Cattive, irriverenti, spietate, ma esilaranti: impossibile non amare le Black Comedy

Quante volte si banalizzano e si minimizzano cose, che invece nascondono una complessità e profondità immense? Prendete una delle reazioni più semplici e spontanee del mondo. La risata.
Appare semplice, immediata, causata da battute e gesti estemporanei. Nulla di più sbagliato. Far ridere è complesso e lo sa bene chi fonda la propria vita sul voler, o meglio dover, scatenare nelle proprie platee il divertimento all’ennesima potenza.

La ricerca della risata nel pubblico è un meccanismo che da sempre fa parte dello spettacolo. Dal teatro greco fino al più piccolo e fatiscente palcoscenico di un paesino sperduto nei monti di una comunità meno numerosa di un gruppo Whatsapp, creato per organizzare l’addio al celibato/nubilato di qualcuno. Chiunque da sempre vuole far ridere il prossimo.

La maggior parte dei casi questo tentativo si rivela fallimentare e, a parte qualche sporadica risata più forzata di un applauso ad una recita delle elementari, crea quell’effetto definito dagli americani e da chi ha la puzza sotto al naso, Cringe. Ci si imbarazza quando ci si ritrova davanti ad un comico che ripete per la centesima volta il suo tormentone, che non faceva ridere già dopo la terza volta. Ci si ritrova nella medesima situazione davanti ad un imitatore, che, nonostante un trucco degno di un film di Guillermo Del Toro, offre una copia sbiadita dell’originale.

Nella commedia troppo spesso si rimane bloccati in un recinto in cui pascolano da sempre le stesse battute. Ed è solo quando si osa che si riesce a superare il disagio di una comicità in loop, che non riesce mai ad arrivare al suo compimento.
Andare oltre gli standard comici, superare tabù ed estremizzare aspetti apparentemente poco divertenti. Ecco la via verso la risata perduta. Questo è la Black Comedy. Nera come i sentimenti messi in gioco. La Black Comedy non risparmia nessuno. Addio cinepanettoni, ridotti in briciole. Niente risate facili, niente battute sessiste da viaggio delle medie. Gli argomenti sono seri, serissimi: guerra, morte, religione, diversità culturali, sessualità.

Il reale si distorce e viene riproposto in una nuova veste, che fa ridere e riflettere nello stesso istante. La peculiarità del genere black comedy è proprio questa commistione di sentimenti in cui lo spettatore si ritrova a navigare, spaesato e affascinato. In un secondo si passa dal dramma alla risata, senza quasi accorgersene, costantemente in bilico tra emozioni contrastanti. Non c’è spazio per i tempi morti, occupati dallo straniamento e dall’analisi.

Il mezzo televisivo e in particolare le serie TV hanno preso egregiamente in prestito il genere dal cinema. Per capire, approfondire e approcciare il mondo delle Black Comedy, ecco quindi dieci serie TV poco conosciute che rappresentano degnamente il genere e vanno recuperate ad ogni costo.

Black Comedy: Ce ne sarebbero altre dieci, anche più famose, anche più importanti. Sarebbero potute rientrare tranquillamente in questa lista. E invece no.black comedyWeeds

Parlare di droga in TV non è mai stato semplice. I perbenisti non hanno mai apprezzato quest’argomento “scomodo”, balzando dai propri troni di Moralismolandia ogni volta che si tirava in (s)ballo sostanze proibite. Poi è arrivato Breaking Bad e ha azzittito tutti. Ma stavolta Walter White non c’entra. Anche se le premesse di Weeds hanno qualche punto in comune con il capolavoro di Vince Gilligan.

La serie è ambientata ad Agrestic, immaginaria città della California. La classica cittadina americana di cartapesta, in cui tutto sembra perfetto, ma in cui l’apparenza nasconde verità indicibili. Protagonista è Nancy Botwin, il cui marito muore all’improvviso, lasciandola con due figli e un conto a nove zeri in banca. Solo zeri però. A questo punto Nancy decide di fare l’unica cosa fattibile in una situazione del genere. Cercare un lavoro? No, spacciare erba. La serie affronta il “delicato”argomento con una dose (nomen omen) di humor nero altissima e una recitazione che è valsa a Mary-Louise Parker un Golden Globe per la sua capacità di alternare magnificamente il ruolo della mamma premurosa a quello della spacciatrice seriale.Archer

Archer è la classica serie la cui locandina passa di continuo nella rumorosa Homepage di Netflix. Ogni volta che si finisce una serie, si va a caccia della prossima vittima del binge watching con la tipica foga e velocità di un bulimico da serie tv. E ogni volta appare lui. Con quell’aria da Ken dopo una tinta nera. Puntualmente ci si promette di cercare info su quella strana serie. E si passa oltre, finendo a vedere in poche ore una serie boliviana sulle rapine negli uffici postali di La Paz. O un horror delle Far Oer su bambini/gufo che uccidono cantando ninne nanne. E sta lì l’errore.

