Da qualche anno l’Italia ha finalmente scoperto Keiko Takemiya, una delle autrici più d’impatto della sua generazione

Keiko Takemiya è oggi considerata tra le mangaka più influenti, in quanto membro del fantomatico Gruppo 24 (in riferimento all’anno dell’epoca Showa attorno al quale nacquero le artiste appartenenti, corrispondente al 1949) che rivoluzionò il manga shojo. Soprattutto grazie alla sua opera più controversa, Il Poema del Vento e degli Alberi, che suscitò scandalo alla sua uscita per la prima rappresentazione di ragazzi nudi e a letto insieme, la maestra Takemiya è osannata – insieme alle sue colleghe – non solo come pioniera dei manga per ragazze, ma anche del genere boys’ love che oggi riscuote un enorme successo anche in Italia, dove Kaze to Ki no Uta (titolo originale dell’opera, raccolta in dieci volumi) giunge per la prima volta in assoluto al di fuori del Giappone nel 2018. Un traguardo che va ad aggiungersi a tutto ciò che è cambiato grazie agli anni in cui iniziava a operare Keiko Takemiya insieme alle sue compagne.

Keiko Takemiya

Giovani promesse

Keiko Takemiya inizia a disegnare manga da giovanissima: a soli 17 anni fa il suo debutto in questo mondo dominato soprattutto da colleghi uomini e costellato da case editrici poco disposte a innovare i generi rivolti ai loro target già piuttosto stabiliti.

Gli anni ’70 in Giappone, infatti, furono caratterizzati da una vertiginosa crescita economica e sociale, riscontrabile non solo nel settore industriale ma anche dell’intrattenimento: non per niente, in questa decade nascono i più classici mecha come Mazinga, Goldrake, Jeeg Robot, a loro modo simbolo del rinnovamento postbellico del Paese. In questo panorama di storie scritte e realizzate da autori uomini per un pubblico maschile, gli shojo manga si trovavano praticamente ai margini di un’industria che li considerava solo un mezzo per vendere facilmente, senza cura e interesse per il loro contenuto, per lo più generico e con opere identiche le une alle altre. Non dovrebbe dunque stupire il fatto che presto gli shojo manga vissero un periodo di stagnazione dovuto alla superficialità e al disinteresse con cui venivano prodotti.

Ma fu grazie al desiderio che muoveva le mangaka del Gruppo 24 di connettersi col proprio pubblico che, nel 1976, venne pubblicato il primo capitolo de Il Poema del Vento e degli Alberi: il più grande successo di Keiko Takemiya, all’epoca ventiseienne, nato nel momento più basso di un genere che non veniva considerato degno di attenzione, divenne la rappresentazione di quella voglia di libertà d’espressione che Takemiya stessa percepiva nell’aria all’epoca, una libertà che veniva rivendicata da donne pronte a lasciare il segno attraverso le loro storie e i loro disegni iconici.

L’estetica di Keiko Takemiya e del Gruppo 24

Con Il Poema del Vento e degli Alberi, Keiko Takemiya ha dato vita a un vero e proprio romanzo a immagini, del tutto simile nei contenuti e nella maestosità alle opere occidentali con protagonisti tormentati e profondi, scritti da grandi autori come Dumas o Dostoevskij. Nonostante il realismo con cui venivano rappresentati, questi erano in realtà il mezzo con cui Keiko Takemiya, Moto Hagio e le altre mangaka rompevano praticamente tutti i cliché formatisi negli anni precedenti sullo shojo manga.

Tra i tanti temi affrontati dalle mangaka del Gruppo 24, quello più generale era certamente l’amore in tutte le sue forme, in quanto il pubblico cui si rivolgevano era pur sempre giovane e soprattutto alla scoperta della propria identità sotto ogni aspetto, compreso quello sessuale. L’esplorazione della sessualità, del desiderio e delle fantasie femminili fu solo la prima di una lunga serie di innovazioni compiute dal Gruppo 24 e da Keiko Takemiya. In particolare, ne Il Poema del Vento e degli Alberi, questa avviene attraverso la coppia di protagonisti Gilbert e Serge, che fecero scalpore in quanto il loro rapporto travagliato li porta spesso a ripensare o vivere situazioni spiacevoli, dovute ad abusi subiti che non lasciano tregua al loro animo e nemmeno alle lettrici, davanti alle quali veniva messa la tragicità delle vite dei personaggi, senza alcun bisogno di promettere poi un lieto fine a tutti i costi.

