Il legame tra serie tv e fumetti è sempre più stretto. E rischia di strangolare i fumetti

Fumetti e serie tv. Non siamo (per fortuna) in Alien, ma in effetti escono dalle fottute pareti. Arrivano da tutte le parti. Ci attaccano da est e da ovest, da nord e da sud. Invadono le nostre televisioni, gli schermi dei telefoni e dei computer, in un certo senso pure quelli cinematografici. Sono migliaia, sono una moltitudine, spesso non sanno neanche perché sono nate, cosa fanno, per quale motivo sono lì. Eppure, corrono, combattono e spesso muoiono prima di avere la possibilità di mostrare il loro valore. Le serie tv tratte dai fumetti.

Mentre sto scrivendo, siamo appena passati indenni al ciclone di The Boys, è da poco uscita la data della premiere di Watchmen di Lindelof, cominciano a fioccare i rumor su l’adattamento di Sandman e rimbalzano le notizie sulla possibile trasposizione della saga di Paper Girls, di Brian K. Vaughn e Cliff Chiang e pubblicata in Italia da Bao Publishing. Solo gli Emmy ne sono rimasti, miracolosamente, immuni. Senza dimenticare, ovviamente, il clamore suscitato dal palinsesto presentato da Kevin Feige sulle serie tratte dai fumetti Marvel e che saranno ospitate sulla piattaforma Disney+.

Escono dalle fottute pareti.

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A dirla tutta, sono le serie tv e basta ad essersi unite in un esercito che ci bombarda di continuo, 365 giorni l’anno, ogni mese e ogni minuto, sotto forma di trailer, anticipazioni più o meno ghiotte, indiscrezioni sul cast e sui registi, annunci roboanti di broadcast company alla ricerca del colpo grosso che potrebbe riempire le ormai languide casse aziendali.

Nel 2017, secondo una statistica realizzata da FX Networks, nei soli Stati Uniti sono andate in produzione ben 487 serie tv nuove di zecca e ne sono uscite più di 300. Senza dubbio, a livello mondiale sono state molte di più considerando l’insieme delle produzioni messe in piedi ai quattro angoli del globo.

Immaginatevi, dunque, quante ne sono uscite in questi ultimi anni e provate a ipotizzare quanto il numero di prodotti freschi sia cresciuto esponenzialmente. E pensate a quanti ne avete guardati, a ripetizione, per dimenticarli esattamente un secondo dopo. Ce n’è abbastanza per avvertire i primi rivolgimenti di stomaco, perché quella pancia l’abbiamo riempita troppo e ora sentiamo il bisogno di liberarla. Una sorta di bulimia creativa di cui non possiamo più fare a meno, perché tante sono le serie tv che escono insieme al nostro interesse per loro, ma questo ricambio continuo ci riempie finché non possiamo far altro che rigettarle. Non abbiamo il tempo materiale per assimilarle.

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Una bulimia che si è particolarmente accentuata e che non accenna a diminuire, per il semplice fatto che le serie tirano e ormai l’intero sistema ha dato vita ad un circolo vizioso dai risvolti imprevedibili e possibilmente tragici.

Basti pensare a Netflix, per esempio, schiava dei suoi stessi processi produttivi che la portano ad offrire qualcosa di nuovo al mese ai suoi abbonati (del resto, se l’utente paga ogni 30 giorni è inevitabile) e, dall’altra parte, costretta a produrre contenuti originali senza sosta a causa della progressiva emorragia di titoli e della frenetica rincorsa della concorrenza, che ha sentito l’odore degli affari (e del sangue).

Amazon Prime, Apple TV+, le future HBO Max, Disney+ e il DC Universe, un proliferare di piattaforme che porteranno ad incrementare il fenomeno oltre la già superata soglia critica. Un gioco senza regole che avrà come unico sconfitto il consumatore stesso, costretto a sperperare i soldi tra una mezza dozzina di abbonamenti per poter effettivamente scegliere cosa vedere.

Probabile che questo porterà tantissimi utenti (e come dargli torto) ad abbracciare ancora una volta i nefandi lidi della pirateria e dello streaming casereccio. Del resto si sa che spesso è il pubblico (o il consumatore) la vittima e il centro del capitalismo col coltello trai denti. Tuttavia, secondo me c’è un’altra vittima, la cui morte fa meno rumore perché da sempre ostracizzata in una nicchia ad uso e gioia di seguaci fedelissimi: il fumetto.