Riavvolgete il nastro e tornate al momento in cui vi appare la solita locandina di Archer, ma stavolta iniziatelo, perché ne vale veramente la pena. A partire dal presupposto che sta dietro alla serie: cosa succederebbe se James Bond fosse un totale idiota? Immaturo, dannatamente egoista e totalmente negato per la pianificazione delle missioni che deve affrontare. Archer è una fonte inesauribile di gag, di situazioni grottesche e ha un cast di attori/doppiatori clamoroso. Se la perdete vi meritate una serie su un viticoltore in Andorra.

Arrested Development

“Ecco a voi la storia di una facoltosa famiglia che perse tutto, e dell’unico figlio che aveva la possibilità di tenerla ancora unita”.

Così iniziava una delle opere più folli mai apparse sul piccolo schermo. Una serie che aveva già capito un modo di fare comicità che poi sarebbe andata alla grande anni dopo. Infatti nel 2006, quando Arrested Development uscì, il pubblico televisivo non era pronto e rimase spiazzato davanti ad una sceneggiatura e una recitazione completamente sopra le righe. La serie chiuse amaramente, tra la disperazione dei pochi fan. Ma come tutte le cose pazze e sconclusionate l’epopea della famiglia Bluth divenne un super cult e nel 2012 Netflix, ancora nella sua versione 1.0, decise di affidare ad Arrested Development una vita più consona, con una quarta stagione.

La serie rinacque come una fenice e Netflix, non appagato, ha deciso di produrre anche una quinta stagione. Satira feroce dei vizi di una borghesia che non conosce il significato della parola “lavorare”, la serie vanta un montaggio sofisticato e una scrittura più brillante e black che mai. Avvertenze: “Ho fatto un terribile errore” diventerà il vostro tormentone.

black comedyWilfred

Può un cane parlante far ridere? Ancora meglio, può un cane parlante far riflettere? La risposta è sì, perché Wilfred sa far bene entrambe le cose. Una serie la cui locandina potrebbe far storcere il naso a tutti quelli a cui gente con un costume di pezza ricorda i momenti più bui della Melevisione.

Nulla di più sbagliato, perché dietro al suo aspetto becero e scanzonato, Wilfred sa regalare una black comedy surreale, pungente e a tratti onirica. Dietro ad cinismo spietato, la serie colpisce per il suo mescolare realtà, sogno e finzione, tra la ricerca del senso dell’esistenza e di una felicità impossibile da raggiungere a pieno dall’uomo moderno. E c’è Elijah Wood!

black comedyBaskets

Una Black Comedy basata su un sogno. E che sogno. Baskets racconta di Chip Baskets, un piccolo uomo proveniente dall’ancor più piccola Bakersfield, sperduta nel profondo deserto californiano. Chip ha una sola ambizione nella vita: diventare un clown.

E qui parte il suo dramma umano. Grazie alle sovvenzioni dei genitori Chip si iscrive in un’università per clown (e subito la mente torna ai Simpson). Peccato che la scuola per clown sia a Parigi e Chip non conosca nemmeno una parola di francese. L’insuccesso lo riporta a casa, ma il sogno continua e Chip mestamente diventa un pagliaccio in un rodeo, con l’unica funzione di farsi incornare dai tori per far ridere il pubblico.

La serie viaggia su un treno che si affaccia sui due lati su paesaggi completamente diversi. Da una parte la commedia, dall’altra il dramma di un protagonista che vuole fare il comico, ma viene continuamente preso a pugni dalla vita. Si respira così un’aria malinconica e surreale, degna di un film indipendente presentato al Sundance Festival. Dulcis in fundo: la serie è scritta da Louis CK, Jonathan Krisel e Zach Galifianakis (il barbuto di Una Notte da Leoni), qui nella duplice veste di sceneggiatore e attore.

black comedyLouie

Una delle più grandiose black comedy mai apparse sul piccolo schermo ruota interamente intorno ad una persona. Louie è ideata, scritta, diretta, editata e interpretata da Louis C.K., uno dei più famosi stand-up comedian americani, protagonista recentemente di uno scandalo sessuale che ha mestamente spento la sua stella. Un astro più fulgido che mai nel firmamento comico made in USA.

Sbattendo la porta del backstage della vita privata di C.K. e tornando al di là del palcoscenico, Louie è una di quelle serie da recuperare assolutamente. Una black comedy stratificata, piena di sfaccettature e argomenti trattati: si parla divorzio, sesso, depressione, orientamento sessuale e senso di colpa cattolico. Tutto affrontato con arguzia, profondità e una verve comica, che da sempre contraddistingue le opere di Louis C.K. Louie è uno spettacolo pirotecnico, in cui ogni puntata è un fuoco d’artificio che vi farà applaudire. Anche se siete soli, su un divano.

black comedyM*A*S*H

Si sale a bordo di una macchina del tempo. Direzione anni settanta. Sugli schermi americani andava in onda una serie che ha fatto la storia della tv americana. Ispirata dal film M*A*S*H (1970) di Robert Altman, la serie vanta uno degli episodi più visti di sempre nel mondo delle serie a stelle e strisce. L’ultimo episodio fu infatti guardato da 105,9 milioni di telespettatori, suscitando un’attesa e un clamore che solo i super Bowl più accesi hanno mai scatenato.