Di conseguenza, vita e morte, odio e amore, sofferenza e gioia, erano gli altri grandi temi che si alternavano all’interno della stessa opera e venivano approfonditi attraverso fatti e azioni senza risparmiare la loro crudele violenza e promiscuità. Keiko Takemiya, in questo, così come le sue colleghe successivamente, non arretrò di un millimetro, mettendoci infatti ben nove anni per pubblicare una delle opere che cambiarono sostanzialmente la storia del manga per ragazze: la nicchia di mercato non era ritenuta pronta dalla maggior parte degli editori che chiedevano censure che, se Takemiya avesse ceduto, avrebbero certamente snaturato l’opera, dalla quale traspare invece tutto lo sforzo autoriale della mangaka di superare perbenismi e tabù che non avevano motivo di esistere.

Keiko Takemiya

Uno sforzo di cui possiamo percepire esplicitamente l’energia ed espressività decadente osservando anche solo il lato prettamente artistico delle opere di Keiko Takemiya. Così come le sue colleghe, Takemiya adotta layout idealmente adatti a rappresentare la psicologia dei personaggi attraverso il loro inconscio e i loro pensieri non detti, con espedienti che enfatizzano umori, emozioni e fascino altrimenti impossibile da esprimere solo a parole: sfondi astratti su cui si stagliano le figure snelle dei protagonisti dai tratti efebici; occhi luminosi dalle ciglia lunghe e capelli la cui morbidezza appare palpabile sulla carta; fiori dalla corolla perfetta per simboleggiare stati d’animo e sentimenti, come ormai è tradizione anche negli anime e manga più recenti, insieme ad alberi pieni di vita che man mano si spogliano per indicare il dolore cui vanno gradualmente incontro i personaggi. Nulla viene lasciato al caso e qualsiasi cosa utile a trasmettere tali intensi turbamenti straborda dai bordi dei panelli della tavola.

Un’ulteriore merito – oltre alla fondamentale costruzione di un’estetica volta non tanto a far apparire semplicemente i propri protagonisti, ma a convogliare messaggi precisi – è quello di aver anche ricontestualizzato tutto lo shojo manga. Non solo Il Poema del Vento e degli Alberi, ma anche altre opere del Gruppo 24 hanno come sfondo un preciso contesto geografico e storico: si va dalla Provenza del tardo ‘800 alla Germania del XX secolo, fino ad arrivare ad ambientazioni fantascientifiche: come in Verso la Terra, in cui Takemiya dà prova delle potenzialità dello shojo manga, ispirandosi ad altri grandi autori e opere affermati quali Asimov o Herbert e rompendo ancora una volta gli schemi che vogliono le ragazze interessate solamente all’amore nel significato più classico e letterario del termine. È a questo punto che finalmente lo shojo si libera dei suoi canoni tradizionali, iniziando ad assorbire sottogeneri che poi ne porteranno l’inevitabile popolarità alle stelle negli anni ’90.

Keiko Takemiya

Grazie, Keiko Takemiya

Le ragazze del Gruppo 24 hanno dunque ridefinito lo shojo manga, elevandolo a qualcosa di più che un mero intrattenimento senza un fine, fatto di fronzoli e rapporti superficiali. Oggi si può dire, anche grazie alla (ri)scoperta di Keiko Takemiya e delle sue opere, prima d’ora mai uscite dal Giappone, che le lettrici possono trovare più facilmente qualcosa in cui rispecchiarsi, al di là del genere biologico e delle differenze culturali. Grazie al lavoro svolto da Keiko Takemiya, che ora insegna preso l’università Seika di Kyoto, nel corso di laurea dedicato ai manga, le ragazze hanno capito che ci sono modalità diverse da quelle di un tempo per esprimere la propria immagine, i propri piaceri e i propri disagi, che siano psicologici, affettivi o sessuali.

Takemiya considera il manga come un medium molto personale con cui esprimere ciò che prova nel profondo e con il suo lavoro ha fatto sì che questo possa svolgere la stessa funzione quasi catartica anche per altre giovani, poiché ha reso il manga più dignitoso, universale e inclusivo nel momento in cui solo le donne potevano rispondere alle esigenze delle donne.

Alessia Trombini
Torinese, classe '94, vive dal 2014 a Treviso e si è laureata all'università Ca' Foscari di Venezia in lingua e cultura giapponese, con la fatica e il sudore degni di un samurai. Entra in Stay Nerd nel luglio 2018 e dal 2019 è anche host del podcast di Stay Nerd "Japan Wildlife". Spende e spande nella sua fumetteria di fiducia ed è appassionata di giochi da tavolo, tra i quali non manca di provare anche quelli a tema Giappone.