Serie TV e fumetti: sempre più vicini

Ora, non è mia intenzione fare il purista di turno e so bene che, da quanto esistono, i medium audiovisivi (cinema e tv, ma anche radio) hanno sempre pescato da quelli cartacei come libri e fumetti. Anzi, in tantissime occasioni questo tipo di operazione ha portato a valanghe di capolavori che hanno, di riflesso, contribuito al successo delle opere di partenza, oltre che a marchiare a fuoco l’immaginario collettivo con la visione di un autore trasposta sullo schermo.

Ad esempio, Stephen King, probabilmente lo Shakespeare dell’orrore dei tempi moderni, se non avesse avuto adattamenti capaci di fare la storia del cinema, come le Ali della Libertà, Misery non deve morire e Shining, non avrebbe condizionato in maniera così onnicomprensiva la nostra immaginazione. Non solo: tutti quegli spettatori, deliziati e terrorizzati dall’esperienza in sala, una volta usciti si sono poi precipitati in libreria ad acquistare quei romanzi che avevano ispirato le pellicole.

Era la transmedialità al suo massimo splendore, fatta come si deve, e dimostrava la bontà trasversale di certe operazioni. Una bontà che oggi si è persa, sacrificata sull’altare del tutto e subito delle serie tv.

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Il cinema, si dice, è l’arte cannibale per eccellenza. Ėjzenštejn teorizzava perfino, nei suoi articoli di critica, che il Cinema con la C maiuscola fosse nato proprio quando Griffith per Nascita di una nazione aveva deciso di prendere spunto dai romanzi di Dickens che, a suo dire, sulle pagine sperimentava inquadrature e primordiali forme di montaggio. E le moderne serie tv, che del cinema sono figlie sia per quanto riguarda il comparto tecnico e visivo, non potevano che essere altrettanto cannibali.

Le serie tv che vediamo sono, nella stragrande maggioranza dei casi, tratte da qualcosa: libri, film, fumetti, altre serie tv. E in certi casi riescono addirittura a superare le opere di partenza, a finirle prima dell’originale (vedere alla voce Trono di Spade). A volte cercano di andare oltre il finale e di ipotizzare cosa potrebbe succedere qualche anno dopo la conclusione (lo Watchmen di Lindelof , ma non solo). Tuttavia, questo genere di operazioni è nell’ordine delle cose ed è addirittura condivisibile in alcuni casi, visto che si cerca di mungere ancora la mucca che ha dato buon latte (altra pratica tipica del cinema) e di rendere di nuovo attuale un classico (che però in quanto classico spesso non ha nessun bisogno di essere modernizzato).

Molto spesso, si cerca solamente di riattingere da una nicchia affidabile di consumatori che, cascasse il mondo, i soldi (o l’attenzione) finirà per darteli comunque. Questa è, più prosaicamente, una conseguenza della crisi economica che porta le case di produzione a investire soprattutto su entrate sicure. E (ritornando a qualche riga sopra) non c’è niente di più sicuro che lavorare all’adattamento di un libro che ha avuto successo, perché ha già una fetta di pubblico garantita e la storia servita su un piatto d’argento.

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Ora, è arrivato il turno dei fumetti nel grande tritacarne dello show business. Per questo, dobbiamo ringraziare i successi stratosferici del Marvel Cinematic Universe che hanno sdoganato le storie tratti dai “giornaletti” a livello mondiale e aperto la strada a tante altre case di produzione, che hanno improvvisamente accantonato la loro proverbiale spocchia nei confronti di questo medium.

Attenzione, non che i film e le serie tv tratte dai fumetti non esistessero anche prima, solo che erano progetti sgangherati e spesso inconcludenti, incapaci di trasporre con la dovuta efficacia questo tipo di linguaggio sullo schermo, trovando vie di mezzo che risultavano spurie e non accontentavano nessuno. Inoltre stravolgevano le storie e i personaggi per adattarli al gusto di un pubblico neofita. Kevin Feige e i suoi studios, invece, hanno optato per un approccio differente offrendoci una rivisitazione fedele e allo stesso tempo infedele inserita all’interno di un progetto ambizioso e unico.

Potreste non vedere il collegamento tra MCU e TV, ma è proprio lì di fronte ai vostri occhi. Per cominciare, cos’è l’MCU nel dettaglio se non una grandissima e lunghissima serie tv durata anni? Pensateci: gli episodi sono i film di due ore e passa, con tanto di stagione 1, 2 e 3 inscenate dalle varie fasi, e il finale di serie è stato diviso in due parti addirittura con l’ultima più lunga (Avengers: Endgame). Esattamente come impone la migliore tradizione televisiva.

