Moebius, alias Jean Giraud: ritratto di un sovversivo

Moebius. Se appena leggete pensate che deve esserci un errore, che c’è una E di troppo, che dovrebbero esserci i punti sulla O alla tedesca e che a questo nome bizzarro e molto suggestivo dovrebbe accompagnarsi l’idea di un nastro, è probabile che in vita vostra non abbiate mai letto un fumetto. Ma questo, di per sé, non sarebbe poi così grave (anzi sì, però facciamo finta che non lo sia).

Sarebbe molto più grave perché vorrebbe dire, in sintesi, che oltre alla nona arte non siete grandi esperti di cinema e che non avete mai posato gli occhi su pietre miliari come L’impero colpisce ancora, Tron, Alien, The Abyss, Il Quinto ElementoBlade Runner o il monumentale adattamento di Dune targato Jodoroswky mai realizzato e diventato, proprio per questo, un film cult.

E quindi, a questo punto non ci resta che sperare che siate grandi lettori di libri tradizionali e che siate, almeno, matematici di fama mondiale (o magari di fama e basta), perché in effetti solo loro potrebbero davanti alle lettere che compongo la parola Moebius pensare a August Ferdinand Möbius. Matematico e astronomo tedesco di grande reputazione, per quelli come noi che leggono fumetti e vivono di fantascienza, la cosa migliore che ha fatto nella sua vita (anzi, dopo) è quella di aver suggerito a Jean Giraud lo pseudonimo con cui è famoso nel mondo: Moebius.

 

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Con questo non vogliamo certo sminuire il lavoro e l’eredità di Möbius nel campo scientifico, ci mancherebbe. A dirla tutta, proviamo una certa fascinazione nei confronti del suo più noto contributo alla scienza, la scoperta del nastro che ne porta il teutonico cognome. Il nastro che, in poche parole per chi non è avvezzo a queste stregonerie da studiosi, compone una superficie bidimensionale che, immersa in uno spazio tridimensionale euclideo, presenta una sola linea di bordo e una sola faccia.

E siamo sicuri che neanche Giraud, quando ha deciso di appropriarsi del titolo e del suono, non intendeva certo mancargli di rispetto. Voleva omaggiarlo, omaggiare colui che è stato capace di realizzare la rappresentazione visiva del concetto dell’infinito (in realtà aiutato dal disegnatore olandese M. C. Escher), oltre che indicare a tutti, al suo vasto pubblico che lo seguiva fedelmente e ciecamente da anni, che aveva avuto una metamorfosi, che era morto e risorto.

Da Jean Giraud, fenomenale disegnatore noto soprattutto per il suo contributo a storiche serie delle Bande Dessinée, specialmente western, si era passati a Moebius, inizialmente un disegnatore dissacrante noto per il suo humor nero e poi un visionario diventato avanguardia e paladino di una rivoluzione, la rivoluzione del disegno.

Questa è la sua storia.

Moebius: vita di un maestro

Moebius è noto, come abbiamo menzionato sopra, soprattutto per il suo impatto nella narrativa fantascientifica in tutte le salse possibili, letterarie, cinematografiche e fumettistiche. Tuttavia, la sua carriera si può sostanzialmente ricondurre ad un’insolita dualità, una sorta di bipolarismo contraddittorio.

La potremmo quasi definire una schizofrenia artistica, del resto ampiamente riconosciuta da Giraud stesso. Questo perché, nonostante venga ricordato soprattutto per le vertiginose e splendide tavole immaginifiche, ha mosso i primi passi nelle BD più mainstream e popolari (dedicate soprattutto al Vecchio West) senza mai rinnegarle del tutto. E, in fondo, non ne aveva bisogno. A lungo, nella sua straordinaria vita, ha alternato produzioni più consuete e di grande diffusione ad altre più personali, folli e assolutamente sperimentali. Non a caso, quando lavorava alle prime si firmava col soprannome di Gir e a volte anche col suo vero nome, mentre sulle altre utilizzava lo pseudonimo di Moebius, la sua seconda identità.

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Si potrebbe pensare che questo dualismo, più che legato a due diverse forme di spiritualità artistica, sia la conseguenza di un semplice atto di lungimiranza: mantenersi un lavoro sicuro e avere al contempo lo spazio per seguire la propria verve. Col Western ci pago le bollette, con la fantascienza mi diverto. Ma non è così. Basti pensare al fatto che, anche dopo il successo planetario come Moebius, Gir ha continuato a seguire e a lavorare alla serie Blueberry, il più famoso Western francese di tutti tempi da lui creato insieme a Jean-Michel Charlier.

