. Nel caso di Spider-Man è evidente come siano le relazioni sane e positive a permettere a un essere con grandi poteri di usare le proprie capacità non per mettere a ferro e fuoco Manhattan, ma per salvarne i suoi abitanti. Il fattore ambientale virtuoso è lo starter fondamentale per direzionare il personaggio verso la condotta eroica. Viceversa, sono l’irresponsabilità, l’egoismo, la mancanza di limiti data dai vincoli affettivi a direzionare le malefatte dei villain. Per questo, la redenzione di No Way Home passa proprio da un estremo (quasi ingenuo, ma profondissimo) atto di altruismo. Se non ci pensa nessuno, a questi criminali bizzarri, resta al Ragno la responsabilità di sensibilizzarli di nuovo alla socialità. Per loro, per tutti, questa è l’unica speranza di salvezza.

Spider-Man è un concetto

L’MCU afferma di continuo che i suoi eroi sono umanizzazioni di concetti universali. Come il passaggio di consegne di Capitan America tra Endgame e Falcon e Winter Soldier fa capire che lo scudo non è legato a Steven Rogers ma ai valori che rappresenta, lo stesso vale per il Ragno. Non solo: tutta la quarta fase è un continuo passaggio di testimone: anche la recentissima Hawkeye e lo stand alone Black Widow vedono delle icone, dei concetti cambiare portavoce. E visto che il media è il messaggio, possiamo aggiungere che il dialogo intenso tra cinema e serie TV è un aggiornamento, una presa di coscienza dei tempi che corrono. L’MCU funziona proprio perché riesce a trasmigrare concetti classici, che persistono da sessant’anni (e oltre) e affondano le radici su archetipi ancora più antichi, verso nuove forme espressive.

Lo Spider-Man di Tom Holland, come quello di Tobey McGuire e di Andrew Garfield (e come Miles Morales) è legato all’idea di sacrificio. Nel finale estremamente malinconico e desolato di No Way Home (che chiarisce anche il significato del titolo) si trova proprio il senso estremo di questo concetto. Spider-Man non è un eroe che cerca approvazione, anzi. Per lunghi cicli narrativi la stessa zia May detesta la sua maschera, basandosi sul sentire comune. Trovando la sua espressione più molesta nel berciare di JJ Jameson, l’accoglienza che New York riserva all’amichevole Ragno di quartiere è incostante e sospettosa. Quindi, Parker non è un eroe per la gloria, ma perché è giusto così. Niente di più, niente di meno.

I lettori non possono non amare questo eroe che agisce anche quando non c’è nessuno a guardarlo, e non può che gioire delle sue vittorie e dei suoi riscatti. Si tratta dell’essenza più pura dell’altruismo, quella che non si aspetta nulla in cambio. Spider-Man è un freak, ma è l’essere umano migliore a cui si possa aspirare, ed è così vicino a chi lo legge o lo guarda al cinema. È l’eroe della porta accanto, che dimostra quanto la minima distanza tra l’indifferenza e la responsabilità sia spesso insormontabile.

Francesca Torre
Storica dell'arte, giornalista e appassionata di film e fumetti. Si forma come critica tra Bari, Bologna, Parigi e Roma e - soprattutto - al cinema, dove cerca di passare quanto più tempo possibile. Grande sostenitrice della cultura pop, segue con interesse ogni forma d'arte, nella speranza di individuare nuovi capolavori.