L’MCU, con la sua struttura più televisiva che cinematografica, ha dimostrato che i fumetti erano perfetti per essere trasposti attraverso la macrostruttura delle stagioni.

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Da qui in poi, il passo è stato breve. Certo, c’erano già stati e sono andati avanti progetti come l’Arrowverse, ma quello somigliava più ad un’impostazione tradizionale, e altri che dai fumetti prendevano semplicemente spunto, come Smallville e Gotham, col senno di poi apprezzabili proprio per questa loro intrinseca distanza. Erano solamente “ispirati a” e non avevano intenzione di rubare il posto ai fumetti stessi, come invece sta accadendo negli ultimi anni, anzi hanno contributo diversi non lettori ad entrare in confidenza con i personaggi (e infatti molti poi hanno recuperato i comics).

Le serie tv hanno dunque scoperto la ricchezza dei fumetti e questo potrebbe essere un bene, perché là sotto c’è un patrimonio incredibile di storie, personaggi e situazioni che aspettano solo il giusto regista per fare il salto, anche perché nei fatti alle moderne serie tv già ci si avvicinano. Ci sono tutta una serie di saghe che davvero sembrava impossibile non adattare sul piccolo schermo, come Preacher e iZombie, frutto dell’etichetta Vertigo. O Umbrella Academy, uscita da poco, tanto per citare dei casi eclatanti.

Il problema, quindi, non è tanto che le serie tv vogliano cannibalizzare il fumetto. Questo può essere una cosa positiva e farne il successo, esattamente come faceva un tempo il cinema quando metteva le mani sulle saghe letterarie. Il problema è che cercano di sostituirsi a loro, non adattano ma molto più spesso copiano, non approfondiscono bensì riassumono, non interpretano e non offrono prospettive nuove ed esterne su opere già esistenti.

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Si parla spesso del discorso di fedeltà, di come un libro (o un fumetto) venga adattato al cinema, passaggio questo che porta inevitabilmente a prendere delle scelte, perché lo spazio è meno, la fruizione è diversa. Tuttavia, proprio nelle scelte emerge la creatività di chi se ne occupa, che decide di togliere questo o quel dettaglio o di analizzarne altri e questo atteggiamento spinge poi, se il prodotto è ben fatto, ad approfondire, convince il pubblico ad averne ancora e ad attingere alla fonte.

Questo, purtroppo, con le serie tv tratte dai fumetti avviene sempre meno.

Serie TV e fumetti: un ponte che non esiste più

Non so da dove derivi la sciatteria o l’indolenza con cui i fumetti vengono spesso portati sul piccolo schermo. Sarà forse che i comics moderni ormai, grazie alla loro struttura di serie o di miniserie che accomuna tantissime nuove pubblicazioni, si sono avvicinati al linguaggio seriale e dunque risulta più facile adattarle, o che gli showrunner essendo prima di tutto lettori non riescono ad aggiungere quel certo non so che, a tradire abbastanza per confezionare prodotti che siano davvero transmediali.

Secondo me la risposta, molto più prosaicamente, è che la fretta e il bisogno di offrire qualcosa di nuovo a ritmi frenetici riduce lo spazio dedicato all’interpretazione in favore del classico prima è meglio è. Quello che conta è lanciare cose fresche (che poi fresche non sono) in bocca ad un pubblico sempre più bulimico, che tanto non sarà spinto ad approfondire e non si renderà mai conto che quella serie tv non è una serie ma la riproposizione schematica di un fumetto solo con la telecamera al posto della carta.

Ormai negli adattamenti quello che si fa è il minimo sindacale. E il fumetto, in tutto questo, diventa la vittima perché si vede esautorato dal suo status di opera originale. Semplicemente, perché viene cancellato dalla prospettiva del consumatore.

Il risultato è che serie tv e fumetti sono sempre più slegati tra di loro. Il concetto di transmedialità, all’apparenza buono e giusto, cuore di un’esperienza onnivora e trascendentale dell’opera attraverso varie forme, diventa da un gioco stimolante una fruizione passiva per spettatori sempre meno avvezzi alla lettura.

Gli esempi si sprecano. Come non parlare di Outcast, progetto fallimentare nonostante la direzione di Robert Kirkman, oppure delle nuove proposte del DC Universe come Doom Patrol e Titans, senza menzionare i disastri di Krypton e Lobo, quest’ultimo tra l’altro davvero sfortunato perché cancellato praticamente un secondo dopo l’annuncio, un po’ come il tentativo dello show su John Constantine di qualche anno fa.