La verità è che c’è un filo conduttore che conduce dal West al fantastico, esattamente come c’è un filo conduttore che unisce John Ford e George Lucas, Sentire Selvaggi e Star Wars, ed è quello dell’immaginazione al potere, dell’irrazionalità, del mito che si fa ammaliare da paesaggi naturali e terrestri e che poi finisce per volerne di più, per alzare gli occhi alle stelle.

Il filo conduttore della carriera di Moebius.

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Un filo che si dipana fin dal 1938, quando Jean Giraud alias Moebius sbarca in questo pazzo mondo, a Nogent-Sur-Mane, un comune a sud-est di Parigi noto per aver ospitato un gran numero di immigrati provenienti dall’Italia. Appassionato fin da piccolo al disegno e vorace lettore dei classici comics americani (oltre che di artisti europei come Gustave Doré), viene iscritto ad una scuola specializzata dalla madre e una volta raggiunta la giovinezza continua gli studi all’Ecole des Arts Appliqués. In questo periodo pubblica le sue prime illustrazioni e da il via a molteplici collaborazioni nel campo della pubblicità e della moda, riscuotendo un certo successo. Ma il suo sogno, la sua massima ispirazione, è quella di realizzare fumetti, raccontare attraverso le immagini.

Sul finire degli anni ’50 si stanno imponendo piano piano le riviste, a cadenza settimanale, quindicinale e mensile, che offrono svariate storie a puntate insieme ad articoli di varietà, giochi e intrattenimento per il pubblico più giovane e non solo. Siamo ancora lontani dall’epoca del boom di queste pubblicazioni, che prenderà il via negli anni ’60 in seguito all’ascesa di “Pilote” (la casa madre di personaggi come Asterix e Lucky Luke). Il futuro Moebius si fa notare pubblicando materiale su periodici di stampo classico come “Coeurs Vaillants”, “Sitting Bull”, “Fripounet et Marisette” e soprattutto “Far West”, dove nel 1956 pubblica il suo primissimo racconto a fumetti: Les aventures de Frank et Jérémie. Dopo queste prime, cruciali esperienze, per Jean Giraud si concretizza una svolta che avrà ampie ripercussioni nella sua vita.

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Jean Giraud

Nel 1958 viene chiamato a svolgere il servizio militare in un periodo che segnerà una cesura netta nella sua carriera artistica. Infatti, passa otto mesi in Messico dove ha modo di entrare in contatto con la particolare sensibilità del Centro America, cosa che avrà influenze evidenti nel suo stile di disegno. Inoltre, rimarrà assolutamente condizionato dalla lettura e dalla scoperta delle opere dello scrittore Carlos Castaneda, che Moebius ha spesso indicato come il suo padre spirituale. Soprattutto, quello che mutua dall’autore è un fascino irresistibile per il fantastico, per i mondi nascosti e invisibili, un fascino alimentato dal massiccio uso di droghe fatto a quei tempi, una pratica del resto mai rinnegata da Giraud ma anzi molte volte al centro d’interviste scomode.

Da queste vicissitudini, il giovane Moebius torna completamente cambiato, sia nel carattere che nella sua arte, quasi cose se fosse diventato un’altra persona. Non a caso, al suo ritorno a Parigi nel 1960 adatta il soprannome che lo renderà famoso del mondo e comincia un rapporto di lavoro alla corte del maestro del fumetto belga Joseph Gillain, incontro questo altrettanto indimenticabile come il viaggio in Messico.

Da Giraud a Moebius e ritorno

Joseph Gillain, anche detto Jijé dalla firma che metteva ai suoi lavori, è uno dei fumettisti più apprezzati di quegli anni, tanto da essere collaboratore delle maggiori riviste francesi che si trovano agli inizi della loro epoca d’oro. Jijé prende sotto la sua ala Moebius, facendone il suo principale assistente e aiutandolo ad entrare nel vasto mondo delle Bande Dessinée dalla porta principale. Questo lo porta a illustrare diverse storie, un paio con lo pseudonimo di Moebius, storielle contraddistinte da un umorismo cupo e pubblicate su portali di nicchia, mentre altre a più alta diffusione appartenenti al genere Western. In questo senso, una prima svolta può essere considerato il suo incarico come inchiostratore alla serie Jerry Spring.

Grazie a quel lavoro verrà notato da una figura di spicco all’interno del panorama francese: Jean-Michel Charlier.

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Attivo fin dagli anni ’40, Charlier si fa conoscere presto come un autore estremamente prolifico e talentuoso, oltre che stella del nascente gotha delle BD. In carriera, crea autentiche icone come Barbarossa insieme a Victor Hubinon e Tanguy e Laverdure insieme a Albert Uderzo e tanti altri ancora. Inoltre, si distingue per il suo stile assolutamente riconoscibile, fatto di lunghi e appassionanti dialoghi, didascalie incisive e il gusto per una narrazione serrata e piena di colpi di scena.