La serie (e il film da cui è ispirato) diventa precursore di un tipo di commedia che sa ridere di argomenti delicati e che hanno scosso intere generazioni. Parlare di guerra con il piglio della farsa, dello humor nero, evitando facili moralismi e una sterile denuncia. Con uno stile stralunato M*A*S*H mette in scena episodi tragicomici, a volte assurdi accaduti nell’ospedale chirurgico militare americano a Uijeongbu, durante la Guerra di Corea.

Da vedere, per un’analisi antropologica di un tipo di cultura, comicità black di un’epoca passata, ma con grandi, grandissimi punti di raccordo con la nostra.

black comedyDrawn Together

Trentasei episodi di pura follia. La trama è semplice, eppur geniale: prendete otto personaggi stereotipati dell’animazione e rinchiudeteli in una casa. L’unico Grande Fratello che meriterebbe di essere visto. Ecco convivere, come nella più assurda casa di fuorisede senza regole, un supereroe, un protagonista di un videogioco di zeldiana memoria, una vecchia (e grassa) stella del cinema, una principessa Disney (fervente cattolica, viziata e razzista), una cantante pop, un maiale uscito da internet prima maniera, una sorta di Pikachu in versione cinesata e uno Spongebob fastidiosissimo.

Ogni personaggio è il sunto perfetto di stereotipi e un baluardo della comicità più black che ci sia. Gli autori di Drawn Together affrontano infatti tutti i temi più alti e profondi dell’umanità. E li massacrano. A colpi di un’irriverenza che a confronto South Park è il Don Matteo dell’animazione.

black comedyIt’s Always Sunny in Philadelphia

Buoni sentimenti, personaggi simpatici, una sceneggiatura leggera e teneri argomenti. Ecco, prendete tutte queste cose e lanciateli nel fuoco più ardente del camino più grosso che conoscete. Perché in “It’s Always Sunny in Philadelphia” non c’è nulla di tutto questo e la serie è un vero e proprio manifesto del politicamente scorretto.

Gli episodi affrontano, con un approccio totalmente blasfemo, temi quali aborto, razzismo, omosessualità, terrorismo, pedofilia, incesto, prostituzione, nazismo, necrofilia…. Tutto ad opera dei protagonisti, totali cretini inconsapevoli di quello che dicono e fanno, per totale mancanza di cultura, senso civico e moralità. L’incoscienza e la superficialità con cui affrontano situazioni e argomenti “alti” sta alla base della genialità di questa serie, che riesce a far venire a galla l’inquietante esistenza del beato beato di turno, offrendo quindi uno spaccato vero e scabroso della società occidentale più infima e incosciente.

black comedyCurb Your Enthusiasm

Come per Louie, una serie che si basa interamente sulla straordinaria bravura del suo istrionico personaggio. Curb your enthusiasm è infatti diretta, scritta e interpretata dal geniale Larry David, co-creatore, sceneggiatore e produttore esecutivo di Seinfeld.

Un nome che subito assume un volto, se si cita il suo ruolo da protagonista in Basta che funzioni di Woody Allen. E se avete amato quel personaggio, Curb your enthusiasm ne amplifica la potenza comunicativa e comica. Il protagonista della serie dice sempre e comunque quello che pensa, su tutto e tutti, e diventa l’osservatore e critico perfetto di tutti quei microscopici, ma ricorrenti dettagli della vita quotidiana. Un umorismo sottile e pungente come la lama di un coltello o come un foglio A4, che fa sanguinare in modo ben più subdolo. In Italia la serie ha avuto la stessa pubblicità di un romanzo epistolare bielorusso. Peccato.

Leone Auciello
Secondo la sua pagina Wikipedia mai accettata è nato a Roma, classe 1983. Come Zerocalcare e Coez, ma non sa disegnare né cantare. Dopo aver imparato a scrivere il proprio nome, non si è mai fermato, preferendo i giri di parole a quelli in tondo. Ha studiato Lettere, dopo averne scritte tante, soprattutto a mano, senza mai spedirle. Iscritto all'Ordine dei giornalisti dal 2006, ha collaborato con più di dieci testate giornalistiche. Parlando di cinema, arte, calcio, musica, politica e cinema. Praticamente uno Scanzi che non ci ha mai creduto abbastanza. Pigro come Antonio Cassano, cinico come Mr Pink, autoreferenziale come Magritte, frizzante come una bottiglia d'acqua Guizza. Se cercate un animale fantastico, ora sapete dove trovarlo.