Stesso destino, del resto, per Swamp Thing, anche se per motivi diversi che però ci permette di menzionare un altro aspetto inquietante del fenomeno: la “bruciatura” di questi personaggi. Quanti personaggi vengono bruciati attraverso questo meccanismo? Innumerevoli, alcuni tra l’altro con alle spalle fumetti indimenticabili e di straordinario successo, come appunto Swamp Thing. Per alcuni, come per Constantine, potrebbe essere una nuova trasmigrazione nel cinema, ma per gli altri?

C’è poi il caso, altrettanto dannoso per quanto meno evidente, delle serie tv che prendono troppo le distanze dai fumetti originali ma cercano di mantenere una parvenza di verosimiglianza, quasi non avessero abbastanza coraggio per camminare con le proprie gambe. Un paio di casi interessanti sono quelli di The Chilling Adventures of Sabrina e Lucifer, entrambi prodotti (giustamente, per quanto mi riguarda) di successo, ma quanti sanno che sono tratti da fumetti? Pochissimi, perché si muovono in maniera ambigua rispetto all’opera di partenza, si comportano quasi come se fossero originali quando in realtà non lo sono, lanciando ogni tanto quel contentino dovuto. In ogni caso, le opere di partenza finiscono per pagarne il prezzo.

Nient’altro che elaborati storyboard

Il fenomeno è ormai talmente diffuso che sta raggiungendo delle proporzioni grottesche, come nel caso dell’acquisto del Millarworld da parte di Netflix (chissà perché, Netlifx salta sempre fuori). Lo abbiamo visto con The Magic Order: un fumetto il cui unico scopo nella vita sembra essere quello di fare da complesso storyboard per qualcos’altro, che davvero non dà l’impressione di avere una sua dignità se non nell’ottica di essere il “fumetto di”. Il motivo, in questo caso, è più lampante, ovvero quello di monetizzare su entrambi i fronti, digitale e cartaceo, ma rimane comunque la conseguenza di una malattia ben radicata.

Quello che emerge, in maniera sempre più chiara, è che siccome le serie tv vanno “di moda” devono essere al centro del processo e per fare questo devono fagocitare i fumetti e digerirli, per apparire sempre più fresche, nuove e “fighe”. Così, realizzano il crimine perfetto, nascondendo il corpo in modo che nessuno possa mai trovarlo. Nessuno viene informato del fatto che quel prodotto lì in realtà è tratto da un altro, che nessuno naturalmente comprerà danneggiando dritto nel portafoglio editori e autori. 

La spiegazione che è difficile leggere fumetti che vanno avanti da tanti anni e fanno parte di mega-universi narrativi può andare bene per Marvel e DC, ma la stragrande maggioranza delle storie ormai viene struttura in forma di serie e miniserie serenamente acquistabili in libreria in bellissimi volumi cartonati. Ma che senso ha acquistarli se raccontano le stesse storie della tasposizione tv o se non c’entrano proprio nulla?

Eppure, gli esempi di buona transmedialità e coabitazione tra fumetti e serie tv esistono. Senza scomodare la produzione animata degli anni ’60 di Spider-Man, che impattò moltissimo sulle vendite della Marvel, o quella di Batman interpretato da Adam West, basta guardare a quanto fatto con The Walking Dead. Fin dall’inizio, fin dal primo momento, Kirkman aveva specificato che lo show avrebbe preso strade diverse dal fumetto e che, anzi, in alcune occasioni sarebbe servito per approfondire spunti e personaggi lasciati da parte troppo presto dalla pubblicazione, come Shane. Infatti, negli anni, i due si sono sostenuti a vicenda aumentando ciascuno la notorietà dell’altro.

Non ci resta che sperare che Kirkman segua la stessa linea anche con la futura serie di Invincible e che, smaltita la sbornia, i futuri showrunner si applichino con intelligenza agli adattamenti. Certo, in questo senso alcune buone sensazioni vengono dal fatto che i creatori dei fumetti sono sempre più coinvolti nelle trasposizioni, come appunto Neil Gaiman con Sandman.

Una speranza, perché quando viene annunciato un nuovo progetto televisivo tratto da un fumetto il dubbio che sarà l’ennesima storia sacrifica sull’altare della tv c’è sempre. E chi ama i fumetti, chi li legge da una vita e continua a farlo, non può che rabbrividire ogni volta.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!