Quando incrocia la strada di Moebius, Charlier ha da poco fondato la seminale rivista “Pilote” con Albert Uderzo e René Goscinny, prodotta con crescente successo dall’editore Dargaud che ci ha appena messo sopra le mani. Charlier è alla ricerca di un disegnatore per la sua nuova serie Western, una serie battezzata Blueberry da pubblicare proprio su “Pilote” a puntate.

Così, il 31 ottobre 1963, sul numero 210, esce Fort Navajo, la prima avventura del tenente Mike Blueberry, militare nordista dal grilletto facile, scavezzacollo e giocatore d’azzardo, un personaggio assolutamente fuori dagli schemi sullo sfondo di un Vecchio West complesso e realistico.

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Blueberry è un successo strepitoso, un successo che darà vita ad una delle serie più longeve di Dargaud nonché al più famoso fumetto western d’oltralpe mai pubblicato, tanto da avere perfino una trasposizione cinematografica nel 2004 con protagonista Vincent Cassel (che, tra l’altro, abbiamo messo sul podio come possibile protagonista del futuro reboot di Face/Off).

Blueberry è un successo che, ovviamente, pone Moebius al centro dell’attenzione. A colpire, sono le sue tavole perfettamente strutturate, capaci di mantenere altissimo il ritmo della storia e di consentire diverse incursioni del linguaggio cinematografico, con vignette aperte quasi a campo lungo sui meravigliosi scenari dell’Ovest americano e altre chiuse, strette, che mettono sulla scena scontri a fuoco di grande intensità. Inoltre, c’è un uso artistico ed ambientale dei colori e una straordinaria attenzione per i dettagli.

Nel frattempo, la meritata fama dovuta a Blueberry (che Giraud non abbandonerà mai, neanche dopo la morte del collega Charlier nel 1989), Moebius torna alla ribalta e comincia la conversione al fantastico che porterà ad un vero e proprio dualismo nella sua arte. Pubblica infatti storie assolutamente surreali su riviste meno note come “Hara-Kiri“, “Charlie” e “L’Echo des Savanes” e alterna, simile ad una sorta di novello Dottor Jekyll, produzioni mainstream ad altre assolutamente non mainstream. Questo finché Mister Hyde non decide di prendere definitivamente il sopravvento, nel 1975.

Il Metallo Urlante di Giraud

Dopo aver passato anni ad ammirare con interesse l’onda lunga della produzione Underground Comix proveniente da oltreoceano, Moebius pubblica un racconto indecifrabile su “Pilote” intitolato La Deviazione dove si firma semplicemente Gir, quasi come se volesse accelerare e allo stesso tempo annunciare la sua totale trasformazione in Moebius. L’anno dopo, riunisce alcuni amici fumettisti che condividono la sua visione: Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas.

I tre, insieme, decidono di dare vita ad una rivoluzione, un’insurrezione, per mettere la fantasia senza limiti nella stanza dei bottoni e fondano la Les Humanoïdes Associés, quella che sarà l’etichetta più sperimentale e all’avanguardia del fumetto europeo. Qualche mese dopo, nel 1975, segue l’uscita del primo numero di Métal Hurlant e da quel momento in poi niente è più stato lo stesso.

La rivoluzione, si sa, per i francesi è una cosa seria. Che sia per spodestare un re tiranno o per promuovere una rivolta artistica, sulla carta meno “sanguinosa” ma altrettanto storica, non si tirano indietro e vanno fino in fondo. E che il generale delle armate, la testa dell’intero battaglione, fosse Moebius stupì molto il pubblico dell’epoca, soprattutto grazie alle parole con cui Giraud firma l’editoriale di Métal Hurlant. “Non c’è alcuna ragione”, scriveva, “perché una storia sia come una casa con una porta per entrare e delle finestre per guardare gli alberi e un camino per il fumo. Si può benissimo immaginare una storia a forma d’elefante, di campo di grano o di fiammella di cerino…”.

Storie come elefanti, ovvero senza un ordine preciso e costituito, fatte per il solo gusto del narrare e non per andare a parare da qualche parte. Moebius, con queste parole, stava dando il benservito ad un’intera tradizione del fumetto, stava mettendo alla porta quello che era un caposaldo delle BD (ma non solo), stava mandando lo sceneggiatore in pensione per liberare il disegno dalla sua prigione. Attenzione però: non si rinnegava la sceneggiatura, né l’atto in sé della scrittura a favore dell’aspetto visivo (il fumetto è comunque un’unione di testo e disegno), semplicemente rifiutava che la storia dovesse trovarsi per forza instradata in un percorso chiaro e definito, che dovesse avere un inizio e una fine prestabilita.

I disegnatori, dunque, volevano comandare, volevano avere il potere per lanciarsi in una sorta di “fumetto automatico”, desideravano seguire il loro istinto senza farsi guidare da nessuno. E che questa visione, questa dichiarazione di guerra non solo agli sceneggiatori, bensì agli editori e a un intero sistema, venisse da Jean Giraud, l’uomo che aveva collaborato con alcuni degli scrittori più famosi della Francia e che continuava a lavorare su Blueberry (serie comunque di stampo classico nonostante la sua diversità), era scandaloso, inaudito.

E Moebius non esitò a passare ai fatti. L’anno seguente, pubblicò a puntate fino al 1980 la serie simbolo della rivoluzione del disegno: Il Garage Ermetico di Jerry Cornelius (Le Garage Hermétique de Jerry Cornelius). Si trattava di una storia assurda, un atto di sfida surrealista, di una vicenda che iniziava a metà e che ogni mese proseguiva aggiungendo nuove sottotrame, nuovi personaggi e con cambi repentini di scene e di situazioni, in cui l’autore poneva problemi e vicende per poi decidere autonomamente di rimandarne la soluzione all’appuntamento successivo. E così via, per ben quattro anni, finché con una magia di cui solo uno come Moebius può essere capace, non decise di riunire tutti i fili nelle ultime 15 pagine e trovare una conclusione pazzesca.

La vena visionaria di Giraud, nello stesso periodo, si concretizzò poi in altre pietre miliari del fumetto e della rivoluzione del disegno come Arzach, dove decise di abolire il testo definitivamente e portare avanti una serie senza parole. Per sottolinearne l’inutilità delle stesse, all’inizio di ogni episodio si divertiva a cambiare la scrittura del titolo mantenendone intatto il suono, quasi a voler evidenziare che in fondo quello che contava era il fascino, l’impressione.

In questo filone, poi, si inseriva un capolavoro fondamentale, indimenticabile, come L’Incal, realizzato in collaborazione col regista Alejandro Jodorowsky, forse l’unico creativo talmente visionario da intendersela a meraviglia con Moebius e di fargli seguire ancora una volta le indicazioni di una sceneggiatura.

Gir e il cinema

Jodorowsky e Moebius si conobbero nel periodo in cui il regista cileno passò a Parigi e tra i due si stabilì un legame davvero unico. Il demiurgo di capolavori come El Topo e La montagna sacra era forse il solo capace di parlargli con la sua stessa lingua. E, non a caso, fu grazie a Jodorowsky che il nome di Moebius cominciò a girare dalle parti di Hollywood.

Come abbiamo ricordato, lo aveva coinvolto nella sua titanica produzione di Dune, tratto dal seminale romanzo di Frank Herbert, quella che vedeva oltre a lui dentro pure gente dal calibro di Mick Jagger, Orson Welles, Salvador Dalì e i Pink Floyd e di cui purtroppo non si fece più nulla. Ma, da quel momento in poi, i dorati cancelli della California si spalancarono per Moebius, chiamato a mettere le mani come concept artist a progetti sperimentali e ambiziosi dell’ambito dei film di fantascienza. Ridley Scott, ad esempio, lo chiamò per collaborare ad Alien e il Nostro lasciò una firma indelebile, soprattutto nel design della nave spaziale Nostromo e la sua influenza, per esplicita confessione dello stesso Scott, risultò fondamentale per i suoi successivi progetti come Blade Runner e Legend. Alcuni suoi lavori, si dice, girarono anche davanti agli occhi di George Lucas mentre stava lavorando alle ambientazioni di L’Impero colpisce ancora. Ma, in questo senso, dei contributi più o meno indiretti dell’arte di Moebius si possono rintracciare in tantissime pellicole, come Il Quinto Elemento e The Abyss.

Più esplicita è, invece, la sua collaborazione a Tron visto che l’atmosfera virtuale e allucinante del film porta la sua firma. Esattamente come quella che, nel 1988, al culmine del successo mondiale e dopo essersi fatto un solido nome in America, lo portò a realizzare una storia in coppia con Stan Lee. E Il Sorridente, da grande uomo di fumetto, scrisse per lui uno straordinario racconto con al centro Silver Surfer: Parabola. Al di là dell’evidente trovata commerciale, con due star che mettono insieme i rispettivi pedigree, per Moebius questa era l’occasione per cimentarsi con uno stile di fumetto completamente diverso ottenendo, manco a dirlo, risultati straordinari.

A proposito di pesi massimi, Giraud, dopo aver conquistato il fumetto europeo e quello americano, decise di approdare pure in Giappone scrivendo i testi per un manga illustrato nientemeno che da Jirō Taniguchi

Una carriera formidabile, puntellata dall’ennesima soddisfazione. Una carriera purtroppo interrotta il 10 marzo 2012. Una carriera vissuta sempre con uno sguardo verso l’orizzonte, ammirando il futuro e lottando per la rivoluzione. La rivoluzione del disegno. 

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!